fbpx
4.6 C
Casentino
giovedì, 18 Aprile 2024

I più letti

Celeste, da Stia a Washington: volere è potere!

di Cristina Li – Nel momento esatto in cui viene portato a termine l’ultimo passo del percorso che ci accomuna, dal momento della nascita al concludersi dell’adolescenza, ai compagni di scuola, cosa fare? Nel momento in cui, forse, ci sentiamo pronti a porre il primo tassello e cominciare, così, un nuovo percorso, cosa scegliere? Restare o partire? Questa è la domanda che, negli ultimi mesi, è stata colonna portante di alcune storie che abbiamo conosciuto insieme: storie di casentinesi che hanno scelto di lasciare le proprie radici per piantarne di nuove in altre parti del mondo. Procedere a tentativi, partire con un sogno, sviluppare l’idea e poi trovarsi a vivere qualcosa d’inaspettato (o, magari, incoscientemente atteso, sperato): è proprio così che Celeste Russo si è trovata a costruire il suo nuovo percorso di vita, da Stia a Washington D.C. 2

Quali sono stati i primi passi che hanno contribuito a scrivere il tuo nuovo percorso? «Viaggiare è sempre stata una mia passione e gli Stati Uniti da sempre un mio sogno. Una volta terminate le scuole superiori, però, sapevo che realizzarlo non era possibile -non nell’immediato almeno- e, non sapendo bene cosa avrei dovuto o voluto fare, mi sono trovata in balia delle onde. Ho iniziato a cercare su internet qualche opportunità lavorativa all’estero e, all’età di diciannove anni, ho lasciato per la prima volta casa per raggiungere la Germania.  Ho vissuto a Stoccarda per circa cinque mesi, ma mi sono resa conto quasi subito di come non fosse il posto giusto per me: non sapendo il tedesco, mi sono trovata in estrema difficoltà e, senza frequentare delle lezioni di lingua, non riuscivo a impararlo. Parlavo solo inglese e, talvolta, italiano con i numerosissimi connazionali immigrati in quella zona. Inoltre, un aspetto molto importante che mi ha scoraggiato fin da subito è stata la difficoltà nel creare rapporti sociali: nonostante le amicizie che ho maturato, ho notato una generale riservatezza come elemento caratteristico della popolazione e ho percepito una diffusa antipatia nei confronti, soprattutto, degli italiani, dovuta ai soliti stereotipi che vengono attribuiti al nostro Paese.
Il meteo, poi, non ha giocato a mio favore: credo di aver visto nient’altro che neve nei cinque mesi trascorsi in Germania e, anche alla luce di quanto detto prima, riassumerei il tutto dicendo che vedere poco la luce del sole diminuisce anche un po’ la solarità!»

Impatto negativo, dunque, per quanto abbia costituito una prima importante esperienza. Che cosa hai fatto poi? «Sono tornata a casa con una certezza: come la Germania non faceva per me, allo stesso modo non faceva per me il Casentino. Purtroppo, le scarse possibilità lavorative e la routine di una piccola vallata mi erano strette. Volevo ripartire, riprovare. Dopo qualche anno, ho iniziato a cercare informazioni per avvicinarmi al mio sogno, scoprendo molti progetti interessanti per ragazzi sotto i ventisei anni, tra i quali quello di au Pair”, ragazza alla pari.  Si tratta di un progetto di scambio culturale e lavorativo che coinvolge giovani Au pair e famiglie ospitanti di tutto il mondo, garantendo al primo la possibilità di vivere all’estero grazie alla copertura di vitto, alloggio, con aggiunta di uno stipendio settimanale e un parziale pagamento degli studi offerto dalla famiglia, la quale riceve in cambio un supporto nella cura della casa e dei figli. Dopo sei mesi di colloqui via skype con diverse famiglie, sono finalmente partita per gli Stati Uniti, soggiornando per la prima settimana a Long Island e New York, per poi trasferirmi con la famiglia ospitante ad Alexandria, nello Stato della Virginia, a circa 10 km a sud della capitale.
Il primo anno è stato molto impegnativo, difficile ed eccitante allo stesso tempo. Ho trascorso il mio tempo lavorando, con il preciso obiettivo di permettermi di viaggiare. Ho visitato molti posti: New York, Miami, i parchi Disney nella città di Orlando, Philadelphia e il villaggio nelle campagne della comunità Amish, le spiagge del New Jersey e le follie di Atlantic City, Chicago. E ancora i piccoli Stati come il Delaware, il Maryland, West Virginia, per poi spostarmi verso il Texas e l’Oregon, dove si passa dalle metropoli a torridi deserti su altopiani da cui è possibile vedere montagne innevate. E infine in California, dove ho avuto l’opportunità di frequentare un corso all’International University di San Diego. Pensavo di essere partita per un’esperienza che sarebbe durata un anno, ma quando mi è stato proposto di prolungare la permanenza per un altro anno ancora non ci ho pensato due volte e ho accettato. Inoltre, avevo già trovato l’amore appena arrivata e, dopo un anno, abbiamo deciso di andare a convivere.  E poi, in vero stile americano, come nel sogno che da sempre risiedeva nella mia immaginazione, dopo due anni di convivenza, ho ricevuto la proposta di matrimonio. Adesso, io e mio marito viviamo in un appartamento nella grande città di Washington D.C. e i piani per il futuro sono molti.»

