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venerdì, 19 Aprile 2024

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Eredità pericolosa?

di Mauro Meschini – Anche la storia casentinese che abbiamo raccontato nel numero 159 del giugno 2015 di CASENTINO2000 ha nelle scelte del passato la genesi degli effetti con cui oggi dobbiamo fare i conti. Sono scelte che, questa volta, non hanno interessato solo in Casentino ma, al contrario, sono state condivise praticamente da tutta Italia a partire da quel periodo “dell’oro” degli anni ’60 rappresentato dal boom economico.
Prima di allora anche in Casentino, probabilmente, il concetto di “rifiuto” era quasi sconosciuto, perché in una vallata in cui era regina la cultura contadina e che aveva salde radici nel rapporto uomo/natura, gli spazi per “gettare” qualcosa erano veramente limitati. Poi, come ricordato, gli anni del benessere fecero, forse, troppo presto dimenticare le privazioni e la miseria sopportata, in particolare durante la seconda guerra mondiale, così il desiderio di cambiare gli oggetti, di sostituire ciò che a quel punto sempre più frequentemente si considerava vecchio ebbe il sopravvento e, complice anche l’avvento di prodotti realizzati con materiali diversi da quelli naturali, nacque presto il problema di trovare una collocazione per tutto il “superfluo” che si stava producendo.
Vogliamo raccontare la storia di quello che è successo da allora, spinti da avvenimenti che, anche con le telecamere di CASENTINO2000TV, abbiamo potuto registrare nelle scorse settimane. Preziose per questo scopo anche le pagine del nostro giornale di oltre 20 anni fa, che abbiamo potuto reperire nel nostro archivio, oltre a testimonianze e contributi che abbiamo raccolto tra chi è ed era in qualche modo coinvolto nella gestione di quello che ancora oggi possiamo definire il “problema rifiuti” del Casentino.
Dunque con il “benessere” arrivarono anche i rifiuti da collocare e anche in Casentino, nei luoghi che fino ad allora avevano visto solo scorrere le acque pulite dei fiumi e crescere rigogliosi boschi e coltivazioni, nascono una trentina di discariche a cielo aperto, tra cui possiamo ricordare quella di Terre Rosse (valico tra Badia Prataglia e la Vallesanta), quella di Corezzo-Rimbocchi, all’interno dell’alveo del torrente Corsalone, quella posta subito a monte della SP Strada-Montemignaio in corrispondenza del bivio per Cetica.
A nessuno evidentemente era venuto in mente da subito quello che era ovvio: non poteva essere una soluzione accettabile, anche perché i materiali, soprattutto la plastica, non sarebbero mai stati “digeriti” dall’ambiente con la facilita degli scarti naturali che da secoli erano stati riciclati nel terreno. Forse anche questa banale verità spinse a trovare un’altra soluzioni che, in un tempo in cui nessuno, almeno in Italia e in Casentino, parlava di raccolta differenziata; di riduzione-riuso-riciclo; di strategia “Rifiuti Zero”; apparve quasi normale: il ricorso all’inceneritore (oggi nella foto a destra).
Fu costruito ex novo nel 1977, in località Pescine, su terreni di proprietà del Comune di Bibbiena previo acquisto dalla stessa ditta fornitrice dell’impianto di Seveso, responsabile delle gravissime conseguenze dovute all’emissione di diossina. Proprio in merito a questo c’è chi ricorda che già allora qualcuno, anche solo per scaramanzia, domandò se non ci fosse qualche rischio. Le risposte furono tranquillizzanti perché si assicurava che l’impianto avrebbe bruciato sempre ad almeno 900° C e a tale temperatura la diossina si scindeva in composti non tossici. Dopo l’avvio dell’inceneritore, comunque, altri ricordano che l’ipotesi di avviare la raccolta differenziata della carta suscitò non poche perplessità nei tecnici, perché era proprio la carta che contribuiva alla combustione, riducendo il consumo di nafta, e anche così l’inceneritore funzionava ben al di sotto dei 900° C.
Comunque sia la vita dell’impianto fu relativamente breve, circa 10 anni, anche perché si sarebbero dovuti effettuare interventi di adeguamento alle nuove normative relative all’abbattimento dei fumi che furono giudicate troppo costose. Importante ricordare che in questo periodo le ceneri dell’impianto venivano stoccate in un deposito esterno allo stesso senza particolari procedure e modalità di lavoro.
