di Gabriele Versari – «Quando sono arrivato in Casentino nei primi anni Novanta il luogo era pieno di attività a scopo di intrattenimento e di svago per i cittadini. Oggi la musica è cambiata, per diverse cause, tra cui l’abbandono del paese in favore delle città. Mi appello perciò a tutti i colleghi dei piccoli esercizi commerciali casentinesi, soprattutto ai più giovani, con l’intento di spingerli a dar luce a nuove realtà nei Centri Storici della nostra vallata, in modo da porre un freno all’abbandono di questi luoghi e invertire così la tendenza rendendo nuovamente i paesi protagonisti della socialità».
È questo il monito di Michele Norelli, storico proprietario del ristorante “Tavernetta”, sito nel cuore del Centro Storico di Bibbiena che dallo scorso ottobre ha superato i trent’anni di attività. Insieme a sua moglie Marica ci ha raccontato la storia del locale, caratterizzata da un percorso a volte angusto e frastagliato che i proprietari hanno saputo comunque orientare verso il successo. Dopo i primi anni di grande ascesa, infatti, Michele fu costretto, per motivi personali, a cedere il ristorante, ma il cambio di gestione si rivelò deleterio per il locale che rischiò addirittura la chiusura. Grazie alla successiva riacquisizione da parte dello stesso Michele e ad alcune iniziative di successo, arrivate su consiglio della moglie Marica, oggi la “Tavernetta” è, a tutti gli effetti, uno dei ristoranti più longevi del Casentino.
Avendo vissuto da protagonista i primi anni dopo l’apertura del ristorante insieme alla sua prima moglie Carla, quali furono i feedback iniziali da parte della clientela? Michele: «Da quando il locale è stato inaugurato, cioè nel 1994, fino al Duemila si può, senza esagerare, parlare di un vero e proprio boom. Si doveva telefonare non meno di quindici giorni prima per avere un posto a cena. Una vera e propria escalation che ha portato il ristorante ad essere uno tra i più in voga del Casentino, grazie ad alcuni fattori che hanno contribuito al suo successo. È doveroso, infatti, tener presente che all’epoca il centro storico di Bibbiena era in fermento, frequentato in qualsiasi ora dal lunedì alla domenica da buona parte della popolazione locale, in un contesto in cui erano presenti molti più negozi ed esercizi commerciali di quelli odierni. Inoltre, grazie alle abilità culinarie di Carla, cuoca casereccia e in grado di applicare un’ottima manualità alle sue preparazioni, e a quelle del sottoscritto in sala, nella presentazione dei piatti, i clienti aumentavano di anno in anno. Purtroppo, solo il destino può mettersi di mezzo quando le cose vanno così bene. Come accennato prima, il successo perdurò fino all’inizio del nuovo millennio, quando per Carla sopraggiunse la malattia, che le impedì di lavorare. Decidemmo così di cedere l’attività ad una sua nipote».
Prosegue Marica: «Il ristorante rimase per due anni di proprietà altrui, ma più passava il tempo, maggiore era l’evidenza che le cose non andassero nel verso giusto. Ogni mese entravano sempre meno clienti, probabilmente a causa della mancanza di esperienza dell’ex proprietaria, vista anche la giovane età. Il 29 luglio 2002, quando Carla era ancora viva, Michele decise di acquistare il locale. Qualche mese dopo, nel 2003, Carla ci lasciò. Nel frattempo, per coprire il suo ruolo, furono assunti cinque apprendisti tra sala e cucina. Nel 2004 Michele mi conobbe e ci sposammo, quando io non sapevo assolutamente cucinare né avevo mai avuto esperienza all’interno di un ristorante. Mi diede alcune dritte sul lavoro di Carla, in base a ciò che aveva visto negli anni precedenti, per poi farmi cimentare in prima persona. Frequentai anche tre corsi di cucina, ma a dirla tutta ciò che so fare oggi lo devo quasi unicamente all’esperienza sul campo. Col passare dei mesi, infatti, acquisii sempre maggiori abilità culinarie.
Decidemmo quindi di licenziare i dipendenti, poiché ritenemmo che non fosse necessario avere molti camerieri in un ristorante così piccolo, mentre in cucina mi ero presa in carico tutto il lavoro. Nei successivi tre anni (2004, 2005, 2006) la fatica era davvero tanta, poiché dovevamo nuovamente acquisire tutti i clienti persi. Ciò che mi ha salvato è stato l’amore per questo lavoro. Non vorrei essere retorica, ma credo che l’amore che mettevo e metto in ogni piatto riesca a donare al cibo che portiamo in tavola una marcia in più».
Michele aggiunge: «Ciò che Marica intende sottolineare è che, nonostante lei venga da fuori, nonostante non sia nata e cresciuta qui, si sia comunque fatta un nome grazie al suo lavoro e alla sua dedizione verso la cucina nostrana. Non si tratta solo dell’impiego nel ristorante, ma anche dei corsi di cucina erogati a stranieri, dei pranzi per i matrimoni negli agriturismi locali e di tutte le altre esperienze passate. Grazie alla sua cucina e al mio fluente inglese, imparato nei miei soggiorni all’estero trascorsi prima che mi trasferissi a Bibbiena, siamo riusciti a portare avanti tutto ciò solamente in due».
