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martedì, 6 Maggio 2025
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Spareggi amari: Bibbiena e Pratovecchio eliminate ai playoff, Subbiano retrocesso

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di Mirko Goretti – Mentre il Casentino Academy riposava in attesa di conoscere l’avversario che affronterà domenica prossima nella finale playoff del Girone C di Promozione (sarà il Fiesole, che ha battuto 1-0 a domicilio l’Audax Rufina), tutte le altre formazioni impegnate nei rispettivi spareggi e campionati sono uscite sconfitte.

A pagare il prezzo più alto è il Subbiano, che davanti al proprio pubblico si arrende 1-0 al Dicomano nel playout di Promozione e saluta la categoria dopo tre stagioni: i gialloblù sono retrocessi in Prima Categoria.

Il Bibbiena è caduto per 3-1 sul campo dell’Atletico Piancastagnaio venerdì 25 aprile nel match che valeva l’accesso alla finale playoff del Girone F di Prima Categoria. Inutile la rete siglata da Antonio Falsini: la squadra di mister Bazzarini saluta anzitempo la corsa alla Promozione.

Destino analogo anche per il Pratovecchio, eliminato nei playoff di Seconda Categoria. Sul campo della Fratta Santa Caterina finisce 1-0 dopo i tempi supplementari: non basta il cuore ai rossoneri di Saini, che vedono sfumare il sogno promozione uscendo di scena in semifinale.

Infine, sconfitta pesante anche per lo Strada, impegnato nella penultima giornata del campionato di Terza Categoria. I biancoblù sono stati superati 4-2 dalla Sangiustinese, seconda forza del torneo (gol dello Strada firmati da Samuele Ciabatti e Ovidio Ghergut). Questo risultato permette ai valdarnesi di allungare a +10 sulla Tuscar (terza) e +11 proprio sullo Strada (quarto), attivando così il meccanismo della forbice. Con una vittoria all’ultima giornata, la Sangiustinese conquisterebbe la promozione diretta in Seconda Categoria, annullando la disputa dei playoff e infrangendo definitivamente le residue speranze di gloria per la formazione di Castel San Niccolò.

Le siepi campestri

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di Marco Roselli – Essenziali per trattenere l’acqua e difendere la biodiversità, utili contro l’inquinamento da prodotti chimici. Un’analisi del Climate Change Committee sottolinea l’impatto positivo dell’installazione delle siepi. Nel paesaggio agrario prima della fine degli Anni ’70 le siepi, i frangivento, le alberate nelle diverse sistemazioni agricole, rappresentavano gli elementi caratterizzanti più diffusi.

Belle da ammirare, molto spesso piacevoli da annusare. Ma anche decisamente utili dal punto di vista pratico quando si tratta di trovare soluzioni a basso costo per rispondere alle sfide che la crisi climatica ci sta imponendo di affrontare ormai quotidianamente. Il ruolo delle siepi per difendere biodiversità e la salubrità dei terreni rurali non viene scoperto certamente ora, ma gli studi sui benefici apportati da queste sistemazioni vegetali sono tuttora in corso.

Ad esempio, un tassello della loro importanza arriva dalla Gran Bretagna, dove Il Comitato indipendente britannico sui cambiamenti climatici ha calcolato il loro impatto positivo all’interno del percorso per raggiungere la neutralità climatica entro metà secolo. Sin dall’antichità le siepi hanno formato parte del paesaggio agricolo europeo. Oltre a segnare i confini fra gli appezzamenti, proteggono le colture dal vento (e oggi anche dall’inquinamento), diminuiscono l’erosione perché le radici consolidano il terreno, intercettano i nutrienti dilavati dalle piogge e forniscono frutti e legna da ardere tuttavia le siepi multi specie offrono una serie di servizi difficili da valutare in termini economici, ma non per questo meno importanti. La maggiore biodiversità di una siepe mista favorisce a sua volta la maggiore biodiversità della microfauna, specialmente gli insetti pronubi e i predatori dei parassiti delle colture.  La presenza delle siepi di confine, in particolare quelle multifilari, favorisce la mobilità dei piccoli mammiferi e l’annidamento degli uccelli.

Le specie impiegabili per la realizzazione di siepi perimetrali sono numerose e la scelta varia in base alle caratteristiche del sito di impianto ed allo scopo che si vuole raggiungere (siepe per segnare un confine, siepe difensiva di arbusti spinosi, siepe ornamentale con fioriture ripartite su più mesi per appoggio all’apicoltura, siepe per produzione di legna da ardere).

