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sabato, 20 Aprile 2024

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Teleriscaldamento a Cetica? Una bufala!

di Monica Vignoli – Il nostro giornale già più di una volta si era occupato di questa vicenda, ma quando in redazione è giunta voce che riguardavano lo spegnimento del “Teleriscaldamento” di Cetica, abbiamo pensato di tornare ad occuparci di questa “Telenovela” di cui forse a molti torna “comodo” non parlarne. Vi racconteremo quindi una storia che ha dell’incredibile, e solo chi ha vissuto in prima persona questa vicenda può raccontarci come davvero stanno le cose.
Il signor Sandro Boschi abitante del paese ha deciso di raccontarci la vicenda del “Teleriscaldamento” di Cetica, partendo dall’inizio di questa storia complicata.
«Nel 2005 ci fu un convegno sull’energie rinnovabili nella sede della Pro-Loco a Cetica, in cui fu proposto un progetto sperimentale che doveva essere realizzato a Badia Prataglia e che poi, per alcuni motivi a me estranei, non andò in porto, così la stessa Pro-Loco si interessò dell’impianto per realizzarlo a Cetica. Dopo si tennero una serie di incontri a cui parteciparono la comunità montana, il comune di Castel S.Niccolò, altri enti tra cui l’ARSIA, un’associazione ambientalista e un ingegnere progettista che spiegava a noi abitanti tutto il progetto, che doveva avere condizioni molto vantaggiose. A Cetica non essendoci il metano, ci riscaldiamo con gasolio o gpl e andiamo a spendere molto alla fine dell’anno. Con questa proposta i vantaggi sembravano molti ma, ovviamente, non poteva aderire tutto il paese, perché l’impianto sarebbe stato costruito vicino al campo sportivo di Cetica e quindi poteva coprire solo quella parte del paese. L’impianto era finanziato dalla Comunità Europea, dalla comunità montana e da altri enti tra cui il comune, e con il contributo della stessa Pro-Loco di Cetica. Decidemmo di accettare in 15 famiglie, alle condizioni che ci avevano proposto, che più avanti vi ricorderò.
Fu costruito un “casottino” in muratura con all’interno una caldaia e un serbatoio per il “cippato”, che non è altro che legno tritato non trattato; la caldaia era in grado di bruciare qualsiasi tipo di legno. Considerando che Cetica è prevalentemente boschiva, è anche facile procurare la legna. Una volta individuate quante famiglie aderivano al progetto, furono fatti dei calcoli per le eventuali spese. Furono fatti dei lavori di tubazione sotto terra per far passare l’acqua calda, permettendo di scaldarci.
Le tubazioni nella parte privata erano a nostre spese e in base alla distanza dalla rete di tubature comuni alla casa di ogni abitante, ogni famiglia pagava la quantità a metraggio delle tubature; ovviamente erano tubi particolari dove il calore non si doveva disperdere.
Sempre a nostre spese abbiamo acquistato un apparecchio che è uno “scambiatore di calore”, esteticamente sembra una caldaia, ma serve per portare dai tubi esterni il calore in tutta la casa, e per calcolare i consumi.
Lo “scambiatore di calore” aveva un costo di circa 2.000 euro, che si aggiungeva ai lavori idraulici per l’istallazione sempre a nostre spese. Tutto questo lo facemmo con molto piacere, perché anche se i costi erano alti, questi sarebbe serviti per risparmiare nel futuro, tutti eravamo ben fieri di fare qualche sacrificio.
Ognuno di noi, per permettere la realizzazione del progetto ha speso tra i 4/8.000 euro ciascuno.
A novembre del 2006 fu inaugurato l’impianto con la felicità di tutti i cittadini aderenti, perchè credevamo di aver fatto un vero e proprio investimento. “Credevamo”, perché fin dall’inizio questa caldaia ebbe dei problemi, si bloccava per mancanza di cippato perché non veniva ricaricato sufficientemente. A tutto questo ci doveva pensare la comunità montana che gestiva il progetto dal novembre 2006 fino ad aprile 2007, nel periodo di prova. Ma in quei mesi la caldaia andava sempre in allarme, la facevano spengere e dovevamo spesso noi cittadini chiamare l’idraulico, e la caldaia ripartiva anche dopo 3 giorni, e noi nel frattempo rimanevamo al freddo.
Dopo il periodo di prova nel 2007 doveva passare tutto al comune che invece non accettò di prendersi l’incarico. E rimase alla comunità montana.
