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venerdì, 19 Aprile 2024

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Il mio nome è Guevara

di M. Meschini e M. Andreani – Ci sono nomi che pesano. Lo sa benissimo Martin Guevara Duarte, figlio del fratello minore del “Che”, che su questo ha scritto anche un libro. Abbiamo saputo all’inizio del mese scorso che, proprio nei giorni in cui si è ricordata la morte del rivoluzionario sudamericano, Miguel Guevara Duarte si trovava in Italia così, approfittando dei social, siamo riusciti a concordare con lui un’intervista. È stata un’opportunità importante perché abbiamo scoperto una persona cordiale, curiosa, legata alla storia della sua famiglia e ai valori che rappresenta; ma anche una persona che, nel solco di quella storia, sa affermare, presentare e condividere le sue personali convinzioni e idee.
Intanto chi è Martin Guevara Duarte? «Io scrivo, sono uno scrittore, scrivo articoli, scrivo sui blog e scrivo libri. Adesso sto partecipando ad un lavoro di riscoperta del territorio attraversando tutta la Sicilia».
Può raccontarci di cosi tratta e quali gli obiettivi di questo progetto? «Stiamo seguendo l’Antica Trasversale Sicula, un percorso che attraversa tutta la Sicilia e l’obiettivo è unire le differenti culture che formarono la Sicilia e con questa tutto il mondo occidentale. Questo per due ragioni. La prima è perché i siciliani mantengono una maggiore identità in rapporto a tutta la terra. E l’altra è che il mondo possa conoscere tutto questo. Ormai da quattro anni si sta lavorando qui in Sicilia per costruire un cammino simile al Cammino di Santiago ma che a differenza di questo non abbia radici religiose. Un cammino in cui qualcuno possa vivere l’aspetto spirituale, un altro quello più legato alla natura e all’ecologia, un altro ancora sentire e riscoprire il proprio legame con la terra oppure scoprire aspetti sconosciuti e curiosi della Sicilia. Tutto questo in un percorso di 650 chilometri da coprire in 45 giorni».
Quindi non un cammino religioso, ma un cammino attraverso la Sicilia in cui, ci sembra di capire, sia importante valorizzare l’umanità e i sentimenti… «Si è così…».
Durante questo cammino siciliano ha potuto visitare anche Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Lei conosceva già la storia di Peppino Impastato? «Si la conoscevo, ma adesso ho avuto la possibilità di conoscerla meglio. Conosco la storia di Peppino, della sua mamma che fu molto importante per l’impegno femminista nella lotta alla mafia. Io penso che questo sia un punto nella storia della Sicilia e dell’Italia molto importante».
Cosa ha visto e chi ha incontrato? «Per prima cosa siamo stati proprio nella casa di Peppino con la nipote Luisa Impastato e con i compagni e gli amici di allora. Poi la sera ci siamo incontrati nella sede dell’associazione…».
Ha potuto vedere anche la sede di Radio Aut? «Si ho visto dove era la sua radio e la casa del mafioso, quella che era distante solo 100 passi…».
Parlando adesso del suo lavoro di scrittore, a noi ha incuriosito il suo libro “A la sombra de un mito”, in cui parla di un personaggio che è in effetti un mito anche per noi… intanto il libro sarà tradotto e pubblicato in Italia? «Per adesso non è in italiano ma io vorrei che lo fosse perché qui in Sicilia ho trovato un grande interesse per questo libro, ho ricevuto anche un premio per questo (al GrandPrix 2017, n.d.r.). Ma io non so ancora cosa sarà deciso, sono decisioni commerciali che io non seguo e che non mi piacciono molto…».
E entrando più nel merito del libro cosa è per lei adesso Cuba, la rivoluzione e quanto è stato importante o difficile portare questo nome? «Crescere con l’immagine di un uomo come Che Guevara è stato difficile, è vero. Io sono cresciuto a Cuba, a San Jose, sono della famiglia Guevara e il principio nostro è sempre stato quello di denunciare le ingiustizie, manifestarle ribellandosi ad esse, senza rimanere passivi. Non è facile a Cuba trasmettere questo modo di pensare. Spesso il popolo rimane zitto davanti alle ingiustizie ma non dovrebbe essere così».
