di Terenzio Biondi – Negli anni cinquanta i Salesiani del Collegio di Strada in Casentino erano soliti organizzare, nella bella stagione, gite “ecologiche” nei dintorni del paese. Vi partecipavano i ragazzotti più grandicelli e anche, col permesso dei genitori, i meno grandicelli. Io vi partecipavo sempre, immancabilmente, con quasi tutti i miei amici. Si andava al Paretaio, alla Pozza Tonda, nella Spagna (che non è la Spagna degli Spagnoli, ma più semplicemente quel piccolo borgo di quattro case poco sopra Terzelli), e qualche volta si arrivava addirittura alle “Terre Bianche” (o “Dune”) del Fosso di Garliano.
Ci volevano, per arrivarci, quasi due ore di cammino, ma ne valeva la pena. È un posto meraviglioso, con tante collinette di sabbia e bianco pietrisco che dal fosso si estendono in alto per qualche centinaio di metri in direzione di Garliano, quasi prive di vegetazione, a parte qualche arbusto che a fatica sopravvive nella siccità delle dune. Posto ideale per il gioco che allora andava per la maggiore, il gioco delle “fascette”. Ci si divideva in due squadre e i componenti di ognuna delle due squadre si mettevano attorno alla testa una fascetta del colore della squadra, con impresso un numero in corrispondenza della fronte. Si camminava con la testa più in basso possibile, nascondendosi fra le dune, e si cercava di scoprire il numero impresso sulle fascette degli avversari.
Ad esempio, se Beppe (uno dell’altra squadra) aveva il numero 10 e io ero riuscito a individuarlo, urlavo: “Beppe 10” e Beppe, se aveva il 10 sulla fascetta, si alzava con le mani in alto e veniva fatto “prigioniero”. Vinceva la squadra che riusciva a fare prigionieri tutti i componenti della squadra avversaria. Che divertimento, ragazzi! Si mangiava un panino con formaggio o salame; si beveva un po’ di acqua o una gazzosa e si finiva immancabilmente con i piedi a mollo nelle pozzette con acqua bassa subito a valle della Pozza della Merla.
Alla Pozza della Merla noi più piccoli non ci si avvicinava, perché l’acqua era profonda e poi perché… sì… c’era una cosa straordinaria nella pozza… alcune piante che stavano con le radici nell’acqua, delle piante enormi che parevano nascere dall’acqua e arrivavano – ci sembrava – quasi a toccare il cielo. E qualche ragazzotto più grande, che si diceva esperto della zona (o forse era solamente dotato di più fantasia), ci raccontava l’antica leggenda delle “piante assetate”.
Là nelle Terre Bianche l’acqua era scarsissima e le pianticelle soffrivano sempre una sete tremenda. Sentivano scorrere l’acqua poco a valle e così di notte, con l’aiuto della rugiada, muovendo i loro piedini sotto la sabbia, piano piano, cercavano di raggiungere il torrente. Alcune ce la facevano e, arrivate al torrente, sulla riva della grande Pozza della Merla, potevano bere a volontà. E lì sono rimaste e cresciute, ben piantate sulla riva e con le radici nel fondo della pozza.
Le guardavo da lontano, le piante assetate, diventate enormi, e nelle acque profonde e limpide della pozza rimiravo a lungo le radici che disegnavano quasi un dedalo di cunicoli e poi penetravano nella fine rena del fondale.
Ci sono ancora oggi, le piante assetate, come sessant’anni fa, bellissime, i tronchi enormi nei pressi della riva e i grandi rami ombrosi che coprono quasi tutta la pozza. E ogni volta che vado a pesca nella zona mi siedo, per uno spuntino, sulla riva della Pozza della Merla, e mi ritrovo sempre a fantasticare sulle piante assetate (ma come avranno mai fatto a raggiungere il torrente?) e a frugare con gli occhi fra le infinite radici che formano nel fondo della pozza un labirinto di cunicoli, rifugio sicuro per i pesci.
(Rubrica I RACCONTI DEL TORRENTE Storie vere, leggende, incontri… nei torrenti del Casentino di Terenzio Biondi)