Le siepi perimetrali possono essere gestite in due modi: – A sviluppo libero, se non si effettuano potature di contenimento e le piante sono libere di svilupparsi in altezza e in larghezza. – A sviluppo controllato (siepe formale), se si procede con periodiche potature laterali e/o sommitali, utilizzando un tosasiepi per contenere l’ingombro della siepe alle dimensioni desiderate. In ambito collinare sono adatte prugnolo e perastro, biancospino e la rosa canina, quest’ultima consigliata a sviluppo libero. In ogni caso, è bene progettare le siepi con specie autoctone.

Le siepi come ecosistemi produttivi polifunzionali Le siepi complesse possono essere considerate habitat di transizione tra ecosistemi adiacenti di natura diversa, in cui si riscontra un numero di specie maggiore rispetto a quelle riscontrabili nei singoli ecosistemi considerati separatamente. Si tratta dunque di combinazioni di tre o più file di siepi arboree e arbustive, che assolvono complessivamente diverse funzioni di seguito descritte. Vediamo di seguito in dettaglio le funzioni positive offerte da un sistema di siepi multi specie progettato e/o adattato con opportuni impianti e/o potature.

Effetto tampone E’ la capacità che ha la siepe di abbattere il carico inquinante, neutralizzandolo. Ne sono un esempio le siepi ripariali ai bordi di campi coltivati, le quali intercettano con i propri apparati radicali le acque superficiali provenienti dai campi stessi. Queste acque contengono soprattutto azoto e fosforo disciolti, provenienti dalle concimazioni. Detti elementi, passando attraverso gli apparati radicali delle piante vengono intercettati e assorbiti nella massa legnosa e quindi sottratti alla dispersione nei bacini di raccolta quali fiumi e laghi. L’effetto tampone è maggiore se la fascia boscata è composta da numerose specie arboree e arbustive e se sotto le chiome è presente anche uno strato erbaceo che funziona da ulteriore filtro per la ritenzione dei nutrienti. L’intercettazione degli inquinanti può riguardare anche quelli trasportati dall’aria, come ad esempio le emissioni di gas e polveri sottili dalle strade a grande traffico. L’efficienza di intercettazione di tali inquinanti varia in funzione dei caratteri fisici e morfologici delle specie impiegate, della localizzazione e dell’andamento dei fattori meteorologici.

Le piante agiscono come filtri purificatori dell’aria intercettando parte dei contaminanti gassosi e del particolato trasportati dal vento. In particolare, il monossido di carbonio (CO), il biossido d’azoto (NO2), l’anidride solforosa (SO2) e l’ozono (O3) sono assorbiti dalle foglie, mentre polveri e particolati sono trattenuti dai peli e dai composti cerosi presenti sulla superficie di queste ultime o dalle rugosità della corteccia di rami e tronchi. Infine, l’effetto di mitigazione delle fasce tampone agisce anche sull’inquinamento acustico. La vegetazione infatti possiede la capacità di deviare, assorbire, riflettere e rifrangere il rumore con un’efficienza variabile a seconda del disegno di impianto e delle specie vegetali utilizzate.

Produzione di biomassa legnosa a scopo energetico Le siepi possono produrre masse legnose importanti dal punto di vista quantitativo e quindi rispondere ai fabbisogni energetici di chi impiega stufe a combustione legnosa con notevole risparmio economico.

Lotta biologica nei pressi di colture condotte con metodo biologico La funzione principale del filare adiacente coltivazioni quali frutteti o vigneti consiste nell’ospitare insetti antagonisti dei parassiti delle colture. Queste siepi si possono potare annualmente, in modo che le loro dimensioni rimangano contenute e non interferiscano con la crescita delle colture stesse o con l’esecuzione delle operazioni colturali. Si riportano qui alcuni esempi di specie adatte alla lotta biologica: – Il carpino bianco (Carpinus betulus) ospita fitoseidi diversi che possono migrare sulla vite ove controllano gli acari tetranichidi. – Il nocciolo (Corylus avellana) ospita anch’esso fitoseidi diversi ed in particolare l’Amblyseius aberrans, agente di controllo degli acari tetranichidi parassiti di varie colture arboree. – Il sambuco (Sambucus nigra) ospita l’afide Aphis sambuci, a carico del quale si sviluppano predatori e parassitoidi che poi migrano sulle colture.

Questi sono solo alcuni esempi di specie vegetali in grado di ospitare insetti e acari utili. Personalmente ho avuto modo di indagare molte siepi spontanee adiacenti i frutteti della Val di Chiana scoprendo che in effetti una quantità di insetti utili le abitano. Da annotare la migrazione degli antocoridi che dalle macchie miste di acero campestre e mora di rovo si spostavano sui pereti per predare la psilla del pero.