Adesso lei abita in Spagna? «Si, ho fatto questa scelta anche per superare questa ombra del mito, questa permanente fama del “Che” che non c’è solo in Argentina, a Cuba, in Bolivia ma anche in Italia, in Francia… In Spagna c’è la particolarità di Franco e di una storia del fascismo che durò fino alla metà degli anni ‘70. Così il “Che”non ha avuto modo di essere troppo ricordato anche perché la sinistra spagnola per arrivare al potere ha seguito un’ideologia molto pacifista che io condivido. L’unica cosa che non condivido con mio zio è la violenza. Io penso che tutto il cammino debba seguire un pensiero di pace…».
A questo punto dobbiamo concludere la nostra telefonata, ma c’è ancora il tempo per un saluto e un arrivederci… Tornerà in Italia? Tornerà in Toscana? Lei è già venuto nella nostra Regione? «No, ho visitato quasi tutta Italia ma non la Toscana. Voglio però venire in Toscana perché realmente è meravigliosa, l’arte italiana è incantevole e la Toscana ne è un esempio…».
Poi qui in Casentino abbiamo un Parco Nazionale dove è bello camminare… «Bene, allora rimaniamo in contatto!».
Ci piace considerarlo un appuntamento per un tempo poi non troppo lontano, anche perché la distanza e le interferenze nella comunicazione con il telefono, il poco tempo a disposizione e la difficoltà di comprendersi un po’ in spagnolo e un po’ in italiano, ci hanno impedito di approfondire tanti argomenti e conoscere meglio il pensiero di Martin Guevara Duarte.
Per questo vorremo avere la possibilità di continuare il discorso per conoscere meglio il suo lavoro e il suo pensiero, per ascoltare il racconto degli anni trascorsi a Cuba e poi in Argentina e Spagna. Per sapere molto di più del suo libro “All’ombra di un mito” in cui parla della figura di Ernesto “Che” Guevara da un punto di vista particolare e privilegiato.
Noi conosciamo l’altro racconto e siamo tra quelli che sono affascinati dalla storia di un uomo che è diventato l’essenza stessa della rivoluzione in tutto il mondo. Conosciamo la sua foto simbolo, quella foto che tanti conservano. Conosciamo anche la storia di quella foto, scattata ad un funerale di un amico in cui il suo sguardo sembra guardare oltre tutto quello che gli stava accadendo intorno. Conosciamo il racconto del suo viaggio in sella alla motocicletta fatto con l’amico Alberto Granado in giro per l’America Latina. Conosciamo la scelta di lasciare Cuba e di partire con il peso psicologico delle morti degli amici e compagni che aveva inviato ad accendere un foco guerrillero nel suo Paese natale, l’Argentina. Con l’intento di aprire un fronte per arrivarci, scelse la Bolivia anche se sapeva che aveva moltissime possibilità di morire, ma la vittoria a Cuba era diventata un’impresa importante e assolutamente da replicare. E proprio in Bolivia si concluse tragicamente la sua storia, ma Che Guevara trovò però, proprio nella “sconfitta” di essere ucciso, il modo di sottrarsi alla banalità di morire vincitore e vecchio.
Continuare il discorso con Martin Guevara Duarte ci aiuterebbe ad arricchire ancora di più ciò che conosciamo su tanti aspetti e anche a riflettere insieme sul punto di vista che ha voluto proporci a favore di un agire nonviolento. Ci sentiamo vicini a questo suo modo di leggere il mondo, anche perché la nostra storia di europei, che hanno avuto la fortuna di vivere lontano dalle troppe guerre che anche ai giorni nostri si combattono, aiuta a rafforzare queste convinzioni.
Immaginiamo che per Ernesto “Che” Guevara, più di 50 anni fa, fosse molto più difficile fare scelte simili nel mezzo ad una rivoluzione, infatti, anche se ammirò Gandhi e le sue gesta, era convinto che non si potesse distruggere il privilegio senza ricorrere alla violenza.
Oggi la testimonianza di Martin Guevara Duarte ci permette di sottolineare l’importanza di denunciare le ingiustizie scegliendo metodi di lotta nonviolenti. Un altro Guevara che vuole essere un uomo del proprio tempo.

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(tratto da CASENTINO2000 | n. 300 | Novembre 2018)

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