di Sefora Giovannetti – Forse penserete che questa domanda sia assurda o estremamente eccessiva ma non vi rendete conto di quante volte viene espressa da un ragazzo. La sento e la risento in più occasioni, da studenti di ogni tipo di scuola. Ho voluto riportarla qui per cercare di capirne l’origine. Partiamo dall’assunto che studiare ha fatto, da sempre, fatica a tutti. Non è vero che ad alcuni allievi è sempre piaciuto studiare, lo dicono coloro che ormai hanno la memoria offuscata dal passare degli anni. Studiare non sempre è simpatico. Ora, però, è altresì vero che asserire ciò, non significa affermare che la scuola sia un incubo. Un incubo è qualcosa di terribile, di tremendo.
Come si fa ad alzarsi la mattina e pensare di andare in un luogo così tanto brutto? Cosa è che vedono di così orribile? Ho provato a ricordare quando anche io andavo a scuola e le emozioni che sono emerse riguardavano il disagio verso alcune materie e il sonno in certe mattine invernali, ma niente a che vedere con l’incubo. Ricordo che andare a scuola voleva dire anche incontrare tanti amici, ridere, conoscere nuove cose, niente di troppo sconveniente. Tali emozioni erano vissute, non solo da me che semmai potevo essere interessata allo studio, ma anche da amiche che non lo amavano affatto. Che cosa è accaduto in questo lasso di tempo che ha portato i giovani allievi a parlare della scuola in termini così estremi? Forse la scuola da troppo tempo aveva promesso di cambiare, di modificare i propri metodi di insegnamento, ma niente da fare, siamo ancora al lontano 1800, sulla falsa riga del libro cuore, facciamo ancora lezioni frontalissime dove infarciamo le menti dei giovani allievi di nozioni su nozioni.
Eppure in tutti i corsi di formazione i docenti vengono redarguiti, attraverso lunghe e noiose lezioni frontali, di non organizzare lezioni frontali. Interessante. In classe si sta tutti seduti per ore e ore, si ascolta in silenzio, se si disturba, nota nel registro e via e via… niente di nuovo sotto il sole. Non si parla troppo di passione né di cosa possono servire queste lezioni, intendo nella vita di tutti i giorni, si fa meno attenzione al ragionamento rispetto alla questione mnemonica. Memorizzare nozioni su nozioni che dopo, irrimediabilmente, si perdono. I professori sembrano volere essere sempre più amici dei ragazzi, raccontando le proprie vite, le contrarietà, facendo battute a volte anche poco opportune, pur di strappare un sorriso, che poi, purtroppo, si trasforma in beffa. Di amicizia tra le due parti non penso si possa parlare visto lo scarto generazionale, tutt’al più si dovrebbe parlare di rispetto o addirittura stima, ma questa è un’altra storia.
La stima non si ottiene compiacendo, ma facendo sviluppare attitudini e potenziando talenti, attività di sicuro più complessa. Penso, per questo, che i ragazzi si trovino di fronte ad un vuoto, non esiste più la persona più grande di loro che può aiutarli nel cammino. Si trovano in un luogo, la scuola, forse sin troppo scollegato con la realtà, luogo del quale forse capiscono poco l’utilità. Certo che in tutta questa situazione la società non aiuta. Siamo circondati dal niente: tanti ragazzi su Tik Tok che ostentano saperi, sfoggiando lavori come il creator. Non dico che non possano esistere nuovi lavori e che questi non possano essere svolti sui social, ci mancherebbe. Ma è la poca professionalità, la mancanza di argomenti, la scelta dei contenuti che fa di queste attività una vera e propria beffa. Tanto che, di questi visi noti sui social, ogni tanto qualcuno si perde tornando a vendere panini a tre euro.
Qual’è il problema? Il problema sta nel fatto che le telecamere lasciano vedere solo il momento della gloria, il momento in cui riscuotono tanti like o visualizzazioni. Quando poi la realtà sopraggiunge e i protagonisti di questi video non trovano più argomenti da offrire, allora nessuno ne parla più. Nell’illusione collettiva rimane l’idea del successo, ottenuto in poco tempo e senza sforzo. Una tale idea rimane nella mente dell’adolescente medio che la conserva e se la porta tra i banchi. Certo alla scuola abbiamo imputato tante colpe, ma dall’altra parte, abbiamo un esercito di ragazzi che credono in occupazioni effimere, veri e propri giochi economici nelle mani di pochi imprenditori. Ecco che allora si parla di incubo, qualcosa di incomprensibile poiché quel che è dentro è troppo lontano da ciò che è fuori. Una tale frattura è sempre esistita, oggi forse possiamo parlare di vero e proprio scollamento.
Come riuscire a sanare? Difficile dirlo, di certo non basta scimmiottare il modo di fare dei ragazzi per poterli appassionare, rischieremmo solo di essere ridicoli. Forse dovremmo tutti rivedere le proprie posizioni: i ragazzi uscire dalle illusioni social e la scuola identificarsi in un ruolo un tantino svecchiato e arricchito di stimoli.
(SCUOLA SOCIETA’ sognando futuri possibili è una rubrica a cura di Sefora Giovannetti e Mauro Meschini)