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venerdì, 19 Aprile 2024

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Il caso Alvaro Andreucci

di Melissa Frulloni – Il caso di Viviana e Gioele ha tenuto tutta l’Italia con il fiato sospeso. Mentre molti di noi erano al mare o in ferie, in Sicilia si è consumata questa tragedia che ha visto mamma e figlio morire in circostanze misteriose. Ancora non è chiara la dinamica dell’accaduto, le lacune e le domande che girano intorno al caso sono molte e diversi aspetti della vicenda restano tutt’ora irrisolti.
Una storia simile si è registrata anche in Toscana; una tragedia che, per molti aspetti, ha toccato direttamente anche il nostro Casentino.
Conoscerete sicuramente la storia del signor Alvaro Andreucci (nella foto sotto accanto con il figlio Gianni), l’ottantatreenne di Firenze, uscito di casa il 31 luglio e ritrovato 14 giorni dopo, purtroppo morto, lungo i binari vicino alla stazione di Rovezzano.
La vicenda è arrivata fino alla nostra vallata perché Alvaro era casentinese di origine; stiano doc ha sempre adorato il Casentino e pur vivendo da quasi 50 anni a Firenze, ogni volta che poteva tornava in quello che ha sempre considerato un luogo del cuore.
La fuga da casa di Alvaro, purtroppo conclusasi in modo tragico, è stata causata dall’Alzheimer: “Il 4 luglio, mio babbo, era ancora una persona sana. Aveva spesso dei vuoti di memoria, ma nessuno di noi si sarebbe potuto immaginare in che direzione stava andando… Pensavamo che fosse una cosa passeggera, una forma di demenza senile, vista l’età. Invece già dal 5 di luglio mio babbo Alvaro ha iniziato a dare dei segni di squilibrio e le cose sono precipitate il 6 luglio, quando siamo saliti su un ascensore che ci ha portati direttamente all’inferno!” Ci spiega il figlio Gianni durante la nostra chiacchierata.
La sua vita e quella della sua famiglia sono cambiate da un giorno all’altro, da quando l’Alzheimer ha colpito in maniera così violenta e repentina il signor Alvaro. Da quel momento Gianni si è subito attivato con le ASL e gli enti competenti per trovare una soluzione e per cercare di arginare una situazione che è apparsa immediatamente molto critica.
“Nei casi in cui l’Alzheimer si manifesta in modo così violento, nella forma estrema che aveva colpito il mio babbo, la Regione Toscana prevede l’attivazione di una procedura per aiutare il malato; il trattamento di un paziente affetto dalla malattia quando è così grave è indispensabile per aiutare sia lui che la famiglia, inevitabilmente coinvolta in un problema davvero difficile da gestire senza l’aiuto di persone competenti.” Ha continuato Gianni: “Ho scritto anche all’assessore Stefania Saccardi per spiegarle la situazione, prevedendo che la malattia di mio babbo avrebbe creato molti problemi se non si fosse agito in fretta. Fui contattato telefonicamente in seguito e l’assessore mi chiese scusa a nome del Sistema Sanitario per eventuali deficit nella gestione di questo caso.”
Il signor Alvaro era scappato altre volte; non era facile trattenerlo, perché nonostante avesse l’Alzheimer, fisicamente stava bene e aveva la forza di uscire, camminare, allontanarsi… Spesso il figlio e i familiari riuscivano a ritrovarlo, oppure venivano chiamati dall’ospedale dove era stato portato da chi lo aveva trovato prima di loro, come ci racconta Gianni: “Il 24 luglio era andato a Stia. Ha sempre amato il suo paese natale; aveva preso la sita ed era partito. Poi per fortuna una volta arrivato in Casentino qualcuno lo aveva riconosciuto e vedendolo spaesato lo avevano trattenuto finché non erano arrivati i carabinieri e poi io che lo avevo riportato a casa. Il 31 luglio scompare un’altra volta e il primo pensiero di tutti noi è che fosse tornato ancora una volta a Stia, ma niente, nessuno lo ha visto e dalla sita non è mai sceso. Lì per lì pensai che avesse sbagliato autobus; magari ne aveva preso un altro ed era andato a Reggello o chissà dove… Così mi misi a girare tutti i paesi vicino a Firenze, ma niente. Andai fino a Bologna, perché c’era l’idea che potesse essere arrivato fin là; con la sua foto in mano a chiedere a tutti se lo avessero visto. Poi, 14 giorni dopo la sua scomparsa, all’1 e 28 di notte, arrivò la telefonata dei carabinieri che non mi scorderò mai, per tutto il resto della mia vita… Lo avevano trovato, morto, lungo la ferrovia, vicino alla stazione di Rovezzano, poco lontano da casa. Fu un dolore immenso.”
L’impotenza di non sapere cosa fare in quei giorni si somma alla rabbia, al dispiacere, alla disperazione di non essere arrivati in tempo, di non averlo ritrovato vivo; per Gianni e la sua famiglia sono momenti di grande tristezza. E insieme allo sconforto iniziano a farsi strada anche molte domande che riguardano tutti quei giorni di ricerche, in cui nessuno sapeva niente sulle sorti del signor Alvaro.
Si scoprirà che aveva camminato per poco più di un kilometro lungo la ferrovia, per circa un’ora e mezzo. L’ultima immagine di Alvaro viene ripresa da un semaforo a Rovezzano che lo inquadra con un fagotto in mano, mentre cammina lungo il marciapiede, poi più niente.
“La ferrovia non è molto distante dal luogo in cui è stato ripreso per l’ultima volta, quindi mi chiedo, perché non cercare subito lì, o comunque nelle zone limitrofe. Poi, in quell’ora e mezzo in cui ha camminato vicino ai binari, sono passati diversi treni; possibile che nessun macchinista abbia notato nulla? Oppure se qualcuno ha fatto una segnalazione, indicando la presenza di un uomo lungo i binari, la segnalazione che fine ha fatto? Nelle ricerche non sono stati impiegati i cani molecolari e anche i Vigili del Fuoco sono stati chiamati solo in un momento successivo… Ho chiesto che venisse eseguita l’autopsia sul corpo di mio babbo perché voglio vederci chiaro. Voglio ricostruire la vicenda e capire di che cosa è morto. Credo che sia giusto che io sappia come sono andate le cose; devo capire dove sta la verità. Lo devo a lui, ma anche a tutti quelli che un domani si potrebbero trovare nella mia stessa situazione.” Ha continuato Gianni.

