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mercoledì, 24 Aprile 2024

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Se restano 11 giorni di vita…

di Eugenio Milizia – La vita è lunga o corta? È una domanda che può avere più risposte. Che sia interminabile o troppo breve lo può dire chi, in generale, si trova male oppure bene a questo mondo!  Ma venire a sapere di vivere solo 11 giorni sarebbe proprio poco… troppo poco.

Incontro Giuliano Cecconi di Serravalle, casualmente. Come quasi sempre si fa con tutti, quando si ha un po’ di quella rara fretta di paese,  quasi quasi passo oltre dopo un rapido saluto di quotidiana routine. Così si fa quando in paese ci si incontra spesso e, spesso, per un “niente di nuovo”… Però…

Però… quella volta no! Quella volta mi fermo, anzi ci fermiamo. Si sa che le voci in paese corrono come fulmini e più! Si diceva che Giuliano aveva avuto una “brutta cosa” e cose del genere che non avevo ben capito. Mi parve allora carino fermarmi e chiedere che cosa aveva avuto, data l’amicizia fra noi.

Giuliano, 53 anni portati bene, mi dice che aveva avuto un lieve disturbo, visto che l’Ospedale di Bibbiena è a portata di mano, rispetto Serravalle, va e chiede un controllo che gli fanno subito. Spiega che lui deve lavorare alla pompa AGIP di Soci, e se non lavora non mangia, per cui non può andare molto a spasso. Un controllo all’Ospedale di Arezzo sarebbe stato problematico.

Non bene. Dal controllo, dopo il ricovero in ospedale di due giorni, si ha la diagnosi che Giuliano pretende di conoscere: “una brutta cosa” da operare prima possibile, solo durante l’operazione si sarebbe saputo se la “brutta cosa” fosse non troppo brutta o proprio brutta da morire!

Era il primo del mese e l’operazione poteva essere fatta l’11 del mese dopo ulteriori esami; Giuliano ebbe l’assicurazione di  poterla effettuare a Bibbiena. Non poteva permettersi di andare ad Arezzo, lontano: la moglie che lavora, la figlia che va a scuola, i genitori anziani  non autonomi… e sempre il lavoro.

11 giorni. Giuliano racconta… «Quando il medico mi diede la notizia della “brutta cosa”, mi parve che il mondo, come si dice, mi cadesse addosso… perché sentii le gambe come non reggermi più! Era ancora pomeriggio presto, andai alla “pompa” a lavorare. Non ricordo niente di quei momenti… La sera dissi della diagnosi, cosiddetta infausta, a mia moglie e a mia figlia. Furono molto comprensive ed incoraggianti al massimo. Per non far vedere che ero seriamente preoccupato, fingevo tranquillità, buttandola anche sullo scherzo. La cena andò come andò… Finalmente a letto, al buio… Fu una notte lunghissima, credo la più lunga della mia vita, senza dormire. Anzi, un solo pensiero: come organizzare il resto della mia vita, o meglio, quel po’ che poteva restare… 11 giorni… Iniziai a fare dei piani per organizzare il futuro di chi restava. Senza più il mio lavoro la mia famiglia avrebbe avuto meno possibilità. Primo, mia figlia non sarebbe potuta andare a Firenze o Bologna all’Università; secondo, mia moglie avrebbe dovuto lavorare sodo per sempre. Cosa avrei potuto farci? Niente, nessun piano è possibile; terzo, i miei genitori anziani e disabili con una misera pensione e con me figlio unico, che fare? Nessuna soluzione! Per un momento mi venne in mente anche una soluzione improbabile; quarto, il lavoro? Amen! Finché ne avrò le forze starò solo alla cassa e a fare i conti… Questa la prima notte. Il giorno al lavoro, facendo finta di niente. Le notti ed i giorni successivi non vi furono meno piani, sempre gli stessi, magari con maggior particolari».

La fine. Il giorno 11, l’operazione… «Venne l’operazione. O la va o la spacca!  Al risveglio, come immersi in una fitta nebbia e con suoni lontani ed incomprensibili, pur male, vidi che avevo tutti intorno a me: la mia famiglia e alcuni dottori. Avevo paura di sentire una condanna… ma vidi delle dita a V di non so quale mano che si muoveva verso l’alto, debolissimo, ma felice chiusi ancora gli occhi, mi dicono, per diverse ore… era finalmente il sonno sereno perso nei precedenti 11 giorni… Mi dissero, poi, che era stata un’operazione complessa, ma la “brutta cosa” era stata estirpata, per cui ero stato liberato… preso per i capelli… uno o due mesi di ritardo e ADDIO! Per alcuni giorni rimasi in ospedale, tutti i medici ed il personale sanitario si adoperarono con grande  impegno per rimettermi in sesto. Quando un medico entrando in stanza mi salutò con un V di dita, lo ringraziai per il messaggio: era il più giovane!… Dopo qualche giorno a casa in convalescenza, tornai finalmente al lavoro, come se niente fosse stato. Mi è rimasta la sensazione di esserci per miracolo: meno male che c’è l’Ospedale a Bibbiena, e quindi meno male che ho fatto una visita di controllo che altrimenti non avrei mai fatto ad Arezzo; meno male che ho trovato il personale ospedaliero speciale: professionale e familiare che, nella tragedia, mi ha fatto trovare lì come se fossi a casa mia. Meno male tutto…».

L’Ospedale di Bibbiena. Meno male che c’è! Si dice in giro che ora c’è ma che poi non ci sarà… c’è chi smentisce e chi conferma. Mah! Intanto chi va a dire a quelli di Ponte Nano, di Montemignaio, di Papiano Alto, di Serravalle, della Badia o di Corezzo che si dice che forse l’Ospedale di Bibbiena non ci sarà… e che, in quel caso, faranno prima ad andare a Firenze oppure in Romagna che ad Arezzo?

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