Tuttavia, in tempi relativamente recenti, in certe aree ed in seguito all’avvento della cimice asiatica, il ruolo delle siepi come aree rifugio è stato rimesso in discussione visto che la cimice, durante la notte, si accasa proprio sulle siepi adiacenti ai frutteti sui quali torna alle prime luci dell’alba. Per la cimice asiatica sono in atto azioni di lotta biologica con l’introduzione dei parassitoidi quali Trissolcus japonicus (Vespa samurai) da parte di Regione Toscana e Anastatus bifasciatus da parte delle aziende agricole con ottimi risultati.

Ci auguriamo che il parassita venga tenuto in condizioni di equilibrio in modo da evitare il ritorno ad un impiego importante dei fitosanitari.

Zona rifugio per la fauna selvatica I principali fruitori delle fasce tampone sono gli uccelli, che nidificano e traggono nutrimento. Occasionalmente, anche i pipistrelli possono trovare rifugio fra cavità e anfratti piante.

Funzione mellifera Molte specie arbustive e forestali producono polline e/o nettare durante alcuni periodi dell’anno. Il polline è molto importante perché costituisce il nutrimento delle giovani api, fondamentale per il loro sviluppo. All’inizio della primavera la presenza di specie con forte produzione di polline permette di fortificare l’alveare che così arriva al periodo di produzione del miele con un elevato numero di api. Le siepi mellifere contribuiscono inoltre alla biodiversità degli insetti pronubi, da cui dipende la produttività di molte colture, quali ad esempio quelle da frutta.

Prodotti eduli ed officinali Molte specie arbustive e forestali sono vere e proprie bioraffinerie in grado di produrre sia frutti commestibili che foraggio o parti specifiche (gemme, fiori, radici, corteccia) aventi proprietà medicinali. Queste ultime sono quindi in grado di offrire una diversificazione del reddito agricolo. Ove le condizioni pedoclimatiche lo consentono, le specie del genere Quercus ma anche il nocciolo, il pioppo ed il tiglio – sono da considerarsi adatte anche per la produzione tartuficola.

Effetto frangivento Un reticolo di siepi influenza alcuni parametri fisici dell’ambiente agrario essenzialmente agendo da frangivento, ossia filtrando le masse ventose smorzandone la velocità, mediamente tra il 30 e il 50%, soprattutto nello strato più vicino al suolo. I benefici sono: minori danni da vento sulle colture; minor erosione eolica del suolo; minor disturbo agli insetti impollinatori; intercettazione dei semi di erbe infestanti a disseminazione anemocora; minor traspirazione dalle foglie in condizioni di elevata temperatura e vento, con incremento degli accrescimenti; minor evaporazione dell’acqua dal suolo. La velocità dei moti ventosi può così diminuire tra il 40 e l’80%, limitando sia l’incidenza dei danni alle coltivazioni sia, soprattutto, l’evapotraspirazione. Risultato: la produzione agricola, in climi temperati, può aumentare a un tasso compreso tra il 10 ed il 20% con punte del 50%.

Miglioramento del paesaggio e del territorio La vegetazione, in particolare lungo i corsi d’acqua o su terreni con pendenza, può svolgere numerose altre specifiche funzioni d’interesse generale, quali: • difesa dall’erosione delle sponde e dei pendii; • regolazione dei deflussi idrici in caso di piena; • filtro e deposizione del materiale trasportato dalla corrente; • regolazione degli habitat acquatici e ripariali. La vegetazione lungo i corsi d’acqua riduce l’erosione spondale, rallentando la velocità della corrente e consolidando il suolo con gli apparati radicali. La capacità di consolidamento delle sponde e dei versanti (soggetti ad erosione diffusa) varia in funzione delle specie, ed in particolare del portamento e delle caratteristiche dell’apparato radicale: gli alberi con grossi fusti rigidi offrono maggiore resistenza al deflusso rispetto ad arbusti o giovani alberi in grado di flettersi. La vegetazione riparia, rallentando la corrente, favorisce la laminazione delle acque durante gli eventi di piena, immagazzinandole nel suolo per infiltrazione e rilasciandole in modo graduale quando il fenomeno cessa. Questa azione regolatrice sul deflusso delle acque, tuttavia, può avvenire solamente con opere di manutenzione degli alvei di fiumi e torrenti i quali devono essere ripuliti da vegetazione viva o morta; dove scorre l’acqua è imprescindibile la manutenzione!

