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giovedì, 16 Gennaio 2025

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Il corto che dal Casentino ha fatto il giro del mondo

di Matteo Bertelli – Qual è la differenza tra un cortometraggio e un film? Se non cadiamo nella banale osservazione riguardante la lunghezza, che implica una serie di atteggiamenti differenti dal punto di vista di uno sceneggiatore e di un regista, possiamo dire che ci siano delle somiglianze talmente forti da poter definire entrambi non solo appartenenti allo stesso filone artistico, ma anche praticamente due arti coincidenti.
Questa breve definizione, non è altro che una parafrasi non invasiva di ciò che ha dichiarato Linda Fratini, sceneggiatrice e regista di Spider-boy (suo ultimo, ma non unico lavoro); uno dei cortometraggi più apprezzati dalla critica, non solo casentinese, ma addirittura mondiale.
A prescindere da ciò che il corto ha vinto o da ciò per cui è stato in lizza per la vittoria, dati e numeri che tutti ormai conoscono visto quanto se ne è parlato nella vallata, la cosa che ci preme più capire è perché Spider-boy è stato così premiato dai giudizi della gente? Cosa trasmette e cosa va apprezzato?
Abbiamo visto e rivisto la pellicola, godendoci in tutto e per tutto il lavoro della regista casentinese, guardando con orgoglio ai borghi che venivano ripresi, riconoscendo le particolari automobili guidate dai co-protagonisti e, dulcis in fundo, provando un’empatia, quasi naturale, per quei bambini alle prese con i primi ostacoli della vita.
Diamo per scontato che si conosca la trama e la sceneggiatura del corto, che parla di due ragazzini delle scuole elementari (due veri ragazzini delle nostre scuole, bravissimi per quanto non professionisti) che si trovano a fronteggiare le difficoltà che gli si presentano davanti a causa della loro diversità nell’aspetto esteriore. Venendo “bullizzati” a causa del colore della pelle (per quanto riguarda la protagonista femminile, Amira, una rifugiata che ha perso i genitori durante quei fin troppo famosi “viaggi della speranza”) o di una piccola, ma evidente, malformazione fisica (una macchia a forma di ragno che spicca sul volto del giovane protagonista maschile, Mattia). Una rappresentazione di un viaggio interiore che ci mostra le varie sfaccettature di ragazzi con un carattere non ancora pienamente maturo ma che, già alla loro tenera età, si trovano ad affrontare dei problemi che non hanno confini anagrafici e che, se la storia proseguisse e non si fermasse alla piccola rivincita degli eroi in quarta elementare, molto probabilmente li accompagnerebbero per tutta la vita, scolastica e non.
Un tema caldo, uno spunto di riflessione interessantissimo e, purtroppo, mai fuori moda che ha reso il blocco di marmo scolpito da Linda Fratini, citando una metafora della stessa regista, un prodotto finito, un toccante cortometraggio che ha fatto, fa e farà sicuramente riflettere molto, sia i bambini (che, come ha testato lei stessa, afferrano il concetto senza problemi) che gli adulti, i quali dovrebbero venir toccati molto più in profondità, data la maturità che si presume debbano avere.
“Non voglio fare il falso profeta.” Ci dice Linda. “Perché ritengo che non sia di aiuto forzare un messaggio, specialmente nei cortometraggi, dove bisogna essere molto più diretti e coincisi; il mio scopo era esporre un pensiero, una meditazione approfondita su un tema che mi ha colpito moltissimo, quale l’atteggiamento che abbiamo di fronte alle diversità, cercando comunque, ovviamente, di sensibilizzare quanto più possibile verso questo argomento, che riguardi i migranti o qualsiasi altro tipo di discriminazione.”
Per far ciò i tratti psicologici dei vari personaggi, resi al meglio sia dagli attori adulti professionisti che dagli “amatoriali” ragazzini, sono stati studiati approfonditamente rendendo non un peso il fatto di entrare in una vita già in parte vissuta, senza sapere niente o poco del passato dei personaggi, senza poterli cioè collocare in un quadro meglio definito di quello che ci viene presentato in quattordici minuti circa.
Una scelta che si è rivelata vincente, perché secondo una valutazione personalmente condivisa, chi si lascia affascinare dalla storia riesce in questo modo, più che in altri, a focalizzare la propria attenzione solamente sulla trama principale. Rimane sì un retrogusto amaro, in quanto magari siamo abituati a vedere storie più “complete”, abituati alla magnificenza dei grandi film, ma Linda sfrutta a pieno il tempo a sua disposizione per rendere chiare le problematiche che vuole affrontare, riducendo al minimo gli spazi di disattenzione dello spettatore che, con pochi indizi che gli consentano di vagare oltre ciò che vede, è quasi costretto a seguire morbosamente le scene che si susseguono e ad ascoltare la candida voce narrante dei due protagonisti.
Una voce narrante che dà vita a pensieri che difficilmente sarebbero potuti essere affrontati se non con le bocche di bambini. Si parla di guerre e dell’odio verso chi le fa, si parla di bullismo ma anche di amore, un amore maturo che comprende anche la tragedia della separazione, semplificata in un linguaggio che fa capire chiunque, si parla di amicizia e persino di morte. Vengono trattati argomenti che, seppur senza un filo conduttore ben visibile, sono in grado di dare al cortometraggio un taglio decisamente serio, facendo risaltare una scenografia figlia di uno studio e, probabilmente, di svariate esperienze di chi un bambino non è più, in grado di strappare qualche lacrima ai più sentimentali, oltre ad ispirare, per chi ha voglia di mettere in gioco i propri pensieri e le proprie convinzioni, delle serie riflessioni e, perché no, dei veri e propri esami di coscienza.
“Se un film è fine a sé stesso, a mio parere, è freddo e lo può vedere chiunque. Secondo me bisogna esporsi, tirare fuori quello che si ha dentro e metterlo nel proprio lavoro, essendo sinceri, prima che con gli altri, con sé stessi, dove con sincerità intendo mettere in mostra, già anche solo nella stesura della sceneggiatura, i propri sentimenti, mostrando ciò che ci ha toccato e sperando faccia lo stesso effetto, rivisitato in una pellicola, anche agli spettatori.”
Son chiare quindi le finalità e le molle propulsive che hanno spinto Linda Fratini e un altro centinaio di collaboratori (tra cui Mark Melville come direttore alla fotografia) a intraprendere questo difficoltoso viaggio, prodotto dalla cooperativa Onlus “L’Albero e la Rua” di Rassina, dandole la forza di continuare a lavorare per vedere finita la propria scultura, nonostante le difficoltà che l’intera troupe ha avuto una volta che han preso in mano lo scalpello per dar vita al prodotto completo.
Un vero e proprio orgoglio casentinese, dunque, che ha fatto girare il mondo ai borghi nostrani, che ha fatto emozionare critici tanto che, venendo meno alla loro natura, sono riusciti a formulare solo complimenti, e facendo emozionare e riflettere ogni spettatore, segno che Linda Fratini ha centrato in pieno il suo obbiettivo e è riuscita veramente a trasmettere tutte le emozioni che voleva farci ricevere.

(tratto da CASENTINO2000 | n. 289 | Dicembre 2017)

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