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mercoledì, 6 Novembre 2024

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Bovini in Casentino

di Marco Roselli – «Quando si interrompe una storia millenaria rompendo il legame con la naturalità del cibo si corre un grave rischio, simile a quello descritto nel romanzo di Mary Shelley, in cui uno scienziato Victor Frankenstein ed il fidato assistente Igor, condividono la nobile visione di aiutare l’umanità attraverso la loro innovativa ricerca sull’immortalità. Ma gli esperimenti di Victor si spingono troppo oltre e la sua ossessione ha terribili conseguenze.»

Sembra ormai unanimemente confermato che tutte le razze di buoi domestici del mondo abbiano avuto origine da un unico antenato selvatico, l’Uro, diffuso dal tardo Pleistocene al Neolitico, dall’Eurasia settentrionale fino al Mediterraneo, al Medio Oriente e all’India, ancora presente in grandi branchi nell’Europa centro-settentrionale ai tempi dei Romani.
Questo animale sarebbe sopravvissuto fino al secolo XVII, in una mandria di pochi capi, nella foresta di Jaktorów in Polonia, dove conviveva con il bisonte europeo, con il quale era frequentemente confuso.

LE PRINCIPALI RAZZE IN CASENTINO

Razza Chianina
La razza Chianina è tra le più antiche del mondo. E’ allevata da almeno 22 secoli (Virgilio ne sottolineava la bellezza) nella media valle del Tevere e nella Val di Chiana, da dove l’allevamento si è esteso alle province di Arezzo, Firenze, Livorno, Pisa, Siena e Perugia. La Chianina è caratterizzata da gigantismo somatico (è la più grande delle razze bovine conosciute nel mondo), infatti nei tori adulti raggiunge i 2 metri di altezza al garrese e supera i 17 quintali di peso (le femmine 10). Ottima, come noto, la qualità della carne.
La produzione di latte è appena sufficiente per il vitello. Oggi la selezione è orientata verso la precocità di sviluppo e il maggior rendimento di carne dei tagli più pregiati (soprattutto la regione dorso-lombare dalla quale si ottengono le rinomate bistecche alla fiorentina).

Razza Limousine
Originaria del Limousin (provincia di Limoges – Francia), ad ovest del Massiccio Centrale, zona caratterizzata da un clima piuttosto duro, con estati calde, inverni rigidi ed abbondanti precipitazioni. La razza ha però una notevole facilità di acclimatamento per cui si è diffusa anche fuori dal paese di origine. In passato era razza a duplice attitudine (lavoro e carne); poi è stata migliorata, rendendola più idonea alla produzione di carne. Quando è stata introdotta in Casentino, la razza si è adattata immediatamente, confermando la propria rusticità, sia per quanto concerne il clima che i territori di detenzione, andando ad abitare tranquillamente anche le zone meno facili. La qualità della carne è molto buona.

In Casentino abbiamo anche il latte bovino. L’azienda Vigiani, in località Lodoleto in Comune di Castel Focognano, detiene vacche di Razza Bruna per la produzione di latte e derivati, sia freschi che semi stagionati. Dopo l’antica conduzione da parte del titolare, prima il figlio quindi i nipoti, hanno proseguito l’attività, ampliandola con un laboratorio di trasformazione per l’ottenimento di formaggi, mozzarelle, yogurt e altri prodotti di qualità.

Tecnica di allevamento e benessere animale
In Casentino, come accade in altre zone appenniniche, l’allevamento bovino viene gestito sia in stalla che all’aperto, presso i pascoli primaverili estivi, soprattutto se si pratica la linea vacca-vitello. Nel caso invece dell’ingrasso dei vitelli la stabulazione è condotta in box multipli. In entrambi i casi l’allevatore cerca di massimizzare il benessere animale, in quanto è ormai acquisito il fatto che se i soggetti solo liberi da stress e possono muoversi, si ammalano molto meno, pertanto hanno meno bisogno di farmaci.
Un altro aspetto importante riguarda l’alimentazione. Gli allevatori casentinesi adottano tecniche di alimentazione tradizionali, in quanto impiegano cereali e foraggi autoprodotti, anche per ragioni economiche, dati i costi dei mangimi extra aziendali. Orzo, mais e fieni di qualità sono alla base della razione alimentare; questa è una sapienza antica, che determina la produzione di carni eccellenti sotto tutti punti di vista.