Funzioni turistico-ricreative Alcune esperienze dimostrano che filari, siepi e boschetti possono contribuire allo sviluppo di attività turistico-ricreative, con immediate ricadute economiche. Fra queste si citano l’agriturismo, in cui la produzione mellifera, i frutti eduli, i funghi e i tartufi possono integrare l’offerta dei prodotti aziendali, ma anche l’escursionismo su percorsi segnalati ed infine l’educazione ambientale, con iniziative svolte da scuole, associazioni e istituti di formazione.

La progettazione delle fasce tampone La progettazione delle fasce tampone è un processo complesso che richiede il coinvolgimento di un dottore agronomo o forestale per valutare una serie di fattori: scopi produttivi, vincoli ambientali, paesaggistici, stradali, caratteristiche pedoclimatiche del posto, ampiezza della fascia necessaria per ottenere gli effetti desiderati, piano di preparazione del terreno, concimazioni e pacciamatura. Fortunatamente le siepi arbustive e arboree sono piuttosto presenti nel territorio provinciale e potrebbero essere oggetto di studio e valorizzazione con risorse modeste ma i benefici ottenibili potrebbero essere notevolmente più importanti dell’investimento.

Maurizio Gerini: passione mountain bike!

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di Fabio Bertelli – A sentire una qualsiasi intervista o dichiarazione di ciclisti, professionisti e no, una delle costanti è la parola “fatica”. Fatica nel senso fisico, per i numerosi allenamenti e per le gare lunghe centinaia di chilometri, fatica economica, per i numerosi sacrifici che portano a seguire la propria passione, e fatica mentale, per le numerose rinunce che possono essere imposte da una dieta o dalla privazione di un qualsiasi altro vizio.

La domanda che ci poniamo allora è la seguente: “Chi ve lo fa fare?”. Basta proseguire nell’ascoltare o nel leggere le parole del ciclista per trovare una prima, ma definitiva risposta: è la soddisfazione a muovere tutto. La soddisfazione di rivedere ripagati gli sforzi, di superare i propri limiti, di godere di panorami mozzafiato e di sensazioni che, difficilmente, sarebbero percepibili in altro modo.

Proprio per farci parlare di queste soddisfazioni che siamo andati ad incontrare Maurizio Gerini (Tito), casentinese che ormai da quindici anni pratica ciclismo e, superata la soglia dei cinquanta anni, si è accorto di come ciò possa essere non più solo una semplice passione ma una vera e propria ragione di vita.

Ciao Maurizio, ci racconti qualcosa sulla tua squadra di ciclismo? «Innanzi tutto, voglio partire esprimendo quello che è il mio amore per il ciclismo, uno sport bellissimo in grado di regalare emozioni incredibili. È uno sport estremamente faticoso che solo se sei veramente appassionato riesci ad apprezzare. Per quanto riguarda il mio percorso, inizialmente ho gareggiato con l’”Avis Pratovecchio” per due anni, poi per tre anni nella squadra “Bike Star” di Henry Ceccarelli di Poppi, adesso ho cambiato squadra e faccio parte del “Team Errepi” di Pieve Santo Stefano da oramai quattro anni. Per me è un onore fare parte di questa importante squadra. Partecipiamo a campionati di livello nazionale, con gare in tutta Italia. Ovviamente il ciclismo è uno sport individuale e contano i risultati del singolo. Tuttavia, ritrovarsi a lavorare con una squadra di persone con interessi condivisi è qualcosa di estremamente importante, e mi sento fortunato sotto questo punto di vista. Attualmente, grazie allo sponsor, ho due biciclette, una ammortizzata solo davanti ed una ammortizzata sia davanti che dietro. In base al tipo di gara scelgo quale delle due utilizzare».

