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mercoledì, 24 Aprile 2024

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Case (di riposo) per nonni

di Marta Andreani – Qualche tempo fa Papa Francesco, durante un’udienza generale in piazza San Pietro, ha portato all’attenzione di tutti un tema molto delicato che è, soprattutto negli ultimi tempi, motivo di discussione: gli anziani e le case di riposo. Francesco condivide coi fedeli un ricordo di quando, ancora arcivescovo di Buenos Aires, si trovava a visitare una casa di riposo per anziani: “Ho chiesto ad una signora: come sta? Come stanno i suoi figli? Bene. Vengono a visitarla? Sì, sempre. E quand’è stata l’ultima volta che la sono venuta a visitare? A Natale. Ed era agosto… Otto mesi senza una visita dei figli”. Papa Francesco continua definendo un simile atteggiamento un “peccato mortale” e non solo! Trattare male gli anziani è un comportamento terribile che in un futuro potrebbero riservare a noi i nostri figli. Racconta ancora Francesco: “Un uomo aveva deciso che il padre anziano, che si sporcava quando mangiava per difficoltà di movimento, mangiasse non alla tavola comune ma da solo ad un tavolino in cucina. Una volta è tornato a casa e trovò il figlio che lavorava con legno, martello e chiodi. Che stai facendo? Gli ha chiesto. Un tavolo, ha risposto il figlio. E perché? Per avere un tavolo quando sarai anziano e potrai mangiare lì. I bambini hanno più coscienza di noi”.

Citare le parole di Papa Francesco per cominciare a parlare di anziani e case di riposo è forse il modo più adatto per cogliere il modo in cui la società moderna lo affronta, spesso in modo indolente e superficiale. L’aumento delle aspettative di vita ha portato un numero di anziani sempre maggiore, ma i giovani troppo spesso sono ciechi davanti ai bisogni degli anziani, sia estranei che parenti. Ma gli anziani “sono prima di tutto uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo”.

Con queste poche parole si può arrivare al punto del discorso di Papa Francesco. Non è solo la vecchiaia, la malattia, la debolezza o la fragilità fisica ad annientare un anziano, ma è, soprattutto, la solitudine. Alcuni anziani dipendono da cure indispensabili che solo una struttura può garantire. A casa è molto più difficile avere a portata di mano, in ogni momento della giornata, gli aiuti e i sostegni necessari da parte di persone specializzate come medici, infermieri ed O.S.S. Per questo un anziano non è “abbandonato” in una casa di riposo. Un anziano è abbandonato se viene privato dell’assistenza morale di un nipote o di un figlio, che lasciano un nonno o un genitore nelle mani chi può aiutarli solo da un punto di vista fisico. L’unione di un’assistenza morale e un’assistenza fisica in una buona casa di riposo può garantire una vecchiaia serena agli anziani. La casa di riposo garantisce all’ospite il servizio alberghiero completo, che comprende tutti i pasti della giornata e i pernottamenti; soprattutto garantisce tutta l’assistenza sanitaria di base che a casa è difficilmente gestibile: in una casa di riposo gli infermieri sono disponibili H24 per garantire sempre il monitoraggio delle condizioni di salute. Servizi molto importanti per gli anziani non autosufficienti sono anche l’assistenza durante i pasti e l’assistenza nell’igiene personale.

Fra i vari centri che hanno sede in Casentino ci sono sia residenze per anziani non autosufficienti, cioè quelle comprese del servizio alberghiero, che centri diurni. Fanno parte delle R.S.A (Residenza Sanitaria Assistenziale anziani non autosufficienti) quella di “Stia”, “Casa di riposo San Carlo Borromeo”, la R.S.A “Casa di riposo San Romualdo” di Pratovecchio, quella di Poppi, il “Centro Polifunzionale Cerromondo”, quella di Ponte a Poppi e la R.S.A “Casa albergo per Anziani” di Castel San Niccolò.

Dei C.D (Centri Diurni anziani non autosufficienti) fa parte il C.D. “Alzheimer” di Stia.

Abbiamo deciso di contattare alcune case di riposo per avere almeno un’idea generale della situazione in Casentino.

La R.S.A di Stia ospita attualmente 58 anziani. I posti sono suddivisi in 25 moduli base, cioè per non autosufficienti stabilizzati, 4 moduli per cure intermedie, cioè ospitano utenti che, dimessi dall’ospedale, necessitano di un prolungamento dell’assistenza ospedaliera in vista di un successivo rientro a casa, 19 moduli per autosufficienti. Il centro diurno Alzheimer ospita invece 10 anziani.