Prati avvicendati e i pascoli naturali
I pascoli e i prati pascoli, come detto, sono essenziali per l’alimentazione dei bovini.
Per pascolo naturale si intende un sistema eterogeneo di essenze vegetali erbacee (prevalentemente graminacee) stabile e in grado di autorigenerarsi.
Per prati avvicendati si intendono prati di leguminose, graminacee o loro miscugli, che vengono a trovarsi in rotazione agraria più o meno lunga con i cereali annuali quali il grano, l’orzo oppure l’avena. Il mantenimento dei prati gestiti dagli allevatori gioca un ruolo cruciale, non solo per gli animali da reddito, ma anche per la fauna selvatica che può trovare, fino alle quote medio alte, una fonte alimentare pressoché costante. Di ciò, infatti, si avvantaggiano anche i pascolatori intermedi come il cervo e il daino.

La questione ambientale
Il problema delle deiezioni dei bovini nell’ambito degli allevamenti è stato affrontato e messo in sicurezza ormai da tempo attraverso l’ammodernamento dei sistemi di stoccaggio. Sono state rinnovate le platee e i muri di contenimento, compreso il sistema di raccolta degli effluenti liquidi. La pratica della lettiera rinnovata frequentemente con paglie pulite consente di avere, dopo 6-8 mesi, del letame di grande valore biologico. Questo è un ammendante indispensabile per mantenere elevata la sostanza organica nei terreni delle aziende. In questo modo l’allevatore può “fertilizzare la rotazione”, senza ricorso a concimi chimici.

Carne sintetica? No grazie!
Nel mondo moderno, nelle società occidentali soprattutto, gli alimenti non solo sono disponibili, ma vengono prodotti quasi “su misura”, a seconda delle diverse esigenze. Non è scopo di questo articolo dare consigli alimentari ed è pacifico che ognuno deve avere la disponibilità di ciò che più gradisce, tuttavia, come cittadini, dobbiamo pretendere chiarezza e verità su ciò che mettiamo sulle nostre tavole.
La carne sintetica.
A livello globale il problema dell’approvvigionamento di alimenti è più imminente di quanto si possa pensare, se solo consideriamo che ai primi del secolo scorso il pianeta ospitava meno di due miliardi di persone (1,650), e nel marzo del 2021 la popolazione è arrivata a 7,85 miliardi.
E’ chiaro che se vogliamo sconfiggere la fame nei paesi dove gli alimenti mancano è necessario adoperarsi in fretta; tuttavia, a parere di chi scrive, la carne sintetica non può essere la soluzione. Nelle note seguenti riportiamo una sintesi del processo di produzione.

Primo punto: origine biotecnologica della carne sintetica e benessere animale. La carne sintetica è prodotta a partire da materiale cellulare prelevato da feti di bovine oltre il terzo mese di gravidanza. Chi finanzia queste imprese necessita di tessuti formati, pertanto, devono comunque esserci degli allevamenti con bovine alle quali, al terzo mese di gestazione, viene prelevato il feto per l’espianto delle cellule staminali necessarie per generare le fibre. Questo materiale biologico viene quindi inserito in un “bioreattore” in cui avviene il processo di “costruzione” dei tessuti proteici. Il tutto necessita di una copertura antibiotica totale, altrimenti si rischia di ritrovarsi la fettina biosintetica potenzialmente contaminata da patogeni pericolosi.

Secondo punto del processo di produzione: il sistema richiede molta acqua. Le tecnologie di sintesi delle proteine artificiali richiedono quantitativi di acqua massicci, superiori a quelli di moltissimi allevamenti, senza contare l’impiantistica per lo smaltimento dei reflui a fine ciclo i quali – secondo le fonti di informazione – sembrano essere altamente inquinanti.

Terzo punto: impatto ambientale. Secondo un recente studio realizzato dalla università di Oxford, le emissioni di CO2 legate al processo di produzione della carne sintetica, risulterebbero molto elevate e più pericolose dell’emissione di metano da parte degli allevamenti tradizionali.

Quarto punto: pochi finanziatori per un monopolio degli alimenti. In realtà i grandi investitori hanno come obiettivo quello di brevettare il cibo. Il processo è partito da lontano, con gli OGM e i brevetti sulle sementi, con i contratti di coltivazione per i quali il produttore agricolo non può trattenere – come da sempre fa il genere umano – la semente per la stagione successiva, perché deve prendere quella della multinazionale. Quando ci sarà un marchio sulla confezione di carne e l’impresa autonoma, quella che ci nutre da migliaia di anni – che ha portato l’Italia ai vertici mondiali per la qualità del cibo – sarà messa ai margini, allora sarà troppo tardi per occuparsene. Quello potrebbe essere un futuro nel quale, sinceramente, non vorrei andare ad abitare.

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