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mercoledì, 16 Luglio 2025

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La transumanza, non solo una festa

di Gabriele Versari – Nella giornata di domenica 15 giugno si terrà, nel paese di Raggiolo, l’annuale appuntamento con la Festa della Transumanza, un’occasione per ricordare una tradizione storico tipica del territorio casentinese che per secoli ha caratterizzato i nostri luoghi, tra i quali il celeberrimo borgo sito all’interno del comune di Ortignano Raggiolo. La Brigata di Raggiolo, il cui scopo è valorizzare la cultura e la tradizione del luogo, ha pubblicato un comunicato stampa in cui invita caldamente a partecipare all’evento. La giornata prevede un ricco programma atto a coinvolgere tutta la famiglia: l’allestimento di un mercatino per la degustazione dei prodotti tipici dei transumanti, l’apertura dell’Ecomuseo della Castagna e della Transumanza, laboratori, cortei storici con i Cavalcanti della Tradizione, animali da fattoria e spettacoli per i più piccoli. Una festa che premette dunque divertimento e svago conditi dalla curiosità di riscoprire questa importante attività che non va dimenticata.

Nel promuovere la partecipazione all’evento, ci siamo mobilitati alla ricerca di una personalità che potesse approfondire per voi lettori il mondo della transumanza. Colui che ha risposto a tale richiesta è il professor Gianluca Bambi, ricercatore presso l’Università degli Studi di Firenze per il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI). Il professor Bambi si è specializzato, tra le altre cose, nello studio della transumanza, avendo collaborato, insieme a Regione Toscana, a diversi progetti di ricerca allo scopo di far luce su questo particolare fenomeno del passato.

Professore, ci può sintetizzare brevemente il suo percorso e parlare di come ha avuto modo e interesse di approfondire il tema della transumanza? «Faccio parte della scuola ex Università di Agraria di Firenze. Mi occupo, all’interno del settore “Costruzione del Paesaggio”, di opere rurali e infrastrutture per attività connesse alle produzioni primarie, ovvero turismo rurale ed escursionismo (a piedi, in bicicletta e a cavallo), che ovviamente hanno a che fare con le aree extraurbane e rurali di cui mi interesso con finalità di riqualificazione socioeconomica. Ormai sono oltre vent’anni che mi occupo di tali materie, facendo parte di importanti consigli scientifici direttivi legati ad associazioni improntate sulla ruralità. Collaboro con Regione Toscana e diversi comuni toscani per realizzare e promuovere al meglio i progetti di cui sopra. In Casentino, in particolare, mi sono occupato dei territori attraversati dalla celeberrima Via di Francesco dal punto di vista della valorizzazione storico-culturale, ma non solo itinerari religiosi. Mi sono infatti documentato e ho lavorato per valorizzare i luoghi principali legati al tema di quest’intervista, la transumanza. Il progetto è nato quattro anni fa per volontà di Regione Toscana, Settore Agricoltura, la quale mi ha assegnato l’incarico di riscoprire una serie di percorsi in tutta la regione. Quello in cui ci siamo concentrati principalmente sono state proprio le tratte boschive percorse dai transumanti, grazie all’appoggio di Franco Franceschini, presidente della Brigata di Raggiolo. Fu stipolato, nel contesto di tale impegno, un protocollo tra i vari comuni del Casentino che impegnava gli stessi a sostenere un progetto tutt’oggi in essere, volto a porre luce sui percorsi che i transumanti erano soliti compiere per portare a termine la propria missione».

Professor Bambi, è mai entrato in contatto con Casentino prima di partecipare al progetto appena descritto? «Io sono per metà casentinese, per la precisione ho una parente che ha vissuto nel paese di Quota, frazione del comune di Poppi. Per tale motivo ho abitato, per un periodo della mia vita, nel vostro territorio, pur essendo di fatto residente a Firenze. Essendo un dottore forestale, i primi lavori di cui mi sono occupato sono stati in collaborazione con il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e, in secondo luogo, essendo diventato una delle prime guide ambientali della Toscana, ho lavorato per tanti anni nella valle».

Com’è legato il paese di Raggiolo alla transumanza? «Molti abitanti del paese erano transumanti, di conseguenza c’è stata quindi la volontà di recuperare questa tradizione attraverso la fondazione dell’Ecomuseo della Transumanza (oltre che della Castagna) grazie all’opera sia della Brigata di Raggiolo che della rete degli ecomusei del Casentino. C’è da aggiungere, però, che la transumanza come fenomeno storico-culturale comprendeva un po’ tutti i luoghi del Casentino ed era fondamentale per lo spostamento di greggi verso la maremma. In ogni caso, il luogo più rappresentativo di tale tradizione in Casentino rimane, per l’appunto, il paese di Raggiolo con il suo Ecomuseo e la sua Brigata».