Da Stia a Washington D.C.: quali sono le differenze – o le somiglianze – tra il luogo in cui vivi adesso e quello in cui sei cresciuta? «“Virginia is for lovers”: questo è lo slogan dello Stato in cui mi trovo ed è anche il motivo per cui vivo qui. Mi sono innamorata fin da subito della città, perché è differente da tutto il resto degli Stati Uniti, è molto più “europea”: ricca di monumenti, parchi bellissimi da vedere soprattutto nel periodo autunnale e primaverile, molto pulita e piuttosto sicura rispetto alla media di altre grandi metropoli.
È la classica città a misura d’uomo, in cui però è possibile percepire, anche dagli aspetti più banali, di risiedere in un importante centro del potere mondiale. Ciò che è strano, è che ho conosciuto pochissimi americani nati a Washington D.C.; sembra che questa città sia popolata soltanto da persone provenienti dagli altri Stati federati o da “internationals”, proprio come me. Di differenze immediatamente percepibili nella quotidianità, potrei elencare cose come: l’aria condizionata ovunque, da aprile a settembre, rendendo qualsiasi posto freddo più che fresco; l’assenza di una cucina particolare, bensì proveniente da tutto il mondo, di scarsa qualità e poco salutare; nessuno beve acqua, bensì bibite riempite di ghiaccio; l’ossessione per la propria bandiera, che viene messa ovunque; la maggior parte dei negozi è aperta 24/24h, tutti i giorni all’anno; il divieto di bere una birra in luoghi pubblici, al di fuori dei locali, compensata però dalla possibilità di tenere una pistola nel bagagliaio dell’auto. Inoltre, un aspetto che ritengo positivo e che ha influenzato anche il mio modo di pensare è il fatto che nessuno dice “mi piacerebbe fare, ma…”, bensì crescono tutti dicendo “io farò”, “io sarò”, credendo nelle possibilità e non pensando di non averne.»

Quali saranno i tuoi prossimi passi? Credi che sia stato indispensabile, per te, “volare via dal nido”? «Mi sono appena iscritta al Northern Virginia College. I piani per il futuro ci sono, sono molti e non facili da realizzare, ma anche tre anni fa non mi sarei aspettata di trovarmi qui. Direi, perciò, che tutto è possibile se vi è la volontà di provarci. Il sistema universitario funziona in modo diverso rispetto a quello italiano: in seguito all’iscrizione al college, è possibile scegliere qualsiasi tipo di specializzazione.
Io, al momento, ho iniziato a frequentare il campo del “Medical education”, che comprende tutte quelle categorie in campo sanitario come infermieristica, igiene dentale, tecnico radiografo, etc.  Se fossi rimasta in Casentino, non credo che avrei avuto le stesse possibilità che ho avuto qui. Gli Stati Uniti ne offrono molte, ma è necessario impegnarsi e lavorare moltissimo e allo stesso tempo studiare o avere già una laurea.  Vivere qui mi piace molto, anche se spesso sento la mancanza degli affetti che ho lasciato a casa, soprattutto durante i periodi delle festività. Tuttavia, mi sento gratificata e orgogliosa delle mie scelte. Non voglio pensare di aver già trovato la città dove vivere per sempre, né voglio tornare a vivere in Italia per ora. Sicuramente tornerò ogni anno a trovare la famiglia e gli amici e poi, magari, vi ritornerò definitivamente quando sarà il momento della pensione. Per adesso, la mia vita è qui e ancora stento a crederci. Molti, dal Casentino, mi confidano il loro desiderio di partire e cambiare, come ho fatto io, e proprio a loro vorrei dire che, se c’è la volontà, basta solo un po’ di coraggio: stop saying “I wish” and start to say “I will”!»

(tratto da CASENTINO2000 | n. 283 | Giugno 2017)

Ultimi articoli