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sabato, 3 Maggio 2025

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Acqua…Cultura

di Francesco Benucci – Dopo anni di duro lavoro, ha riaperto l’acquacoltura di Molin di Bucchio, un grande progetto per il ripopolamento e la reintroduzione delle specie casentines. Dicesi “acquacoltura” la produzione di organismi acquatici in ambienti confinati e controllati dall’uomo. Detta così, la parola non esercita, d’acchito, quel fascino che meriterebbe ma, paradossalmente, se ne mutassimo una sola lettera e coniassimo un neologismo come “acquacultura”, apriremmo uno scrigno di significati più coerenti con un’attività che, qualora affondi le sue radici in filiere storiche, in contesti ambientali d’eccezione, con intenti nobili, ha certamente più di un punto di contatto col termine “cultura”.
Per averne la riprova dovete risalire lungo il corso dell’Arno, immergervi nelle suggestive foreste casentinesi e fermarvi a Molin di Bucchio dove si trova uno dei macinatoi più antichi della vallata e il primo che si incontra sulle sponde del celebre fiume. Proprio qui, accanto alla struttura citata, sorge l’antica acquacoltura che due giovani casentinesi, Alessandro Volpone e Andrea Gambassini, (nella foto a destra) hanno deciso di restaurare e valorizzare. a2
Giungendo in loco si resta sinceramente ammirati di fronte a ciò che i nostri conterranei sono riusciti a fare ma, a dare un quid speciale ai giorni odierni, sono anche le coincidenze, i sogni, i sacrifici, l’impegno, le soddisfazioni dei giorni passati: la scintilla scocca alcuni anni fa, di fronte ad un boccale di birra, quando due ragazzi a malapena maggiorenni scoprono il comune amore per la pesca diventando in men che non si dica “amici di lenza”.
Comincia ad affacciarsi saltuariamente la fatidica domanda (“Perché non proviamo a vivere della nostra passione”?) finché, un giorno, ritrovandosi circondati da gamberi di fiume, Alessandro e Andrea pensano di provare a riprodurli nell’impianto di Carda, sopra Rassina, ristrutturandone la metà in abbandono. Iniziano sopralluoghi ed incontri, tuttavia, dagli enti preposti, non giungono risposte affermative. Però la strada è ormai tracciata e, dopo aver anche contemplato la possibilità di “affittare” un lago, nel 2012 gli aspiranti imprenditori casentinesi vengono a conoscenza e visionano il sito di Molin di Bucchio dove, accanto all’antico mulino, campeggia ciò che resta di una storica troticoltura nata alla fine dell’800, attiva fino agli anni ’70 e meritevole di vari riconoscimenti del Ministero dell’Agricoltura negli anni ’30 (con Roma stessa che ivi si riforniva per il ripopolamento). Il colpo di fulmine è immediato e l’anno seguente, in accordo con la famiglia Bucchi, inizia un lento e meticoloso lavoro di recupero. L’entusiasmo, nella fase di partenza, è tanto, alimentato anche dalla certezza che, nonostante la mole di investimenti richiesta, una qualche forma di finanziamento sarebbe giunta attraverso la partecipazione ai vari bandi relativi alla pesca (FEP) e all’agricoltura “declinata” in versione giovanile (PSR).
Purtroppo la buona volontà dei nostri si smorza di fronte ad una realtà fatta altresì di dinieghi e delusioni ma, proprio quando l’idea di rinunciare al sogno comune sembra avere il sopravvento, subentrano due novità che consentono ai nostri di “svoltare”: la prima consiste nella decisione di far defluire l’azienda agricola Antica Acquacoltura Molin di Bucchio, precedentemente aperta, nella Cooperativa In Quiete, promossa con la collaborazione di ulteriori soci (Sara Baldini, la giovane presidente, e Mattia Speranza) e dedita a finalità turistiche.
Portando ogni weekend oltre 100 persone nella cornice delle foreste casentinesi, il sodalizio suddetto si rivela come la vera forza motrice del progetto di recupero dell’impianto ittico. Inoltre, a conferire ulteriore visibilità al tutto, contribuisce, nel 2016, la partecipazione a ReStartApp, il campus residenziale per lo sviluppo di idee di impresa e startup impegnate nelle filiere tipiche dell’Appennino: Alessandro ed Andrea, dopo una prima scrematura a livello nazionale, sono scelti per un colloquio a Genova, superano lo step ligure insieme ad altri 14 concorrenti, vengono selezionati per un’esperienza formativa di 3 mesi a Portico di Romagna e qui si fregiano del premio “Progetto meritevole”.
E in quell’occasione, come un Giano bifronte, si saranno guardati indietro orgogliosi di quanto fatto, e al contempo avranno rivolto lo sguardo al futuro, a quella riapertura dell’antico impianto che ormai è un dato di fatto, essendosi celebrata l’inaugurazione domenica 15 ottobre.
Il presente bussa alla porta e ciò che ci porta in dote è un impianto che costituisce quasi un unicum nel suo genere, dove realmente il binomio coltura e cultura si cerca, si trova e si stringe in un vincolo stimolante; e non solo in virtù di un passato glorioso o per l’eccezionale contesto in cui si incastona l’impresa, bensì pure per gli obiettivi che si sono posti i due casentinesi e che trascendono la “semplice” acquacoltura montana: infatti, il progetto di avvio, a braccetto con vari enti pubblici, finalizzato al ripopolamento e alla reintroduzione delle specie locali (gambero d’acqua dolce autoctono, trota appenninica, ghiozzo, barbo tiberino), rientra in un’ottica a largo raggio che comprende la volontà di non fare del mercato del pesce, di guardare non tanto alla quantità quanto piuttosto alla qualità alimentare e soprattutto genetica, di diventare un riferimento, quasi una sorta di banca della biodiversità acquatica, di creare uno spazio didattico per famiglie e scolaresche, di perpetuare nel tempo e in modo sostenibile paesaggi e tradizioni, di raccogliere una sfida complessa e costante da sostenersi anche con importanti collaborazioni.
Ma per meglio immedesimarsi nel sogno di Alessandro e Andrea non c’è miglior soluzione che recarsi in loco, farsi rapire dall’atmosfera, costeggiare le 7 vasche ristrutturate, soffermarsi nella avannotteria o nei pressi della vasca di isolamento (una vera rarità) utilizzata per prendere gli esemplari direttamente in natura e pertanto monitorarli, giungere alla vasca di decantazione, osservare, stupiti, l’arcaica dignità dei tre vasconi antichi , uno dei quali era il bottaccio, ancora da ristrutturare, magari a partire dal 2018 con una campagna di raccolta fondi online denominata crowdfunding in cui si può donare ottenendo qualcosa in cambio.
Insomma, unicamente vivendo Molin di Bucchio, anche solo per un pomeriggio, si può comprendere a fondo il progetto dei casentinesi e quell’etichetta che ben ne tratteggia le affascinanti peculiarità: acqua…cultura.

(tratto da CASENTINO2000 | n. 288 | Novembre 2017)

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