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Il figlio di Alvaro tiene in maniera particolare che nessuno si ritrovi a vivere quello che hanno vissuto lui e la sua famiglia, sia per quanto riguarda la gestione della malattia, sia per quanto riguarda la scomparsa e quindi l’organizzazione delle ricerche: “È importante capire cosa è andato storto per evitare di commettere, in futuro, gli stessi errori e per permettere a chi si trova nelle stesse condizioni in cui si è trovato mio babbo, di tornare a casa sano e salvo. Un grazie particolare lo devo sicuramente a AIMA (Associazione Italiana Malati di Alzheimer) e Penelope (Associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse). La prima è stata fondamentali nella gestione della malattia; un supporto vero, un aiuto pratico e morale che è stato veramente essenziale. La seconda è stata indispensabile nella fase di ricerca, impegnata davvero in prima linea per ritrovare mio babbo. Ringrazio anche i giornalisti che mi hanno dato spazio e che, nelle ore della scomparsa, hanno mandato in onda i miei appelli e le mie richieste di aiuto. Sarà un caso, ma dopo che sono apparso in tv, mio babbo è stato ritrovato. Forse smuovere l’opinione pubblica è servito ad accelerare i tempi?”
Sicuramente analizzare questo caso, vagliarne i risvolti, le lacune sarà fondamentale per non ripetere certi errori in futuro. Purtroppo sentiamo spesso parlare di casi di persone scomparse, persone spesso malate, con handicap o problemi psichici, uscite di casa e mai più tornate. Per Gianni è fondamentale che il suo caso sia di aiuto agli altri perché certe tragedie non si ripetano più…
La notizia del ritrovamento di Alvaro è stata davvero un duro colpo per Gianni e la sua famiglia, soprattutto perché i giorni che l’hanno preceduta sono stati una vera e propria agonia, momenti intensi, di pura impotenza, in cui è difficile sapere cosa fare, come agire.
Il funerale di Alvaro si è tenuto nella sua amata Stia, qual paese che aveva dovuto lasciare negli anni ’60 per trasferirsi a Firenze dove poi aveva fatto l’imbianchino per una vita. Del Casentino Alvaro amava tutto, i boschi, andare in Falterona o al Lago degli Idoli; cercare i funghi insieme a Gianni, fare l’orto; tornare a quella dimensione contadina che la vita di città non gli consentiva, a cui anche Gianni è molto attaccato.
Anche pochi giorni prima della sua scomparsa aveva detto alla moglie che sarebbe voluto andare a Stia… Chissà a che cosa pensava, quali saranno stati i pensieri che lo attraversavano mentre si incamminava lungo la ferrovia, con il suo fagotto in mano. Forse non sbagliamo di molto se ci immaginiamo che ricordasse la sua Stia e avesse rivolto un pensiero al Casentino, una terra che è sempre rimasta nel suo cuore e che ha sempre ricordato con grande emozione.

(tratto da CASENTINO2000 | n. 322 | Settembre 2020)

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