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venerdì, 19 Aprile 2024

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Le vie del bosco

di Elisa Fioriti – Un vecchio castagno nodoso, quello di Pian Fabbri, nell’articolato intreccio dei suoi rami e rametti, capeggia al centro della fotografia di copertina: è l’immagine simbolo de Le Vie del bosco, il libro sui generis dei fratelli Giuseppe e Renato Giovannuzzi, una minuziosissima raccolta di nomi, fatti, storie che restituiscono vita e voce alle strade, per lo più dismesse, che partivano, come i rami dalla pianta, dallo storico borgo di Raggiolo, raccordandolo al territorio circostante. Incamminiamoci insieme su questi percorsi, nell’intervista.
Come è nata l’idea di scrivere il libro?
Giuseppe: «L’idea mi è venuta circa sei anni fa, da un incontro fortuito: ero a controllare i terreni di una proprietà in Romagna, quando mi sono imbattuto in un tizio del posto, che mi raccontò di aver lavorato lì a mezzadria per cinquant’anni, come suo padre e i suoi nonni prima di lui. L’emozione era tangibile: percepivo quanto profondamente fosse rimasto legato a quei luoghi. Del resto, anch’io, che mi sono trasferito trent’anni fa in Romagna per raggiungere la famiglia di mia moglie, ho mantenuto salde le mie radici a Raggiolo; lo stesso mio fratello Renato, che abita a Prato. Ebbene, conversando con il romagnolo, son venuto a sapere che nella zona aveva gravitato “il Passatore”, un brigante di metà Ottocento dalla fama di Robin Hood, perché, come capitava facessero i banditi coi proventi delle scorribande, ricompensava la gente che gli dava un appoggio. Il nonno del romagnolo aveva incontrato il Passatore allo “Spicchio”, dove portava le pecore al pascolo. Chi se lo sarebbe aspettato? Se nessuno le raccontasse più, finirebbero nell’oblio simili storie, intrecciate al territorio in cui si sono svolte e che nei nomi di luogo, i toponimi, serbano traccia».
Renato: «Tracce che lo scorrere del tempo rende oscure, non facili da decodificare. Il nostro libro Le Vie del bosco ne custodisce oltre cinquecento: negli anni abbiamo passato in rassegna un’area di 4.000 ettari, da Raggiolo alla Croce del Pratomagno. Come, infatti, ogni città ha strade e piazze, intitolate a un personaggio o a un avvenimento in rapporto alla storia locale e nazionale, anche il bosco ha i suoi punti di riferimento, le sue vie: una segnaletica orale, trasmessa parola su parola di generazione in generazione…».
Giuseppe: «Per i paesi montani, isolati sui crinali, per i borghi tipo Raggiolo la dimensione del paese è sempre andata di là dai confini dell’abitato: il borgo formava un tutt’uno con il bosco, fonte di vita, di sostentamento, di reddito. Le persone trascorrevano gran parte della giornata nei boschi in cerca di cibo e materie prime, o a lavorare, tra legnaioli, carbonai, castagnai…».
Renato: «Oggi lo spopolamento sta infrangendo la simbiosi uomo-ambiente riflessa nei nomi di luogo, riducendone il valore d’uso. Mai, però, potrà venir meno il loro valore storico, culturale, sociale. Io e mio fratello abbiamo cercato di non spezzare la catena della memoria».
Volevate passare il testimone?
Giuseppe: «Trasmettendo le testimonianze, orali e scritte, che saremmo riusciti a raccogliere. Ci siamo riallacciati alla nostra esperienza privata, a quella dei nostri genitori e parenti, degli anziani paesani rimasti. Renato, poi, esperto e amante di storia, si è occupato degli archivi: ha consultato le Biblioteche e gli Archivi principali del Casentino e del circondario di Firenze, quello vescovile, notarile… nonché gli inventari digitali e le banche dati disponibili nel web».
Renato: «Si è rivelato un tesoro d’informazioni, ad esempio, l’Archivio dell’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, presso cui venivano ricoverati molti Raggiolatti. Coi miei studi sono risalito ben oltre il Medioevo: ho trovato tracce d’epoca preromana ed etrusca, su liguri e longobardi, popolazioni del comune ceppo linguistico proto-germanico stanziate nella vallata. Tramite un’attenta serie di ricerche ho ricostruito l’etimologia e la storia linguistica di un’infinità di parole, recuperando, fra verità e leggenda, aneddoti e storie preziose».
Tipo quali?
Renato: «Scommetto non conosci quella del “Vado”… Lo storico ponte costruito in questa località al bivio del Foresto compare in documenti d’età medievale. Il toponimo è incerto: deriva o dal latino “vadum”, col significato di “guado”, o dalla voce “vado”, che in antico dialetto corso significa “torrente”. Al Vado è legata la storia di una feroce vendetta. Una giovane sposa, accusata ingiustamente di furto dalla suocera, fu uccisa dal marito e dai sei cognati, e bruciata nella carbonaia dove lavoravano. Cercando sue notizie, il fratello ne ritrovò l’anello scoprendo la verità. Così, nei pressi del ponte, sterminò tutti a colpi d’ascia e appese agli alberi i resti dei corpi. Prima di lasciare il paese, sulla porta della chiesa attaccò un cartello: “Chi vuole carne fresca, vada al Vado”».
