di Carla Ciagli – Tanti, possono essere i motivi che ci spingono a trascorrere camminando il nostro tempo libero. Panorami affascinanti dalle radure fra gli alberi, lungo le tracce del passato con fortificazioni belliche e aree archeologiche, oppure la curiosità di esplorare territori sconosciuti, ma soprattutto il bisogno di immergerci nella natura. Il piacere della scoperta, il silenzio e la fatica ci gratificano in maniera generosa rendendo la nostra giornata, una giornata spesa bene, un piacevole valore aggiunto. Ma, dove camminare?
Lungo un viottolo che si snoda tra i vigneti delle nostre colline dipinte dalla magia autunnale, oppure in una ridente riviera dominata dalle cime dei monti sovrastanti. Laghi, fiumi, ambienti naturali che la presenza dell’uomo ha rispettato. Mulattiere, eremi e santuari, luoghi mistici e di spiritualità; nel mio Casentino emergono per il loro valore storico-religioso il Santuario della Verna e l’Eremo di Camaldoli.
Il Casentino si trova in Toscana, nella parte orientale della provincia di Arezzo. E’ una valle incantevole, circondata da boschi rigogliosi e da luoghi unici come la riserva integrale di Sasso Fratino, un’area protetta di importanza internazionale. Un passo dietro l’altro, la vita paragonata a un lungo cammino segnato da tappe, con salite e discese. Il cuore accelera il proprio battito e come un maestro ci insegna a liberare le nostre emozioni, ad ascoltare il silenzio e a ritrovare noi stessi.
Per chi ama fare escursioni in montagna, salire verso il Pratomagno resta sempre un’avventura che regala suggestione e meraviglia, arrivare lassù diviene quasi una necessità. Siamo a Garliano frazione di Castel San Niccolò, ai piedi del Pratomagno, sul versante dell’alto Casentino. Ma chi erano questi garlianesi terrazzieri e agricoltori, pastori e boscaioli la cui razza resiste ancora tra queste giogaie? La storia di Garliano è la storia più umile e ignota della montagna casentinese ed è la storia di decine di comunità vissute per secoli aggrappate a questi monti dai quali hanno succhiato la vita. Ancora oggi, nonostante la strada forestale, quando i garlianesi salgono verso il Pratomagno, dicono che vanno in montagna.
E’ evidente che nel paese a 700 metri di altitudine, non si sentono proprio in montagna. Oggi, partendo da Garliano, il sentiero CAI 42 si snoda su una strada bianca in leggera salita tra i castagneti che oramai completamente spogli mostrano la loro struttura attraverso un intreccio di rami contorti. Il terreno è morbido cosparso da un fitto fogliame qua e là devastato dal grifo dei cinghiali.
Seguendo la dorsale, che a tratti si estende più morbida, si stagliano i rilievi più alti e nuovi tipi di vegetazione. La foresta assume un aspetto più folto: superbi esemplari di abete bianco, abete rosso, pino nero, pino mugo, acero montano e ginepro fanno da cornice a una strada bianca che porta sempre la segnaletica: CAI 42. Questa terminerà alla croce del Pratomagno, 1592 metri di altitudine. A pochi metri dal sentiero, nel cuore della faggeta un mucchio di sassi rievoca antiche memorie, sassi rotondi e squadrati, di cava e di fiume, dalle forge più varie provenienti da luoghi diversi e lontani; viene da chiedersi come siano arrivati fin lassù.
Da sempre questa zona aspra e ventosa è denominata «Bambina Morta» e quel piccolo monte di sassi racconta la storia di una pastorella sopraffatta dalla tormenta e dal gelo. Un monumento semplice quanto significativo che la gente povera di questi monti ha eretto a perenne ricordo di questa creatura sconosciuta. La marcia continua in una graduale salita; dopo poche centinaia di metri, s’incrocia una strada asfaltata che conduce ad un ristorante: un ambiente rustico e ospitale che offre una cucina semplice e genuina. Il trekking in zone meno conosciute può favorire lo sviluppo di un turismo lento e rispettoso dell’ambiente, portando un beneficio economico alle comunità locali.
