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giovedì, 28 Marzo 2024

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Monti e le riforme a metà

Il governo Monti ha fatto la riforma delle province, ma, da bravo italiano, ha fatto qualcosa a metà; come un chirurgo che, individuato il cancro da togliere, alla fine ne lascia un po’. Monti, spietato nel riformare le pensioni, “fregando”, a gioco in corso, migliaia di lavoratori; spietato nell’aumentare le tasse a chi le paga già, senza alcuna possibilità di sfuggire alla tagliola (lavoratori dipendenti, pensionati) toccando anche i diritti acquisiti; spietato con chi ha due case, trattando in guanti gialli invece che ne ha molte di più; non ha avuto il coraggio di affondare la lama fino in fondo sull’intera pubblica amministrazione.
Se analizziamo il risultato della riforma a livello toscano viene da chiedersi razionalmente, al di là dei campanilismi che di questi tempi non possiamo permetterci (non a caso sono state messe insieme Livorno, Pisa e Lucca), perché Arezzo è da sola?
Un piccolo frammento in mezzo a mega province, che conterà come il due a briscola, ma che lascerà nelle mani dei soliti il potere con i risultati che ben conosciamo, visto che non saranno gestite da eletti dai cittadini, ma da nominati dai sindaci (Nuove Acque docet). Gli urrà di soddisfazione dei diversi esponenti aretini sono proprio… provinciali! Non si sa che cosa festeggiare, se non la definitiva emarginazione di Arezzo e la sua residualità rispetto al resto della Toscana!
Ma se andiamo oltre, allora dovremmo chiederci perché ci sono ancora regioni che sono più piccole della nuova provincia Grosseto-Siena? E, in termini di spending review, perchè lo Stato, che, fino a prova contraria, è sovraordinato a regioni, province e comuni, non ha stabilito, in modo rigoroso e uguale per tutti, gli stipendi di presidenti, assessori, consiglieri regionali; perché non ha abolito i vitalizi degli eletti regionali (in Molise, ad esempio, il vitalizio non si estingue mai); perché non fa rispettare i limiti massimi degli stipendi ai mega-dirigenti? Perché si tira in ballo la Costituzione solo quando si toccano i magistrati o i grand commis di stato mentre ce ne dimentichiamo quando si parla di diritti dei lavoratori?
Perché il “ce lo chiede l’Europa” vale per imporre i sacrifici alla gente, ma non per imporre l’IMU alla Chiesa? Perché si taglia la scuola pubblica ed in contemporanea si aumentano i fondi a quella privata?
Era proprio difficile fare una riforma complessiva, una volta per tutte, senza guardare in faccia nessuno, così come è stato fatto per i lavoratori dipendenti e i pensionati? E magari chiedere la fiducia come per le diverse manovre finanziarie?
E poi, se dobbiamo risparmiare, perché non sono stati fatti interventi anche sulle varie associazioni e unioni delle amministrazioni pubbliche (UPI, ANCI ecc), eliminando fondi (forse di modesta entità, ma sempre di denaro si tratta) che, nella maggior parte dei casi, servono solo a mantenere un sistema clientelare, senza dare alcunché alla collettività? I sindaci, i presidenti di regione e di provincia, e tutti gli altri dirigenti della pubblica amministrazione sono liberissimi di associarsi, ma a titolo gratuito, senza budget, non a spese della collettività.
Fare questo renderebbe un po’ meno amara la ricetta fiscale che pesa sui cittadini e forse produrrebbe qualche risparmio.

Luca Tafi

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