Quando è collocato temporalmente il fenomeno della transumanza e quale influenza ha avuto oltre a quella economica, vista l’importanza di massimizzare la produzione delle materie prime in base alla stagionalità? «Pur avendo radici molto antiche, dopo il secondo dopoguerra si hanno ancora segnalazioni e testimonianze del passaggio delle greggi che partivano dal Casentino per transitare nel senese. Dunque, anche se il fenomeno sembra appartenere ad un tempo lontano, in realtà ancora negli Anni Sessanta era molto in voga. Ovviamente, con l’avvento di nuove strade e infrastrutture, si è facilitato di molto il trasporto del bestiame. Tali innovazioni hanno fatto sì che i transumanti desistessero nel percorrere sentieri boschivi a favore del trasporto su strada. Via via il fenomeno è andato dunque scomparendo nel corso degli anni. Inoltre, l’apporto di nuovi macchinari agricoli ha aumentato la produttività dei generi alimentari permettendo l’accumulo di scorte per l’inverno e facendo venir meno l’esigenza del transumare. L’influenza che la transumanza ha avuto, sui territori casentinesi e non solo, non è stata solo economica ma certamente anche socioculturale: ha permesso il miscuglio di culture, di modi di dire, di pensare, di agire, di mangiare ma, al tempo stesso, insegnava ai giovani cos’era la fatica, il lavoro, il sacrificio necessari per garantirsi le risorse necessarie per vivere. Si era creata una sinergia particolare tra i pastori e gli abitanti dei luoghi che questi frequentavano, come particolare era anche la nostalgia che attanagliava i famigliari dei pastori mentre questi ultimi erano in viaggio. Tutto questo aggiungendo la storia del decorso enogastronomico dei prodotti derivati, dal latte della Val D’Orcia al prosciutto del Pratomagno, prodotti tutt’oggi molto apprezzati. Si trattava di un allevamento estensivo, che trovava nei tempi dilatati e nella pazienza la qualità delle produzioni. Molti giovani, al giorno d’oggi, si stanno riavvicinando agli allevamenti di questo tipo, non solo per recuperare economie montane importanti ma anche per vivere la vita in maniera più equilibrata, in una società ormai forse eccessivamente frenetica e caotica, sovrastata da un’eccessiva predominanza della tecnica e della tecnologia. Da tali premesse nasce il bisogno di tornare alla terra e quindi alle proprie radici, a stretto contatto con l’animale».

Avendo citato gli allevamenti estensivi viene subito alla mente la tipologia opposta di allevamento, e cioè quella intensiva, che purtroppo oggi determina una serie di minacce sia dal punto di vista della qualità dei prodotti sia da quello dell’impatto ambientale, con livelli di emissioni di gas serra veramente pericolosi per il futuro della Terra. Riconoscendo l’impossibilità di un completo ritorno alla tradizione della transumanza, sarebbe comunque opportuno prendere spunto per attuare un regime di allevamento più sano per l’animale e per l’ambiente? «Indubbiamente. Lo scopo di attuare sistemi estensivi è proprio questo. Oggi si può parlare di semi-brado, nel senso che la stabulazione è presente ma è meno opprimente; ha un impatto inferiore sul territorio da un punto di vista eco-sistematico e fa sì che si mantengano quelle parti rurali-storiche che altrimenti andrebbero perse con l’abbandono, quindi mantenendo un equilibrio che è perdurato fino al recente passato. Con l’abbandono, infatti, si pensa erroneamente che la natura possa ritrovare in maniera autonoma il proprio equilibrio, ma di fatto non è così: alcuni sistemi naturali rurali sono nati proprio a seguito dello stanziamento del bestiame e della pastorizia nei campi e nei prati, fattori che hanno determinato importanti equilibri tra fauna e flora senza i quali alcuni componenti biologiche non esiterebbero».

Cosa potrebbe incentivare turisti e visitatori a partecipare all’evento del 15 giugno? «Il messaggio che deve passare è il seguente “non esiste futuro per chi non ha conoscenza, la quale viene dalla piena consapevolezza del passato”. La conoscenza del territorio, degli usi e dei costumi, delle consuetudini. Siamo il territorio che viviamo, per cui far conoscere al bambino ma anche all’adulto la storia del proprio contesto è un valore che porta con sé un messaggio importante: l’amore per la terra, per la natura, per gli animali, per il prodotto portano alla conoscenza del territorio che li accomuna. Raggiolo porta avanti tale messaggio, poiché molti suoi abitanti sono figli di transumanti. Sarò presente anch’io, vi attendiamo numerosi!»

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