Queste zone sono un punto di partenza ideale per passeggiate brevi ad alta quota, ma offrono anche opportunità per trekking più lunghi e impegnativi lungo una fitta rete di sentieri segnalati. La meta prefissata resta il Pratomagno: si scorgono le prime radure e i prati immensi della montagna, Prati morbidissimi, dove ogni traccia di impurità è distrutta dall’infuriare del vento, dalla pioggia e dal calore del sole. Il punto più alto è dominato da una monumentale croce di ferro, un tempo meta di numerosi pellegrinaggi e feste religiose. Voluta dai francescani, dal 1927 è lì a benedire le due vallate del Casentino e del Valdarno.
Le barre di ferro che la compongono sono state portate a spalla dagli abitanti dei paesi sottostanti lungo sentieri scoscesi, segno di una fede semplice ma profonda. Pratomagno, ovvero «grande prato» una dorsale imponente, uno spartiacque tra il Casentino ed il Valdarno superiore. Non ha una vetta vera e propria, ma un lungo crinale dove in estate pascolano liberi cavalli e mucche. Questa montagna è ricca di acqua; varie sorgenti alimentano i torrenti che scendendo a valle hanno consentito la sopravvivenza alle popolazioni dei paesi sottostanti. Dalla vetta si gode un vasto panorama che spazia tra orizzonti sconfinati dove i colori mutano in base alla luce e alle stagioni. Albe e tramonti inducono a riflettere, uno spettacolo gratuito dal quale ognuno trae le proprie emozioni. Alle pendici di questo massiccio sono adagiati antichi e caratteristici borghi medioevali, pievi romaniche come quella di Stia, San Martino in Vado, Romena, resti di abbazie e di fortificazioni.
Nel medioevo in Casentino sorgevano numerosi castelli, ogni colle era coronato da torri e mura; alcuni di questi manieri, feudi dei Conti Guidi, splendono ancora in tutta loro bellezza come il castello di Poppi, di Porciano e di Romena, di altri restano pochi ruderi. Anche Garliano ha avuto il suo castello medioevale del quale rimangono le rovine abbandonate sul colle del Cernitoio. Però si può ancora ammirare la grande cisterna che ha resistito all’incuria degli uomini. Anche i paesi più sperduti fra questi monti hanno dato i natali a religiosi, frati e monaci, la loro dedizione e il loro esempio hanno lasciato un segno profondo.
Per salire al Pratomagno ci sono diversi itinerari, alcuni dei quali passano vicino a suggestive cappelle votive. Una di queste è la Maestà di Garliano; sorge lungo la strada che portava al castello; per secoli questa chiesetta ha raccolto le speranze di tanta gente che nelle circostanze avverse della vita ha rivolto una preghiera alla Madre Celeste. In quell’epoca segnata da carestie e pestilenze, la fede era un rifugio. La cappella fu costruita dove già era posta una croce di pietra. Fu poi arricchita di un tabernacolo e da una tavola della scuola di Giotto.
Si narra che ovunque giungesse il suono delle campane la peste arretrasse. Molti si chiederanno che senso possa avere alzarsi di buon mattino per affrontare una giornata camminando, non sempre aiutati da condizioni climatiche favorevoli, la pioggia improvvisa, lo zaino che sembra contenere sassi di fiume, il caldo e la fatica. Camminare a piedi rappresenta il modo più naturale di esplorare, conoscere e vivere una dimensione più umana. I miei primi passi li ho mossi su di un terreno accidentato e sassoso. Negli anni cinquanta vivere in un paesino sperduto significava imparare a camminare saggiando il terreno, a mantenersi in equilibrio su stradelli contorti simili a ragnatele giganti che univano villaggi, torrenti e boschi.
A differenza di oggi, dove il trekking è molto diffuso, un tempo ci si avventurava nei sentieri solo per necessità, come la ricerca di legna o di pascoli per il bestiame. Quel silenzio antico, custode di memorie lontane, ha lasciato spazio in me ad un mondo di emozioni nuove, aprendo orizzonti inesplorati: un viaggio interiore, un modo diverso di guardare al mondo, un confronto intimo con la natura.