di Cristina Li – Il significato del termine “viaggiare” non corrisponde alla dimensione onirica a cui, spesso, durante il conversar quotidiano, viene associato. Se pur noto strumento privilegiato per raggiungere destinazioni utopiche e alternative alla realtà, VIAGGIARE non dev’essere confuso con il termine “sognare”. Proviamo a lasciar andare il timore del fallimento e la convinzione di precarietà su cui si basa l’idea del viaggio costruita su scoraggianti successioni di verbi condizionali, di remoti “se…” e “ma…”.
Proviamo ad abbandonare quell’ancor più violenta idea del viaggio come soddisfazione consumistica da alternare a una noiosa e rassicurante vita, che fa del turismo la propria idea di libertà. Riappropriamoci del suo significato originario, quello più puro, di viaggio come spostamento che racchiude in sé un cambiamento non soltanto geografico, ma temporale, mentale e implica un impegno che va oltre la volontà, raggiungendo la consapevolezza, il coraggio, il rispetto, la disposizione ad aprirsi a se stessi e agli altri. Ricordarsi, dunque, del termine viaggiare, che nella vita di ognuno di noi sia presente o meno, come una realtà e non come una chimera.
Questo il messaggio di Marcello Colletti che, a dieci anni dalla prima esperienza lontano da casa e a tre anni dalla decisiva partenza, racconta come l’insaziabile voglia di “mangiarsi il mondo” sia il principale propulsore della sua vita. “La mia famiglia si è trasferita in Casentino quando avevo due anni: troppo piccolo per non considerarla da subito come casa e tempo sufficiente, credo, per sentirmi parte di essa. Sono anche io Casentinese, dunque, se pur da sempre col desiderio di cambiar aria e spostarmi, partire, andar lontano. La prima esperienza all’estero è stata nel 2007, in Olanda, grazie ad uno scambio linguistico-culturale organizzato dalla scuola. È stata l’occasione che mi ha permesso di approcciarmi, per la prima volta, alla possibilità di conoscere e approfondire nuove culture e nuove lingue, di volgere lo sguardo verso un nuovo mondo, cosa che sembrava esser aliena alla maggior parte delle persone attorno a me. Terminate le scuole superiori, ho deciso di intraprendere un percorso di studi in lingue e comunicazione interculturale, per poi proseguire con una specializzazione in Business and Marketing. Dopodiché, a dire il vero, non ho nemmeno provato a cercare lavoro in Italia e, alla luce delle esperienze che nel frattempo avevo vissuto, ho optato direttamente per il trasferimento all’estero.”
Quali sono le esperienze di cui parli e che ti hanno convinto a portar con te soltanto te stesso e qualche necessario strumento di viaggio? «Durante il periodo di studi universitari, ho intrapreso periodiche esperienze di lavoro come volontario in Inghilterra, attraverso la piattaforma online Work Away, il cui obiettivo è quello di mettere in collegamento giovani in cerca di attività all’estero (il cui spettro è molto ampio: baby-sitting, progetti di ecoturismo, costruzioni, giardinaggio, agricoltura, pastorizia, lezioni di lingua, cucina), in cambio di vitto e alloggio. Inoltre, ho sempre lavorato nell’ambito della ristorazione durante le stagioni estive e i fine settimana, esperienza che è stata occasione non soltanto per metter da parte una personale base economica, ma che mi ha anche permesso di maturare un particolare interesse nei confronti dell’ambito stesso. Terminati gli studi, infatti, ho voluto approfondire tale passione, frequentando il corso professionale all’ANPA (Associazione Nazionale Professioni Alberghiere) di Firenze. Questo è stato il primo trampolino di lancio che ha visto convogliare, in un solo biglietto aereo, sia gli studi in campo linguistico sia quelli in campo lavorativo: mi sono trasferito alle Canarie per un periodo di stage, durante il quale ho lavorato per catene importanti, anche 5*Lusso. È stata anche la prima esperienza concreta in cui sono riuscito a entrare a contatto con un’immensa vastità e varietà di persone e culture diverse, trovando quello scambio che stavo cercando. Poi, l’immancabile voglia di fare mi ha portato in Australia, dove ho vissuto per circa quattro mesi. L’impatto iniziale è stato forte: in un altro continente, alle prese con la ricerca di un lavoro e in una lingua che mi ero reso conto di dover perfezionare con più pratica. Ma, non so se quel che è accaduto è da attribuire o meno alla fortuna, dopo le prime due settimane di dovuto assestamento, ho trovato lavoro in uno dei dieci migliori ristoranti della nazione, ho avuto modo di migliorare l’inglese e la mia esperienza nel campo lavorativo. Infine, eccomi a Londra, dove mi sono trasferito e dove sono oggi residente. Qui, ho raggiunto il top della mia carriera, lavorando in uno dei cento hotel più lussuosi al mondo, secondo la guida Forbes, e a fianco dello chef parigino tre volte stellato Eric Frechon (nella foto con Marcello).»