Quali risultati hai raggiunto e quali vuoi raggiungere? «Parto dicendo che faccio ciclismo da ormai quindici anni e che questo sport rappresenta per me una grande passione. Una passione che, negli ultimi anni, sta diventando sempre più simile ad un lavoro, visto il quantitativo di energie che impiego. Sulla base di quanto detto, è innegabile l’importanza che l’ottenimento di risultati porta con sé, anche in un’ottica di mettersi in buona luce con gli sponsor. Lo scorso anno ho ottenuto degli ottimi risultati: primo posto di categoria nel campionato Umbria Tuscany, ovvero un campionato che si svolge su un circuito in tutta Italia centrale (Toscana, Umbria e Lazio); secondo posto MTB tour Toscana; ottavo posto Coppa Toscana. Avrei anche avuto la possibilità di partecipare ai campionati italiani, ma ho deciso, tuttavia, di rinunciarvi. La volontà sarebbe, quanto meno, quella di confermare i positivi risultati dello scorso anno. Ovviamente lavoro quotidianamente per cercare di migliorarmi e cercare di essere sempre più competitivo. La stagione, iniziata da poco, per ora mi ha portato dei buoni risultati. Nelle prime due gare di Coppa Toscana, a cui ho già partecipato, a Terontola la prima e a Monteriggioni la seconda, mi sono posizionato in quarta posizione, un risultato che mi rende orgoglioso e, al tempo stesso, volenteroso di andare sempre a migliorare. Ho fatto anche un’altra gara a Città della Pieve, ottenendo anche in quest’ultima un ottimo risultato. Spero di ottenere buoni risultati in tre importanti gare della nostra vallata: Casentino Bike, Gf di Poppi e Straccabike di Pratovecchio). Detto ciò, la competitività è certamente importante ma non è tutto. Il mio obiettivo è anche quello di migliorare come persona, fare nuove esperienze e conoscere persone nuove, con le quali condividere la mia passione».

Come avviene la preparazione ad una gara, quante volte vi allenate a settimana? «Solitamente, salvo alcune eccezioni, le gare si tengono la domenica. L’avvicinamento alla gara, dunque, prevede una routine settimanale abbastanza collaudata. Il giorno dopo la gara, il lunedì, è fondamentale, in quanto facciamo lavoro defaticante, importantissimo per sciogliere le gambe e la fatica accumulata durante i chilometri del giorno precedente. Il martedì è l’unico giorno di riposo che abbiamo. Dal mercoledì al sabato ci alleniamo tutte le mattine, all’incirca due/tre ore. Figura fondamentale è, infatti, quella del preparatore atletico (Nicola Corsetti nel mio caso), che permette di organizzare al meglio la gestione di carichi e scarichi, fondamentale per arrivare al giorno della gara il più possibile in forma. La stagione delle gare va da marzo a giugno. I due mesi estivi più caldi, luglio e agosto, sono di stop. Già da settembre, invece, inizio già a prepararmi per la stagione successiva. Come ho già avuto modo di dire, negli ultimi anni sto cercando di essere sempre più attento a questi aspetti: piccolezze per un occhio inesperto, questione fondamentale per chi vuole, come me, sempre cercare di migliorarsi. Fondamentale in tutto ciò è il supporto di mia moglie, che ringrazio caldamente in quanto mi permette di riuscire a coniugare allenamenti e lavoro, non sempre facile in quanto gestisco un’attività insieme a lei».

Segui anche una dieta particolare? «Assolutamente sì. Facendo ciclismo Mountain Bike, ovvero su strade brevi ma estremamente pericolose (discese paurose e terreni impervi), dal mio punto di vista è fondamentale mangiare sano e bene per cercare di rendere al meglio. Per questo motivo mi faccio seguire da un alimentarista che mi ha dato una dieta equilibrata, costruita appositamente per ciò di cui ho bisogno. Mangio moltissima frutta e verdura, carboidrati al giorno e proteine alla sera. Come in qualsiasi dieta è necessario fare delle rinunce ed evitare, sgarri a parte, tutti quei cibi estremamente dolci e zuccherosi. Tuttavia, lo faccio volentieri. Sono una persona determinata che, quando si mette in testa di fare qualcosa, cerca di andare sempre in fondo, e nel miglior modo possibile».

Grazie mille e buona fortuna per il proseguo della stagione! Ringraziamo nuovamente Maurizio per averci raccontato quella che, negli ultimi anni, è divenuta qualcosa più di una semplice passione. Il suo breve racconto ci permette di capire cosa significa amare qualcosa e fare dei sacrifici per cercare di migliorare. Ci auguriamo che la sua perseveranza e la sua costante ricerca di nuovi obiettivi possa essere da esempio per tutti coloro che amano fare qualcosa, ma non trovano la totale motivazione per immergersi del tutto nella loro passione.

