di Giancarlo Zavagli – Quello che leggerete non è farina del mio sacco, io sono l’ascoltatore e il trascrittore di quanto ci ha detto durante una cena tra amici, il “Doctor X”, importante e stimato medico dell’Azienda USL Toscana sud est, in servizio presso una delle strutture ospedaliere aretine, riguardo al presente ed al futuro della sanità regionale, nella nostra Provincia e nel Casentino.
Due ore di ascolto e di conversazione per capire dove siamo oggi e dove andremo in futuro. Spero soltanto di aver trascritto bene i pensieri espressi, non essendo abituato a parlare di argomenti di questo genere e di tale portata. Prendetelo come un tentativo di tormentare la vostra curiosità, spingervi a porvi delle domande, a fare domande, in breve a partecipare, sapendo che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, anche se provano a farcelo pensare con una certa oratoria.
Tutto è iniziato da un’affermazione: “Ho visto che ci sono un po’ di polemiche in questi giorni in Casentino, il Sindaco Bernardini si è messo di traverso riguardo ad una legge che la Regione Toscana si è data per la riorganizzazione dei Distretti Socio Sanitari nel territorio…”
Doctor X ci ha spiegato: «La salute è soprattutto competenza della Regione, che segue quelli che sono gli indirizzi e le direttive nazionali in un contesto dove i soldi mancano, non soltanto per la sanità ma anche per la previdenza, per la difesa e per tutto ciò che riguarda la presenza dello Stato nella nostra società. “Più Società e meno Stato” qualcuno auspicava alcuni anni fa, oggi ci siamo arrivati e “meno Stato” significa essenzialmente “meno quattrini”. E’ da circa quindici anni che la sanità è stata delegata alle Regioni, alcune hanno fatto benino il loro compito, altre bene ed altre lo hanno fatto malissimo e continuano a farlo malissimo come il Lazio, la Campania, la Calabria e la Sicilia, ed anche una Regione che non ti aspetteresti mai come il Piemonte è stata costretta a varare un piano di rientro. Da qualche anno il Ministero preposto ha istituito un organismo di controllo degli esiti nazionali della salute, dove i dati di alcune aree degli ospedali, come l’emergenza urgenza e la gestione delle cronicità sul territorio, vengono monitorati per stabilire una statistica dalla quale si può dedurre se i soldi che sono stati erogati hanno dato gli esiti richiesti e, se questi non sono in linea, la realtà locale deve spiegare cosa ne ha fatto dei fondi che gli sono stati assegnati.
Una nota importante riguarda i finanziamenti che il Governo centrale stanzia per la sanità nel rispetto delle normative europee. A partire dai governi Berlusconi, passando per Monti, Letta e Renzi effettivamente il fondo sanitario è rimasto sempre lo stesso, anche se dicono di non averlo diminuito, di fatto non è stato mai incrementato e nel frattempo il costo dei farmaci e delle nuove tecnologie è aumentato senza che vi sia stato un opportuno adeguamento finanziario.
Se invece guardiamo nello specifico sulle scelte politiche della nostra Regione possiamo constatare che ha stabilito di intraprendere la strada della cura dell’Epatite C evolutiva, quella grave che causa la cicatrizzazione del fegato con conseguente cirrosi ed un probabile cancro a carico dell’organo, evitando in questo modo la morte del paziente, ma con un costo pro-capite annuo di sessantamila euro. Se pensiamo inoltre al programma di vaccinazione riguardante la meningite per la quale la nostra regione ha dato la facoltà di vaccinarsi. All’oncologia e tutto quello che viene fatto per la prevenzione del tumore della mammella, del colon e del melanoma possiamo ben dire che siamo all’avanguardia a livello nazionale, prima anche del decantato Veneto e della Lombardia.