Anche la R.S.A “Centro Polifunzionale Cerromondo” di Ponte a Poppi ospita molti anziani. Autorizzata infatti ad ospitare 79 utenti, di questi, 62 posti sono convenzionati e così suddividi: 50 moduli base, 8 moduli specialistici, di cui: 4 Moduli Alzheimer e 4 Moduli Riabilitativi (si intende riabilitazione fisica); infine 4 moduli per cure intermedie.

Come già specificato, entrambe le strutture ospitano malati di Alzheimer e di varie forme di demenza. Le famiglie si dimostrano molto vicine ai loro anziani. Le case di riposo, infatti, cercano di coinvolgere i parenti e gli amici degli ospiti con feste e animazioni, restando presenti nella vita dei loro nonni o genitori.

Abbiamo deciso di ascoltare i pensieri di una persona che tocca con mano l’esperienza di lavorare in una casa di riposo. Daniele Tellini sta per terminare la scuola di O.S.S e al “Centro Polifunzionale Cerromondo” di Ponte a Poppi ha svolto il suo tirocinio, esperienza che gli ha fatto conoscere concretamente questa realtà.

Cosa è che ti ha spinto a fare questo lavoro? “In generale ho sempre avuto una certa sensibilità verso la fragilità delle persone che in qualche modo hanno bisogno di aiuto. Soprattutto ho sempre creduto che gli anziani abbiano tanto da dare. Mi è sempre piaciuto fare domande ai nostri vecchi, ogni volta mi arricchivano di qualcosa. Hanno un bagaglio di sofferenze alle spalle, ma anche di saggezza e conoscenza che non può fare altro che far crescere. Anche nella mia esperienza di tirocinante è capitato spesso di comunicare con loro. Adesso, molti anziani che conoscevo non ci sono più, e se devo dire una cosa ai giovani di oggi è di godersi nonni o amici vecchietti finché ci sono, farsi lasciare qualcosa di loro.”

Ti ha cresciuto questa esperienza? “Naturalmente! Un conto è sentirsi portati ad un determinato tipo di lavoro, un conto è toccare con mano la realtà. Nel nostro lavoro è importante essere empatici. Riuscire concretamente a immedesimarsi nelle sofferenze altrui e indovinare i loro bisogni non è cosa da poco. In realtà in questo lavoro non si finirà mai di crescere. Ogni vita, ogni caso è talmente diverso che ognuno ti darà sempre qualcosa di nuovo e nuove cose da imparare.”

Cosa ti ha dato più soddisfazione? “Sicuramente loro, gli anziani. Se riesci a capire cosa vogliono li vedi felici, e questa è la soddisfazione. Può essere affetto, un abbraccio, una carezza. Ricordo di una signora, ospite della struttura, che era sempre molto agitata. Un giorno viene portato nella struttura un gattino giocattolo. La signora quando lo vede si calma e inizia a ridere. Vedere questa signora che si tranquillizza perché avevamo trovato qualcosa che la rendeva felice mi ha reso grande soddisfazione.”

In caso di necessità, per familiari o parenti, ricorreresti all’aiuto di una casa di riposo? “In caso di necessità, certo. Molto dipende dalle condizioni di salute e dalla gravità di esse. Purtroppo nella vecchiaia possono subentrare malattie che diventano, diciamo così, ingestibili. Le case non hanno gli strumenti giusti per garantire la sicurezza e la salute di una persona non autosufficiente. Il nostro aiuto si limita nel dare sostegno morale e tutto l’appoggio e l’affetto di cui hanno bisogno. Inoltre mi rassicura sapere che esistono persone a cui affidare i nostri nonni o genitori, come nel posto dove ho fatto il mio tirocinio, che credono veramente nel lavoro che fanno e lo svolgono con amore e serietà.”

Affidare il proprio nonno o genitore ad una struttura adeguata non è abbandonarlo a se stesso. Certo è una decisione non facile da prendere, ma garantire le cure sanitarie di base adeguate, a volte, è la decisione giusta. “Dove non c’è onore per gli anziani non c’è futuro per i giovani”.

(tratto da CASENTINO2000 | n. 272 | Luglio 2016)

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