Tu ed io ci troviamo, però, all’indomani del tuo ultimo viaggio in Sud America. Cos’è successo? «Nei diversi ambienti in cui ho lavorato, ho spesso incontrato persone che non condividevano né la mia passione né le professionalità che, con gli studi, avevo cercato di perseguire. Ho notato come, per molte persone, il guadagno fosse il primo, se non l’unico, interesse. Perciò, stanco e deluso del mondo in cui avevo vissuto negli ultimi tre anni, ho deciso di lasciare tutto e partire alla ricerca di me stesso. Ho trascorso sei mesi in viaggio nel Sud America, percorrendo Perù, Bolivia, Ecuador, Colombia e tutto il Centro America fino al Messico. Ho vissuto a stretto contatto con le popolazioni autoctone, condividendo con loro la quotidianità, grazie a tanti lavori come volontario, che mi hanno permesso di avere uno scambio al 100% con persone spesso poverissime di beni materiali, ma mai di sorrisi e di ospitalità. Adesso, di ritorno a Londra, non so ancora cosa farò, ma so cosa non voglio fare e mi muoverò di conseguenza.»
Sono tante le differenze dei Paesi in cui hai vissuto rispetto all’Italia, a livello lavorativo, di opportunità? «Soprattutto nei Paesi del Commonwealth, per quanto riguarda la mia personale esperienza, posso affermare quanto segue: a livello lavorativo, la meritocrazia vige sovrana. Dopo un anno è possibile avanzare di livello, il che comporta un aumento di retribuzione e, spesso e volentieri, un incentivo a proseguire la propria formazione attraverso training finanziati dall’azienda, con l’obiettivo di far crescere il lavoratore insieme alla stessa compagnia. Questo credo costituisca una grande differenza rispetto all’Italia, sebbene io non abbia esperienze dirette, ma soltanto testimonianze altrui. Inoltre, anche partendo dallo stipendio base, sebbene parliamo di Paesi in cui la vita è costosa, con le dovute accortezze, è sempre possibile metter qualcosa da parte, dopo aver pagato le spese di vitto e alloggio e di qualche vizio quotidiano. Ad esempio, a Londra, io so di poter pensare di porre le basi per avere una famiglia, un giorno. In Italia, vi è altrettanta certezza?»
In pochissimi anni, hai affrontato continui cambiamenti, hai lasciato luoghi e persone per riprovare e ripartire di nuovo, senza mai fermarti, da solo. Sono scelte difficili? Puoi confermare quanto detto all’inizio, che viaggiare non è un sogno, bensì una realtà da affrontare consapevolmente? «Ho lasciato e cambiato tante cose, tante volte. Dopo aver imparato, ascoltando e osservando i miei colleghi, l’arte culinaria di un luogo, di una persona, ero mosso dal desiderio di ripartire per scoprirne di nuove. Ho appreso, così, diverse lingue, diversi accenti, diverse cucine, per poi rielaborare tutto dentro la mia testa e creare qualcosa di nuovo, di mio. Sono sempre partito da solo, ho dovuto farmi coraggio prima e durante ogni viaggio. Se è difficile? Mi è capitato di chiedermi cosa stessi facendo, cosa ci facessi in mezzo al nulla, ricordo questa sensazione soprattutto durante il mio ultimo viaggio in Sud America. Mi sono chiesto, appena arrivato, in mezzo agli opossum e ai pipistrelli, perché non avessi deciso di ritrovare me stesso tra le mura di casa, in un ambiente familiare e con le premure di una madre amorevole. Ma, in realtà, dopo la prima volta, ti rendi conto di come sia necessario, per te stesso, affrontare le situazioni, anche le più strane, e di come questo faccia crescere. Adesso vado come un missile! La mia spinta più grande e forte risiede sempre nella volontà viaggiare e, grazie a questo, aprirmi al mondo, conoscerlo, viverlo. So che mi impegnerò fino all’ultimo per raggiungere ogni obiettivo e questa consapevolezza non è che il frutto di quanto ho fatto fino ad ora. Mi fermerò soltanto quando troverò l’amore della mia vita, se questo implicherà fermarsi. Nel frattempo, vorrei lasciare un solo incoraggiamento a coloro che rimangono impantanati nelle comodità e sicurezze quotidiane, sempre le solite, vivendo nell’incosciente timore o sottovalutazione del viaggio: RAGAZZI, VI DOVETE SVEGLIARE!»
(tratto da CASENTINO2000 | n. 284 | Luglio 2017)