Allora concludiamo con una citazione, condivisa in pieno dal nostro Maurizio, in cui il più grande ciclista di tutti i tempi, il ‘Pirata’ Marco Pantani, spiegava cosa fosse per lui il ciclismo. «Il ciclismo mi piace perché non è uno sport qualunque, nel ciclismo non perde mai nessuno, tutti vincono nel loro piccolo, chi si migliora, chi ha scoperto di poter scalare una vetta in meno tempo dell’anno precedente, chi piange per essere arrivato in cima, chi ride per una battuta del suo compagno di allenamento, chi non è mai stanco, chi stringe i denti, chi non molla, chi non si perde d’animo, chi non si sente mai solo. Tutti siamo una famiglia, nessuno verrà mai dimenticato. Chi, scalando una vetta, ti saluta, anche se ti ha visto per la prima volta, ti incita, ti dice che «è finita», di non mollare. Questo è il ciclismo, per me».

Il 25 aprile e i giovani

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di Gabriele Versari – Esattamente venti anni fa, la redazione di CASENTINO2000 pubblicò in un articolo l’intervista ad un quindicenne casentinese, Luca Grisolini, il quale all’epoca si era appena iscritto ad ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). Il colloquio ebbe lo scopo di rapportare il ruolo dei giovani alla commemorazione del 25 aprile, visti i sessant’anni trascorsi dalla liberazione dal Nazifascismo. Oggi, che di anni ne sono passati ottanta, si è voluto ripetere l’esperimento, ma stavolta aumentando il numero e la varietà degli intervistati. Ai nostri microfoni si sono infatti prestate e prestati Eva (graphic designer), Viola (cameriera), Gianpiero (studente universitario) e Gianmatteo (operaio metalmeccanico), quattro giovani casentinesi tutti nati nel 1999. La finalità dell’incontro è stata quella di riflettere sul significato di tale ricorrenza e sulle implicazioni che la stessa comporta nella realtà odierna, ormai legata ad un mondo ultra-digitalizzato.

Che valore ha, dal vostro punto di vista, celebrare il 25 aprile e chi sono a vostro parere i partigiani? Eva: «Ora che vivo a Bologna, percepisco il 25 aprile come un giorno di grande festa, un giorno “felice”. Nel corso della giornata la città è in fermento, le vie e le strade sono un fiume in piena, soprattutto nei luoghi storicamente legati alla Resistenza. In Casentino la ricorrenza è meno sentita, almeno da parte mia e del mio gruppo. Sono dell’idea che l’azione partigiana sia stata di fondamentale importanza per la liberazione del nostro Paese, sia militarmente ma soprattutto dal punto di vista sociale. Certamente, non tutta la popolazione italiana dell’epoca sosteneva i partigiani, ma tutti erano a conoscenza del loro operato e di quanto fosse influente nello scenario bellico».

Viola: «La figura del partigiano ha colmato un vuoto che sussisteva all’interno del contesto nazionale italiano durante la guerra. Era necessaria una forte presa di posizione da parte del popolo, ormai stanco di sottostare al dominio Nazifascista. Oggi occorre prendere spunto da quei civili contrastando ciò che non riteniamo giusto e ciò che ci opprime, sia individualmente sia collettivamente, difendendo l’Italia da gruppi e cospirazioni che non contemplano l’ideale democratico, tutt’oggi purtroppo presenti nel nostro Paese».

Gianpiero: «Vedo il 25 aprile come una data fondamentale per la nostra storia. Provo una sorta di fascino riflettendo sui discorsi dei nostri concittadini negli anni successivi alla fine della guerra fino al termine della Prima Repubblica. Si percepisce quanto il sentimento collettivo legato a tale ricorrenza fosse allora enormemente più diffuso di quanto non lo sia oggi. Infatti, a causa sia di una società più fluida e individualista, che della cosiddetta “fine delle ideologie” determinata da un maggiore benessere generale, stiamo assistendo ad un fenomeno di disinteressamento da parte dei giovani verso le vicende della Resistenza e la politica in generale».

Gianmatteo: «Il disinteresse è generato, a parer mio, dai politici stessi, che ad ogni tornata elettorale sembrano presentarsi con l’unico scopo di acquisire il maggiore consenso possibile, invece di portare avanti i propri ideali. Assomigliano a influencer assetati di like e di visibilità più che a rappresentanti di determinati valori socioculturali. Tale dinamica è presumibilmente derivata dal cambio di paradigma che ha subito la comunicazione, che da analogica è passata ad essere in gran parte digitale. Dunque, il disinteresse è sì da imputare ai giovani, indifferenti alle vicende politiche, ma anche ai rappresentanti stessi, i quali sembrano essersi totalmente snaturati rispetto al passato per adattarsi alle logiche comunicative e informative odierne. Tutto ciò genera un astensionismo pericoloso, che favorisce quasi sempre le forze politiche più estremiste».

