Anche il più distratto, passando sulla strada che attraversa l’abitato di Rassina, avrà sicuramente dato uno sguardo a quei disegni e a quei quadri appesi al muro o sistemati sopra i cavalletti. Sarà forse stato colpito dai tratti, originali, di una figura; dall’intensità di un colore; dalle sfumature di un’immagine. Comunque sia difficilmente potrà essere rimasto del tutto indifferente anche se poi ha scelto di non andare oltre, per vedere più da vicino di cosa si trattava.
Altri , invece, lo hanno fatto. Si sono fermati, hanno chiesto informazioni, hanno dedicato qualche minuto ad osservare le figure ritratte, figure che ricordano luoghi lontani, caratterizzate da tratti, colori e paesaggi sconosciuti.
Sicuramente una proposta originale quella organizzata dalla Cooperativa Arca Etrusca di Rassina, uno dei soggetti che in Casentino ospita i richiedenti asilo, una proposta che ha coinvolto una decina di ragazzi in un laboratorio di pittura e disegno.
Tutto è iniziato, quasi due anni fa, dall’interesse per la pittura della presidente della Cooperativa, Naide Paolini, è stata lei a chiedere ad Angela Gori di seguire il laboratorio e diventare di fatto l’insegnante del gruppo. I primi ragazzi africani che hanno partecipato al percorso di formazione si sono dedicati in modo particolare alla riproduzione di alcune copie dell’emblema della Repubblica italiana. Hanno così, anche in questo modo, preso contatto con il territorio casentinese e disegnando la stella, la ruota, i ramoscelli di quercia e ulivo hanno in qualche modo imparato a conoscere meglio il Paese e la realtà che li ha accolti.
Questa iniziativa non è stata fine a se stessa, ma ha permesso di donare al Prefetto di Arezzo e al Sindaco di Castel Focognano le copie dell’emblema realizzate e di ottenere un riconoscimento in occasione della Festa della Repubblica del 2017, che ha permesso ad un gruppo di ospiti della Cooperativa di visitare un museo di Anghiari, un altro modo per imparare a conoscere il territorio e la realtà aretina. Dopo questa esperienza il lavoro è continuato e piano piano è cresciuto il numero dei soggetti che venivano riprodotti. Si sono realizzati disegni particolari nel periodo natalizio e poi sempre più, ricercando su internet, soprattutto opere africane e caraibiche di autori conosciuti che vengono con sempre più attenzione e abilità riproposte dai ragazzi che partecipano al laboratorio.
Ormai per il gruppo questo è diventato un impegno quotidiano e nello spazio allestito a laboratorio il clima è quello proprio delle scuole d’arte. Ognuno ha il suo soggetto, immancabile si ascolta la musica in sottofondo, così come non si perde occasione per scambiare una battuta e scherzare. Un ambiente davvero tranquillo, uno spazio dove lasciare fuori, per quanto è possibile, tutti i pensieri e i problemi che la precaria condizione di richiedente asilo comporta.
Parlando con Borry, Joseph, Lamin, Musa, alcuni dei ragazzi tra i più attivi del gruppo, abbiamo forse sentito questo desiderio. La volontà di cercare un angolo per, al tempo stesso, sia svuotare e rilassare la mente, ma anche sperimentare e provare qualcosa di nuovo che probabilmente riesce anche a incuriosire e attirare chi non si è mai potuto cimentare nel proprio Paese con tele, pennelli e colori.
Qui hanno avuto e hanno la possibilità di farlo, di confrontarsi con uno strumento nuovo e diverso per esprimersi, ma anche di ritrovare in alcune immagini, nei profili, nei colori forti e accesi un po’ anche le loro origini, le realtà e i luoghi che hanno lasciato, così diversi, ma forse solo perché non ci fermiamo a osservarli, dai nostri.
Così questa esperienza diventa non solo un momento di formazione vero e proprio, ma anche un’opportunità per dialogare in una lingua che non ha bisogno di interpreti e traduzioni. Qui sono le sfumature, i particolari, i suoni che pensi di sentire perdendoti ad osservare qualche quadro, i mezzi con cui si diffondono i messaggi, i sentimenti, le impressioni, il sentire personale di ognuno.
Chi realizza queste opere e chi ha la possibilità di osservarle all’interno della mostra di Rassina, può così partecipare ed essere protagonista di questo scambio in cui uomini e donne appartenenti a culture e Paesi tanto lontani possono ricordarsi il particolare che, nonostante tutto quello che viene detto in questo sciagurato periodo che stiamo vivendo, è forse più importante: al di là della lingua, cultura e religione, abbiamo la possibilità di conoscerci e riconoscerci, anche solo nelle sensazioni che suscita un tono di colore o una pennellata su una tela.
(tratto da CASENTINO2000 | n. 298 | Settembre 2018)