di Cristina Li – Immersi in una modernità mai del tutto tramontata e da molti passivamente vissuta, quotidianamente soli nell’atteggiamento indifferente rivolto a chi e a quanto è Altro da noi, possiamo considerarci ancora capaci di cogliere la genuinità del vivere? Scegliere il contatto con la Natura per recuperare la dimensione Umana: non dovrebbe forse essere una naturale inclinazione dell’uomo?
A testimoniare una tale predilezione, Rachele Agostini, originaria di Poppi, racconta come, dalla selva casentinese, abbia deciso di immergersi in una selva nuova, quella del Galles del nord.
«In realtà, è stato anche il caso ad aver giocato un ruolo importante nello stabilire la mia destinazione, sei mesi fa, quando ho deciso di partire. Mi trovo, al momento, immersa all’interno di una delle mete naturalistiche più belle della nazione, lo Snowdonia National Park, e mi piace considerarmi iscritta a tempo pieno all’“università della vita”, nella quale sto imparando ad affrontare strade non più conosciute e confortevoli, bensì spesso ignote e così tortuose che a volte sembra di essere il protagonista di un videogioco che, nel peggiore dei casi, perde… ma ha sempre la possibilità di ritentare».
Passioni, considerazioni, necessità e due inseparabili compagni: in quale modo ti stanno accompagnando in questo viaggio?
«Da qualche anno, ho cominciato a comprendere quanto fosse importante avere una buona competenza della lingua inglese. Soprattutto in merito alla mia cinofilia, mi sono spesso trovata, durante gli stage, in situazioni nelle quali la comunicazione e il confronto con relatori stranieri erano inevitabilmente ostacolati dal mio livello elementare della lingua, mangiandomi ogni volta le mani per non riuscire a esprimermi se non con incompleti sguardi di ammirazione. Dopo mesi di totale apatia, ho deciso di affidarmi a Workaway, una piattaforma online che gestisce scambi culturali attraverso esperienze di volontariato e lavoro, in cambio di vitto e alloggio. La destinazione scelta, paesaggisticamente paragonabile al Casentino, e la volontà di evitare il viaggio in aereo ad Amy e Tucky (i miei inseparabili compagni), mi hanno portato a optare per la partenza in macchina. Così, dopo 2097 km, 8 GB di musica e innumerevoli caffè, io, i border collie e il Panzer (la mia fedele Renault Kangoo) siamo arrivati a Llanberis. Il primo mese, ho lavorato con Helen, contribuendo al restauro di uno dei suoi cottage. In seguito ad alcuni problemi, ho dovuto lasciare il posto ma, poiché intenzionata a rimanere nella zona (l’ideale per chi, come me, è dipendente dalla montagna), ho deciso di bussare a porta a porta e chiedere ospitalità alle condizioni di Workaway. La mia seconda esperienza, dunque, si è svolta nella seconda fattoria più grande della zona: 2500 pecore, 250 mucche, 10 cavalli e un esercito di 15 border collie. Un roseo inizio, fatto di emozionanti recuperi di greggi nelle sconfinate colline ai piedi dello Snowdon, durante il quale i miei cani avevano recuperato la loro vita originaria. Ben presto, però, ho aperto gli occhi: dietro al sembiante eden, si nascondeva l’ingrasso degli animali nelle stalle. Come potevo vivere serenamente, sapendo di non agire in armonia con i miei principi? Mi sono sentita collaboratrice del nemico, intento solo ad accumulare ricchezze e incurante dei litri di sangue lasciati alle spalle. Osservando i cani alle prese con greggi così numerosi, mi chiedevo perché le pecore fossero così spaventate dai cani, avrebbero potuto travolgerli senza neanche accorgersene se avessero voluto. E, noi, siamo esattamente come loro: tremanti dinnanzi ai pochi che detengono il potere, oppressi poiché individualisti. Ho deciso, quindi, di lasciare la farm, ma soltanto dopo aver liberato un agnello che avevo, nel frattempo, aiutato a guarire e il cui sguardo non era più di terrore, bensì di amore, ottenendo così una piccola rivincita e un nuovo senso di gratitudine. A salvarmi da questa situazione è stata Jasmine, giunta in zona da poco tempo come me, proponendomi un lavoro nella scuderia di cavalli stunt in cui lei stessa lavorava. Un’esperienza durata due mesi, durante i quali, in seguito alle dovute valutazioni circa il benessere quotidiano dei miei cani e rinunciando all’addestramento per diventare stunt, ho accettato un impiego part time in cambio di vitto e alloggio. Adesso, lavoro nell’equivalente gallese dell’Atlantic Oil e, ad aprile, inizierò a lavorare per il rifugio che si trova sulla cima dello Snowdon. Ho preso in affitto una stanza in un cottage a tre km dal paese in cui lavoro e, per la prima volta, convivo con altre persone, trovandomi meglio di quanto avessi immaginato».
Il contatto fisico con la realtà quotidiana, la sfida del vivere lanciata a te stessa: l’hai definita come “università di vita”. Pensi di aver trovato la tua strada?
«“La mia strada” suona in maniera troppo determinante. Dovrei essere sistemata fino al prossimo ottobre, ma non escludo mai qualche eventuale colpo di scena. Dopodiché, ci saranno davanti a me PIù strade: una di queste potrebbe portarmi in una località sciistica, dove trascorrerei una stagione invernale lavorando nei rifugi e godendomi la neve; un’altra mi vede ferma con le quattro frecce, poiché non è escluso che i border possano decidere di rimanere nel loro Paese di origine. Una terza strada, infine, indica come destinazione le Foreste Casentinesi, così piene di potenziale, che dovremmo soltanto imparare a incanalare positivamente, senza rischiare di eccedere nella spasmodica sete di vendita e guadagno. Se dovessi tornare, provare a collaborare sarebbe sicuramente uno dei miei obiettivi. La foresta è qualcosa d’immenso: terapeuta naturale; possibilità di mettersi alla prova, studiarsi, conoscersi; oasi d’intrattenimenti positivi, d’incontro tra diverse specie e di recupero della sensibilità umana, che è, in fondo, l’unica vera strada a non terminare in un vicolo cieco e sarebbe socialmente, oltre che personalmente, utile prestarle sempre attenzione».
(tratto da CASENTINO2000 | n. 293 | Aprile 2018)