Riprendendo le parole di Viola, ad oggi l’ideale e l’ideologia fascista rappresenta nuovamente un pericolo? Viola: «L’idea che il fascismo non esista più è fuorviante. In numerose inchieste giornalistiche, effettuate anche all’interno di gruppi politici di estrema destra, è emerso chiaramente come anche tra i più giovani permanga un sentimento nostalgico verso il ‘Ventennio’».

Gianmatteo: «Se alle ultime elezioni nazionali, in un paese come la Germania, un movimento di estrema destra ottiene un quinto dei consensi totali è chiaro che sussista un problema, che per adesso può essere combattuto e arginato poiché si tratta comunque di un embrione. Non bisogna dimenticare, però, come andarono le cose all’incirca un secolo fa: le prime elezioni politiche a cui prese parte il Movimento dei Fasci di Combattimento furono un disastro per lo stesso, poi però tutti sappiamo com’è andata a finire. Quindi, la questione è sicuramente all’ordine del giorno, ma non si deve essere disfattisti o indifferenti, bensì consapevoli del fatto che la situazione possa eventualmente, e ci si augura il contrario, degenerare. Deve far riflettere il motivo per cui nel Paese che ha visto il più importante processo di epurazione – politica, sociale, culturale – dopo i fatti della Seconda Guerra Mondiale, ci si ritrovi ad avere un risultato elettorale quanto mai inatteso (ma non troppo, visto lo spettrometro politico internazionale odierno), dove una buona parte dei votanti sceglie deliberatamente di optare per il partito che rimanda maggiormente a quelle istanze politiche ormai da tempo dimenticate».

Eva: «Com’è già asserito da Gianpiero, in una società in cui imperversano l’individualismo e l’isolazionismo più assoluti, certi rappresentanti della destra possono far leva su determinati elementi propagandistici quali la paura del diverso e la necessità di imputare ad un capro espiatorio la colpa di questa o quell’altra emergenza. L’esempio dell’immigrazione clandestina è lampante: il cittadino, sommerso dal precariato lavorativo, è spaventato dalla possibilità che il proprio lavoro passa essere sottratto da chi arriva ‘da fuori’, perciò tale tipologia di argomentazione attecchisce facilmente».

Celebrare il 25 aprile e i partigiani rimane tutt’oggi un tabù per una certa fazione politica nel nostro Paese. Ciò deriva dal fatto che sia mancato un corrispettivo italiano rispetto a quello che in Germania è stato il Processo di Norimberga? Eva: “Mi viene a mente un tema assai controverso: quelle delle foibe. Non mi esimo dal definirla una tragedia immane, ma spesso viene strumentalizzata dalla destra, soprattutto estrema, per scagionare il fascismo e per vittimizzare i suoi cultori. Tale controversia è solo una delle tante conseguenze della mancanza, dopo la Seconda Guerra Mondiale, di una vera e propria epurazione nel nostro Paese. Non ci sono state grosse ripercussioni per la maggior parte dei gerarchi del regime. Il potere che aleggiava all’interno del contesto politico dell’epoca e l’appoggio agli alleati verso la vittoria finale della Guerra scagionarono diversi uomini chiave della stagione politica dittatoriale. Ciò ha fatto sì che oggi si metta in dubbio l’effettiva buona fede dei partigiani. Spesso, nel dibattito sul ruolo dei partigiani, questi vengono definiti assassini più che valorosi civili che hanno contribuito alla liberazione del Paese».

Viola: «Non mi spiego perché tutto ciò che è legato alla cultura partigiana, come il celeberrimo inno “Bella Ciao”, debba essere per forza additato come un rimando all’estrema sinistra, quando coloro che si impegnarono nella guerra di liberazione erano appartenenti a diverse fedi politiche, a dir la verità tutte fuorché quella fascista stessa. In tal senso, è chiaro come, in Italia, una definizione precisa di chi era dalla parte giusta non sia mai stata effettuata. La tipica frase “ha fatto anche cose buone” è figlia di un sottotesto culturale mai chiarito, che oggi presenta palesi ambiguità».

La vittoria della destra in Italia deriva esclusivamente da tale fattore o ne esistono altri? Gianpiero: «Ritengo che l’opposizione parlamentare si stia attenendo ad un approccio alquanto inadeguato. Sono diversi anni che la sinistra trova nei diritti civili il tema principale della propria azione. Personalmente, li ritengo sì importanti, ma non al punto da lasciar perdere tutto il resto, compresi i diritti sociali che vedono nel lavoro e nella sussistenza economica il proprio cardine. Sono fermamente convinto che entrambe le famiglie di diritti debbano essere tutelate di pari passo».