Ritornando all’abbattimento dei fondi erogati alla Regione Toscana abbiamo avuto una diminuzione in percentuale del 15% passando dai precedenti sette miliardi e mezzo di euro agli attuali sei e cinquecento circa. Fermo restando che il 30% va per pagare il personale, il 38% per i servizi ed il restante è diviso tra il consumo dei beni, i trasporti, i servizi non sanitari, la spesa farmaceutica, dove va ad incidere il miliardo e mezzo in meno?
Una nuova forma di economia sanitaria è la gestione territoriale delle malattie, sia di quelle croniche (degli scompensi cardiaci, degli ictus, del diabete e della insufficienza renale). Per ognuna di queste è possibile trovare soluzioni territoriali che possano portare beneficio al paziente e nello stesso tempo dare un’appropriata sostenibilità. Se pensiamo che un paziente colpito da uno scompenso cardiaco costa circa settantamila euro all’anno si fa presto a capire che una gestione oculata tra l’assistenza sul territorio e il ricovero ospedaliero riduce drasticamente i costi, migliorando la condizione del malato e della sua famiglia. Altro esempio di gestione della cronicità sul territorio con buoni vantaggi è la “pneumologia territoriale” che riduce in maniera consistente la necessità di avere servizi dedicati e la stessa cosa vale per il diabete.
La vera “battaglia pubblica” è di avere più attività specialistiche sul territorio. Un altro caso è la emodialisi, una volta si faceva in ospedale, oggi per certi pazienti può essere eseguita a casa. Migliorando la qualità di vita delle persone, la loro mobilità individuale per arrivare così alla possibilità di un lavoro normale comprensivo delle ferie senza cercare un ospedale dove poter andare.
Allora la domanda è: “Stiamo pensando al malato, alla sua gravità, a creargli meno stress, alle cronicità, oppure pensiamo al risparmio?” Non ci scandalizziamo se le due cose vanno di pari passo. Però per fare tutto questo bisogna cominciare a lavorare come sistema e in modo integrato, non più come elementi singoli e distaccati ma come una rete sanitaria dove ognuno deve fare al meglio il suo ruolo. Bisogna cominciare a parlare in termini di processo sanitario, di percorsi assistenziali a cui dare procedure e protocolli. Procedure condivise, con una formazione, un addestramento e quant’altro serva a garantire il governo di un organismo così complesso e grande. Dobbiamo garantire al paziente e al sistema esiti di qualità, soddisfazione, sicurezza e sostenibilità.
Quindi se ho una struttura che attualmente da sola non è capace ad assicurare la qualità e che non garantisce livelli di sicurezza appropriati faccio sistema con le altre realtà, condividendo i processi, i percorsi e sulla base di “programmi certi” lavorare per rispettare e garantire il bisogno di sicurezza, qualità e sostenibilità. Perciò i medici, i sanitari, i quadri dirigenziali devono usare tutte le loro competenze per andare oltre il proprio orticello senza dare la colpa a tizio, caio o sempronio. Il problema è come si fa a ridurre il rischio? Perché se tutto questo non funziona e non è collegato, la qualità, la sicurezza e la soddisfazione e l’appropriatezza vanno a farsi friggere. Quindi senza queste condizioni, senza la riorganizzazione, tra le quali c’è la sostenibilità del sistema si rischia che arrivi il commissario e chiuda tutto. Se il modello deve cambiare, la speranza che sia in meglio, ma strategica sarà la partecipazione.
E’ vero comunque che se il collegamento della vostra vallata con Arezzo avesse beneficiato non di una vecchia statale rabberciata con progetti di varianti dai tracciati a volte incomprensibili e ancora non del tutto realizzati e di un trenino che di sicuro non contribuisce ad una mobilità veloce, ma di una semplice autostrada o superstrada a quattro corsie, molti problemi erano risolti da tempo ed alla radice.