Marica conclude: «Confermo quanto detto. Per me è un orgoglio essere arrivata ad un ottimo livello in cucina e riuscire a far apprezzare a tutti i miei piatti. Ogni complimento è per me un incentivo a migliorare. Dal canto suo, Michele ha la capacità di presentare i piatti in maniera eccellente, convincendo chiunque della bontà del cibo. Anche il suo è un dono. Apprezzo tantissimo la nostra sinergia: io in cucina che valorizzo la materia prima, Michele in sala che rende ancora più apprezzabile il cibo grazie alla sua abilità con i clienti. Siamo complementari».
Da dove è tratto il tema del lupo che sembra sintetizzare il concept del locale? Michele: «L’idea di adottare il lupo come “simbolo” del locale è nata nel periodo intercorso tra la morte di Carla e l’arrivo di Marica. Dopo la dipartita di mia moglie pensavo di andarmene dal Casentino, fino a quando nel 2003 è arrivato a Bibbiena il signor Mike. Tale signor Mike è un gentleman di origini inglesi che, avendo trovato fissa dimora qui vicino, è diventato parte della cultura bibbienese. Divenne subito un assiduo cliente del ristorante. Nel momento in cui Mike cominciò a frequentare quotidianamente il locale, cioè dopo la morte di Carla, si accorse che c’era qualcosa che mi tormentava. Quando seppe che ero deciso a mollare tutto e a lasciare il Casentino, mi disse: “Vai via così? Come farò senza di te, dove farò colazione ogni mattina, con chi interloquirò se nessuno sa l’inglese come te?!”. A quel punto mi chiese quale elemento del locale avrei modificato se avessi rifondato il ristorante, (ricominciare da zero era infatti l’unica alternativa alla mia partenza). La prima cosa che mi venne in mente fu proprio il lupo, poiché è quell’animale che, nonostante sia maltrattato, ferito, abbandonato e disprezzato da tutti, sarà sempre in grado di ricrearsi da solo un branco, sempre in grado di ricominciare. Dopo avergli confessato la mia idea, Mike fece dipingere ad un suo amico artista un quadro raffigurante l’animale boschivo, dopodiché me lo consegnò in dono. Dopo quel gesto, un po’ per Mike, un po’ per aver conosciuto Marica e po’ un per una specie di incoscienza istintiva decisi di rimanere e di credere nel ristorante. A posteriori, la scelta si rivelò giusta. Il lupo ricostruì il suo branco, e insieme a Marica costruimmo una famiglia».
Marica: «Proprio la famiglia è stata la nostra forza. Mia figlia, nonostante la giovane età, in cui si preferisce uscire con gli amici rispetto al sacrificarsi, ci ha comunque dato una mano enorme. Con questo spirito, con la nostra mentalità ed esperienza sono convinta che possiamo andare avanti per altri trent’anni».
Come avete reagito alle crisi verificatesi negli anni successivi alla ripresa del ristorante? Michele: «La crisi economica del 2008/2009 e in seguito anche quella pandemica ci hanno costretto a semplificare il servizio ai tavoli e i coperti, anche su consiglio di Mike, il quale ci suggerì di utilizzare semplicemente una tovaglietta e due posate, poiché durante i suoi viaggi a Firenze e a Pisa gli capitava spesso di mangiare in piccole trattorie dove il servizio era ridotto ai minimi termini: ciò che contava era la bontà dei piatti. Così seguii il suo consiglio. In cucina, invece, non ammettevo e non ammetto riserve, la qualità del cibo dev’essere ottima nell’idea di Marica, ed io concordo. Una cosa però mi manca più di tutto, e non è legata tanto al successo o meno del ristorante, che ad oggi è più che stabile. Quando negli anni Novanta arrivai a Bibbiena, il Centro Storico era totalmente diverso. Per attraversarlo in auto occorreva che la folla ti concedesse di passare. Sì, parlo di folla poiché il luogo era enormemente più frequentato di oggi, momento in cui ci si ritrova un Centro Storico “spento”. È questo forse il più grande deficit per la nostra attività rispetto al passato. Siamo riusciti a reggere per trent’anni poiché c’erano molti negozi in paese che portavano le persone ad uscire di casa e a recarsi in Centro. Oggi, che siamo rimasti in pochi, è importante ricordare che esiste una comunità qui a Bibbiena e che questa va supportata non con le parole, ma con i fatti».
Marica conclude: «Il mio desiderio sarebbe quello di riportare i giovani nel Centro Storico, poiché sono il nostro futuro e garantiscono continuità. Manca quel piacere di ritrovarsi e di fare gruppo, spero che si possa tornare a quello spirito di partecipazione che una volta era la norma, oggi è l’eccezione».