Inizialmente la caldaia doveva stare accesa tutto l’anno e infatti il primo anno è stata sempre accesa, da aprile 2008 decisero di spengerla nel periodo estivo perché le pompe che ci mandavano acqua calda consumavano troppa energia elettrica. Quindi d’estate non avevamo l’acqua calda e ci siamo dovuti arrangiare con scalda bagni o boiler. Da allora veniva utilizzato solo da ottobre ad aprile.
Successivamente, in un secondo momento venne deciso di mettere delle pompe più piccole per consumare meno energia elettrica, una cosa ed un’altra questo sistema non ha mai funzionato poi così bene.
Nel 2011 il comune decise di prendersi l’incarico per un anno di prova, venne fatta una riunione con il sindaco, dove ci chiedevano un costo del Megawattora (unità di misura del calore) di 80 euro, un prezzo molto superiore a quanto preventivato inizialmente con l’ingegnere. Noi accettammo anche l’aumento perché ormai avevamo investito troppo su quest’impianto, era comunque sempre più conveniente del gasolio o gpl. Da un risparmio stimato di 1.000 euro all’anno eravamo passati al massimo a 500 euro.
L’inverno 2011-2012 andò abbastanza bene, il comune posso dire che gestì meglio tutto l’impianto. In quanto fece dei contratti per il rifornimento del “cippato” e per la manutenzione della caldaia e questo consentì una maggiore efficienza generale.
Sembrava che le cose avessero preso la strada giusta, ma non fu così perché a fine anno le cose cambiarono. Il sindaco fece una riunione dove ci comunicava che i costi erano ancora troppo alti, i soldi non bastavano e da 80 euro saremmo passati a circa 140 euro per ogni 1000 giri del contatore. A quel punto non ci potevamo più stare, non era più un risparmio, ma una rimessa perché ci veniva a costare più del gasolio/gpl.
La proposta iniziale non era questa, se avessimo saputo prima che si arrivava a un costo così alto nessuno di noi avrebbe accettato. Avevamo già accettato gli 80 euro che era comunque tanto, ma un ulteriore aumento non si poteva sostenere, dopo tutti i soldi che ogni famiglia aveva speso per permettersi quest’impianto.
Dopo quella riunione, che non ebbe esito positivo, eravamo comunque rimasti d’accordo con il sindaco di rivederci anche con la ex comunità montana (ora unione dei comuni) per prendere una decisione diversa e trovare quindi una soluzione, ma sono diversi mesi che noi non sappiamo più niente, nonostante le numerose telefonate e solleciti fatti da diversi utenti».
Siete giunti ad una conclusione tra voi abitanti, cosa intendete fare?
«Abbiamo scritto i primi di febbraio una lettera, dove spieghiamo tutta la situazione e l’abbiamo mandata: al GAL, alla provincia, al comune e a molti altri enti, per vedere cosa ci rispondono. Perché noi siamo molto arrabbiati, abbiamo speso molto, credevamo davvero in un risparmio e gira e rigira non è stato così, perché quei soldi che abbiamo speso per gli impianti a questo punto non sono serviti».
Nella lettera che avete inviato cosa chiedete?
«In questa lettera chiediamo che venga trovata una soluzione valida e conveniente. E se verrà stabilito che è stato tutto un fallimento pretendiamo un indennizzo per chi ha investito su questo progetto. Speriamo fortemente in una risposta perché se non fosse così prenderemo altre strade, perché non si può far finta che non sia successo niente. Abbiamo avuto dei grossi, enormi disagi, molti abitanti avevano tolto l’impianto a gpl/gasolio o a legna per questo progetto, e che ora si sono ritrovati a ricomprare stufe o caldaie. Non credevamo in un così forte disinteresse da parte delle istituzioni».
Avete capito bene. Una storia che sembrava dare il massimo risparmio, la massima autonomia e, invece, alla fine i soldi non bastavano mai. Una beffa per i cittadini che, fin dall’inizio, erano stati chiamati a investire direttamente sul progetto. Credo che ognuno di noi in questo momento si stia domandando: “Dove era il progettista quando ha dato il via a questo impianto? Non aveva calcolato che le famiglie erano troppo poche per i costi che l’impianto avrebbe dato? Perché far partire un progetto pur sapendo che “forse” non andava a buon fine?…”
Ancora una volta ci rimettono i cittadini, che, in buona fede si sono fidati di chi “apparentemente” sapeva di più.
(tratto da CASENTINO2000 – nr. 232, marzo 2013)

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