A questo punto inizia l’era delle discariche di vallata. Anzi, già nel 1982, con l’inceneritore attivo, fu avviata, proprio a supporto di questo impianto, la prima discarica di Fortipiano, su una vecchia discarica comunale di Bibbiena. Successivamente, accanto e in sostituzione della prima, fu aperta una seconda discarica, che dal 1988 iniziò a funzionare a pieno regime. In questo sito, dove erano stoccati i rifiuti solidi urbani mentre quelli tossici erano smaltiti fuori dalla vallata, operò dal 1991 una macchina compattatrice, che permetteva di ridurre il volume dei rifiuti. In pratica si compattavano i rifiuti in strati di circa 1 metro o poco più, in modo tale da collocare in un metro cubo circa 7-8 quintali di materiale, ogni strato veniva poi coperto con la terra e così si procedeva oltre. Leggiamo alcune dichiarazioni fatte nel 1994 nell’articolo pubblicato dal nostro giornale: “Certamente qualche rifiuto leggero tende ad alzarsi, ma noi cerchiamo di tenere il più possibile compatta la massa e di ripulire i campi ed il territorio intorno”. Seguono poi le considerazioni del cronista: “Mi sorprende il fatto che non ci sia molto cattivo odore, anche se, mi diranno in seguito, molto dipende dai giorni e dalle condizioni atmosferiche. Per esempio in estate gli insetti si ritrovano qui a migliaia. D’inverno è impossibile, anche per giorni, ricoprire i rifiuti con la terra fradicia…”.
In questo contesto si registrarono forti proteste da parte degli abitanti di Soci, i più penalizzati dalla presenza della discarica. Da questa situazione si uscì poi con la decisione di chiudere il sito e di mandare fuori vallata i rifiuti del Casentino, mantenendo metodi di raccolta che, considerate le esperienze fatte anche in realtà vicinissime a noi (una per tutti il Comune di Capannori in Toscana dove si è praticamente raggiunto il livello Rifiuti Zero!) e le promesse fatte più volte negli ultimi anni (sull’avvio del porta a porta e via dicendo…) sono da Medioevo.
Ma di questo ci occuperemo in un’altra occasione perché qui, dopo questa necessaria introduzione, che ci ha permesso di riassumere ciò che è accaduto negli ultimi decenni, è ciò che accade oggi proprio in quei siti che si è deciso di chiudere che ci interessa.
Infatti le aree della discarica di Fortipiano e di quella di Pescine, dal momento della chiusura degli impianti di compattamento e incenerimento e dei rifiuti, sono state oggetto di interventi e sono ancora oggi osservati speciali. A questo proposito leggiamo, in alcuni atti dell’Unione dei comuni montani del Casentino reperiti on line, indicazioni utili a comprendere a grandi linee di cosa si tratta:
– “L’Unione dei comuni Montani del Casentino provvede allo svolgimento delle attività di post gestione operativa degli impianti di smaltimento rifiuti comprensoriali dismessi: ex discarica comprensoriale di Fortipiano ed ex discarica di ceneri in loc. Pescine, entrambi ubicati nel comune di Bibbiena (AR), in ottemperanza all’attuazione dei Piani di sorveglianza e controllo…”
– “… i piani di sorveglianza e controllo prevedono il monitoraggio annuale dell’assetto strutturale e morfologico dei due impianti da effettuare con rilevazioni topografiche di dettaglio”.
– “Nei piani approvati e negli atti autorizzativi sono previsti controlli e monitoraggi da effettuare come prelievi di campioni di percolato prodotto dall’Ex discarica di Fortipiano e delle acque superficiali del fosso del Poeta a monte e a valle dell’ex discarica di ceneri delle Pescine per la determinazione delle caratteristiche chimiche”.
Abbiamo anche cercato, sempre on line, informazioni relative ai risultati di questi monitoraggi e di queste analisi, ma non siamo stati capaci di trovarli.
Non ci sono però neppure riusciti, almeno secondo quanto abbiamo potuto sapere da fonti vicine ai lavoratori e ai sindacati, neppure coloro che sono chiamati a intervenire sulle aree prima ricordate, che si presentano oggi come innocue colline coperte d’erba, ma che in realtà nascondono tonnellate di rifiuti.
Nella foto che abbiamo estratto dai video girati qualche settimana fa, vediamo personale attrezzato in maniera non consueta che opera all’interno dell’area ancora oggi delimitata e chiusa. Già questo sembra evidenziare che in questi luoghi è richiesto un di più di attenzione, ma, le stesse fonti che ricordavamo prima, ci hanno confermato che era stato ipotizzato anche che, in mancanza di notizie certe sulla situazione ambientale e sulla reale efficacia delle attrezzature di protezione utilizzate, il personale chiamato ad intervenire avrebbe potuto e dovuto rifiutarsi di farlo.
Insomma l’eredità degli anni dello spreco, che purtroppo ancora oggi non sono stati sostituiti da una più consapevole politica di gestione dei rifiuti, potrebbe essere ancora pericolosa?
Lo chiediamo apertamente, come apertamente riproponiamo la richiesta che vengano resi noto i risultati delle analisi e dei monitoraggi che vengono periodicamente eseguiti. A questo proposito non sarebbe male se anche i sindacati, di propria iniziativa, si preoccupassero di fare svolgere proprie analisi, considerato che ci sono lavoratori che si trovano ad operare su terreni potenzialmente a rischio.
Vedremo quali risposte riusciremo ad avere, in ogni caso la nostra inchiesta non si fermerà qui. Siamo solo all’inizio.

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