Come avete organizzato il materiale raccolto per dargli forma di libro?
Giuseppe: «Le Vie del bosco è un libro che concretamente si sviluppa attorno al territorio del paese: ciascun capitolo è dedicato a una strada che attraversa, portandosi dietro tutto il suo vissuto, i boschi di Raggiolo, centro di raccordo. Su questo filo conduttore, ai dodici capitoli corrispondenti alle vie si aggiungono i quattro capitoli finali, che collezionano i toponimi in tabelle illustrative, con posizione e stato di conservazione dei luoghi. I toponimi sono organizzati per tema: seccatoi, costruiti nei boschi secondo gli standard delle riforme leopoldine, per essiccare le castagne e fare una buona farina; casette e capanni, usati come riparo, rimessa o rifugio per gli animali; ponti dal piano al monte; pozze sul Teggina, a cui abbiamo attribuito i nomi di quasi quaranta famiglie raggiolatte (tra esistenti, estinte e neoarrivate), salvo una intitolata a Raggiolo e a coloro di cui si è persa la memoria».
Renato: «Pozze d’acqua cristallina, bellissime, ce ne sono lungo il torrente Barbozzaia, affluente del Teggina: la sua costa, nel primo tratto, è ricca di ontani, le cui radici fuoriescono dal terreno gettandosi nel fiume in cerca d’acqua e formando lunghi ciuffi rossastri, che ricordano le barbe. Da vedere la “Pozza dello Scoglio”, a monte: sopra la pozza c’è una sorta di tettoia, dalla cui sommità esce l’acqua, formando una cascata di quattro metri».
Giuseppe: «Ontani… e carpini neri, cerri, aceri, abeti bianchi appenninici (rarissimi): una porzione della foresta originaria si è conservata a “Barluzzi”, luogo isolato in fondo alla Gorga, a ridosso del Teggina. Il nome deriverebbe da “barluzzo”, il bagliore provocato dall’incendiarsi del fosforo nel terreno quando le temperature nelle carbonaie superavano 40 gradi: scorgendoli di notte, i carbonai si spaventavano, temendo che fosse la carbonaia a bruciare! È lo stesso fenomeno dei fuochi fatui, causato dal fosforo delle ossa in decomposizione. Frequenti bagliori si vedevano pure nella via di Prata, a “Campo di Ferro”».
Renato: «La toponomastica conferma che a Raggiolo c’erano miniere di ferro. In via del Poggio, ad esempio, la “Mignarella” era una “piccola miniera” da cui si estraeva il metallo, poi lavorato e forgiato per fabbricare armi, per l’abbondanza d’acqua e carbone di legna».
Più che da leggere, è un libro da consultare?
Renato: «Non occorre rispettare l’ordine delle pagine per leggere il libro, anzi suggerisco di lasciarsi prendere dalla curiosità, saltare da un luogo all’altro a piacere, girovagando alla (ri)scoperta del territorio. Non c’è rischio di perdere l’orientamento: fungono da bussola l’indice e i sommari in apertura di capitolo, con l’elenco dei nomi dei posti inclusi, distinti in luoghi, torrenti e fossi, sorgenti».
Giuseppe: «In accordo con i membri del gruppo “Il Castagno”, abbiamo voluto riportare, scolpiti su lastre o massi, quanti più nomi possibili, rendendo questi posti nuovamente identificabili, restituendogli dignità storica, sperando che rimanga incisa nella memoria collettiva».
Chi ha curato la veste grafica del libro?
Giuseppe: «Ha curato grafica e impaginazione, facendone il progetto di tesi di laurea, la giovane raggiolatta Francesca Ciabattini. Sua madre, Valeria Cipolli, è stata la “voce del lettore”: ha letto le bozze del libro, fornendoci validi consigli e aiutandoci nella selezione e nella sintesi del materiale. Per le info-grafiche, che a grandi linee mostrano la posizione dei luoghi, abbiamo ripreso e adattato le mappe dell’Istituto Geografico Militare. Mentre le fotografie che corredano i toponimi le ha prevalentemente scattate Renato».
Renato: «Su per giù tre migliaia di foto!».
Giuseppe: «Io, invece, mi sono occupato delle incisioni su pietra e della divulgazione del libro, autoprodotto a nostre (non poche) spese: 170 copie, numerate, di cui 120 prenotate prima della stampa, a Roma, segno che il progetto già incuriosiva. E abbiamo destato l’attenzione anche di alcune trasmissioni televisive».
A chi avete dedicato questa opera?
Renato: «Il libro guarda ai raggiolatti, specie i raggiolatti di domani… Presenta, da un’altra prospettiva, fatta di tempi lenti, silenzi, cose semplici, un mondo in cui la montagna non è solo un ostacolo da eliminare, ma un luogo di risorse e potenzialità, un mondo che nel ricordo dell’antico trova la sua identità moderna, quella specificità che genera ricchezza e dà futuro alla comunità».
Giuseppe: «Il progetto potrebbe essere sviluppato ulteriormente su questa direzione. Ci auguriamo che diventi un modello funzionale, esportabile in altri contesti, in Casentino e fuori».

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(tratto da CASENTINO2000 | n. 315 | Febbraio 2020)

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