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martedì, 6 Maggio 2025

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Una pinacoteca… alla casa di riposo

di Francesco Benucci – C’è tanto mondo in un quadro: c’è quello interiore del pittore “rovesciato” su tela, c’è la rappresentazione visiva filtrata dalla sensibilità dell’artista, c’è l’interpretazione dell’osservatore, c’è la sovrapposizione dei piani suddetti. E allora inserire questi mondi in una dimensione che, giocoforza, appare spesso come “chiusa” può avere un benefico effetto deflagrante che stimola nuove sensazioni, che apre la mente, che ravviva una giornata, che crea un ponte tra le mani dell’autore e gli occhi dello spettatore: è il caso di Franco Lenzi (nella foto sotto) che, ospite della residenza sanitaria di Stia, ha “cavalcato” il desiderio di raccogliere quanto realizzato nel corso degli anni facendo della struttura citata la sua pinacoteca.

Ma la sua avventura parte da lontano, da quando, alle soglie dei vent’anni, dà una svolta alla sua giovinezza in quel di Pisa interessandosi a Picasso e agli espressionisti tedeschi e compiendo i primi studi da autodidatta. Fin dal principio la tela diventa il tramite per analizzare l’uomo e le sue debolezze inserite nel quadro di una realtà triturata, tormentata in cui è sottintesa l’angoscia esistenziale. Lenzi adotta uno stile che si nutre dell’approccio trasognato del realismo magico, dello spazio frantumato sovente in forme triangolari, del colore come fatto creativo; soprattutto, nella fase iniziale, conduce il suo studio rigido, critico, che continua ancor oggi, in un silenzio che si traduce nella volontà di dare un significato personale al lavoro e nella necessità di maturare interiormente.

Negli anni ’70 il nostro compie i primi passi verso una dimensione “pubblica” esponendo prima a Pisa e poi, tra le altre, a Firenze e a Bologna in occasione dell’Expo; al contempo fonda una piccola associazione culturale atta a valorizzare, incentivare i giovani pittori coronando tale esperienza con un’altra apparizione all’Expo. Non è l’unica occasione in cui Lenzi si confronta con “pittori alle prime armi” visto che, nel corso del tempo, riesce a conciliare i suoi impegni di geometra con dei progetti pomeridiani nelle scuole: qui, grazie alla disponibilità degli operatori del settore, si propone di promuovere il lato creativo degli studenti con tanto di lavori collettivi spesso fonte di straordinaria soddisfazione.

Ma delle soddisfazioni Lenzi se le toglie anche quando, una ventina di anni fa, si trasferisce in Casentino inserendosi nel nuovo contesto tramite varie esposizioni e poi scegliendo come suo atelier un luogo inusuale come la casa di riposo. Anche se, va detto, il termine “riposo”, nel suo caso, è davvero inappropriato visto che parliamo di un artista a 360 gradi che si è confrontato pure con la scultura, la ceramica e l’incisione, che ha trattato innumerevoli materiali, la cui scelta risulta essere un momento basilare, che saltuariamente dipinge tuttora sull’onda dell’imprevedibile manifestarsi degli input creativi e che quindi somma le attività di raccolta e creazione.

Questo lavorio non ha lasciato indifferenti i suoi “coinquilini” che hanno accolto positivamente la novità, anche se spesso richiedente una lettura non semplificata, e che, nella persona della responsabile, ne hanno tratto spunto per organizzare una mostra alla Limonaia del Palagio Fiorentino con tanto di taglio del nastro. Tuttavia, al di là di pregevoli iniziative saltuarie, la vera casa della sua opera resta quella residenza che ora vede le sue sale e i suoi corridoi arricchiti da tele che esprimono lo studio tormentato del nostro, dalla sensualità di donne delineate con forme sinuose, da fedeli ritratti, da paesaggi rimembranti il nostro Casentino.

E così, anche tra quelle stanze, come per magia, il chiuso diventa aperto, il dentro fuori, l’asettico intimo. Tutto per merito di Franco Lenzi e di coloro che, osservando le sue tele, vi scorgono squarci di mondi altri.

(tratto da CASENTINO2000 | n. 277 | Dicembre 2016)

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