La realtà è questa, se non intraprendiamo la strada del fare sistema andremo incontro a grandi delusioni. Prendiamo a modello i quattordici ospedali della USL Toscana sud est, alla quale apparteniamo, nove di questi sono sotto la soglia dei posti letto ammessi per la loro sopravvivenza, quindi queste strutture devono essere intimamente legate fra loro, una dipendente dalle altre dentro una rete di collaborazione professionale senza la quale possono causare danni al sistema ed alle persone, modificando così i vecchi modelli autarchici in realtà collaborative funzionali, efficienti e sostenibili. Se non sarà fatto in questo modo andremo in default, cioè falliremo, arriverà il commissario e prenderà delle decisioni drastiche.
E’ vero oggi abbiamo delle difficoltà sia dal punto di vista contrattuale che è bloccato da dieci anni, ma non sono le “persone sul pezzo” che danno problemi, ma ci sono grossi disagi a livello di quadri che occupano questi posti per altri motivi e non hanno quella velocità o la predisposizione al cambiamento, peccano d’iniziativa con la famosa idea: “… sono qui e meno faccio meglio è”, oppure: “…non rompo le scatole a qualcuno e vivo tranquillo”.
E’ questa la realtà che crea grosse difficoltà, specialmente oggi che tutto si basa sulle relazioni, sui processi, sui servizi, sul fare sistema.
Fondamentale sarà coinvolgere e motivare davvero queste persone, più che altro per il loro ruolo strategico, perché qui è in gioco lo sviluppo ed il miglioramento futuro della sanità pubblica.
Quello su cui investe il nostro progetto è l’esportazione dei finanziamenti dalla fase ospedaliera ai servizi sul territorio, così migliorerà la prevenzione, la gestione delle cronicità, diminuiranno le riacutizzazioni, riducendo di conseguenza i ricoveri impropri ed i relativi posti letto, quindi il personale stanziale ospedaliero.
Quindi, soprattutto in Casentino, vuoi per la sua morfologia, la sua viabilità e la sua distribuzione paesistica, sarà opportuno creare “gruppi di assistenza continuativa locale” per curare i malati cronici, gli oncologici e i fragili a casa propria. Così avremo medici specialisti che lavoreranno nelle case della salute per andare a curare le persone direttamente a domicilio, migliorando la qualità del servizio, il rapporto con i pazienti e le loro famiglie.
Il problema, (e ritorno così all’affermazione fatta all’inizio dell’articolo) che oggi affligge alcuni personaggi politici è la collocazione fisica del Distretto che governerà i piani sanitari insieme alla Conferenza dei Sindaci. Perché è vero che i macro indirizzi saranno a livello di direzione socio-sanitaria ma le peculiarità amministrative di medicina generale, di emergenza e dell’Ospedale di zona le farà il Direttore del Distretto, perciò visto che, con molta probabilità saremo accorpati a Sansepolcro, dove risiederà il Direttore? Tra i biturgensi oppure a Bibbiena? E’ forse questo il cruccio di Bernardini?
Ma poi, a noi cittadini e non politici, clienti obbligati di questa struttura, interessa che il direttore abiti in Casentino o in Valtiberina? Per me è indifferente purché il sistema funzioni e possiamo di conseguenza giovarci della qualità, della sicurezza e della soddisfazione a prescindere dal luogo dove le decisioni vengono prese. Non scordandoci inoltre che tutte le scelte di politica territoriale, saranno prese dal Direttore insieme alla Conferenza dei Sindaci del Distretto. Quindi avremo i nostri primi cittadini direttamente coinvolti nella gestione della sanità, ormai senza più possibilità di alibi o rimpalli, senza se e senza ma.»
L’argomento successivo ad essere preso in considerazione dal “Doctor X” è stato la gestione degli ospedali, un sistema operativo complicato fatto di collaborazioni interne ed esterne, dentro il quale ci sono ben 32 figure professionali.
Chi governerà queste realtà?
Un politico?
Un laureato in Ingegneria Gestionale?
Un dirigente Medico, oppure un dirigente Infermieristico?
Tutto questo sarà trattato in un prossimo articolo.
(tratto da CASENTINO2000 | n. 274 | Settembre 2016)