È innegabile che sussista un divario esponenziale tra i giovani partigiani e quelli appartenenti alla nostra generazione, i cosiddetti “Gen Z”. Il principale fattore di divergenza è il futuro che ci attende: se per i primi ciò che sarebbe avvenuto dopo gli eventi della guerra sarebbe stato in ogni caso la cornice di uno scenario di maggiore benessere, oggi il futuro è incerto, soprattutto se si considerano le vicende internazionali (elezione di Trump, guerra in Europa e crisi economica globale). Quali speranze dovremmo coltivare? Gianmatteo: «È difficile trovare una risposta univoca alla domanda, poiché la stessa implica il fatto che non ci sia un’unica minaccia all’orizzonte, come poteva essere il Nazifascismo per i partigiani, bensì molteplici questioni che rendono il futuro a tratti spaventoso. Manca quell’ideale che porta ognuno di noi ad avere un’unica corrente di pensiero: di nuovo, siamo più individualisti, tendiamo ad essere maggiormente indifferenti verso la comunità. Sarebbe dunque complesso ingaggiare una battaglia per vincere le sfide che l’avvenire ci presenta».

Eva: «Per quanto mi riguarda, credo che un’iniziativa del genere sia realizzabile, adottando però strumenti differenti rispetto a quelli che hanno permesso ai partigiani di vincere la guerra. Occorre un rinnovato interesse per la comunità e per lo stare bene insieme. È vero, le prospettive future sono terrificanti in questo momento storico, ma riesco a rimanere abbastanza positiva poiché noto, sia all’interno delle mie cerchie sociali che nei social, la voglia di mettersi in gioco e fare gruppo tramite iniziative comunitarie e di reciproco aiuto. Percepisco che, in generale, le persone si stiano rendendo conto di quale futuro le attende se le cose non dovessero cambiare, e ciò le porta a mobilitarsi».

Gianpiero: «Sono sia ottimista sia preoccupato. È sotto gli occhi di tutti che la storia si ripete e, come un secolo fa, stiamo affrontando un momento di grande crisi internazionale. Dall’altro canto, però, ribadisco ciò che è stato asserito da Eva: mobilitarsi dal punto di vista civico e partecipativo è fondamentale per salvaguardare i singoli e la collettività. Vedo tale prospettiva come un metaforico antidoto ai veleni dell’individualismo e dell’isolazionismo prodotti dalla società moderna. Concludo sottolineando l’importanza dell’educare a e regolamentare l’utilizzo dei dispositivi digitali, poiché questi rappresentano inequivocabilmente il futuro dell’umanità».

I “piccoli geni” della matematica alle selezioni finali italiane

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Lorenzo Bendoni della seconda media dell’istituto Comprensivo Dovizi di Bibbiena, Beatrice Bonini della V primaria di Bibbiena, Francesco Griffini della II media di Soci, Thomas Giannini della I A dell’Isis Fermi di Bibbiena sono i giovani che tra pochi giorni saranno protagonisti delle finali dei giochi matematici che si terranno in varie parti d’Italia.

Vittoria Valentini, l’Assessora alla Pubblica istruzione, li ha voluti incontrare prima della loro partenza per un saluto e per ricordare loro l’importanza di coltivare le proprie passioni, ecco le sue parole: “Avevo già visto alcuni di loro, oggi però ho avuto il desiderio di incontrarli di nuovo prima della loro partenza per le finali di alcune sfide matematiche a livello nazionale che li ha visti in qualche modo emergere nelle fasi preliminari e portati con onore in finale. Ho voluto parlare con loro alla presenza dei genitori anche per riflettere sull’importanza delle passioni che, nella vita, sono quelle che ci portano fuori da noi stessi, ci mettono in contatto con il mondo e con gli altri e ci fanno crescere come persone. Credo che questi giovani rappresentino al meglio il lavoro che ogni giorno viene fatto da tanti insegnanti nelle nostre scuole. Per questo vorrei ringraziare proprio tutti gli insegnanti del nostro territorio per l’impegno che ogni giorno mettono nel portare i nostri giovani a coltivare i propri talenti”.

Lorenzo Bendoni ha un talento naturale per la matematica che dice di utilizzare in ogni momento della sua vita, anche per giocare al ristorante, quando si diverte a calcolare a mente il conto complessivo del tavolo.

Beatrice Bonini fin da piccola ha sviluppato un grande interesse per i numeri e la logica, si diverte a fare esercizi, espressioni e problemi anche utilizzando i libri spesso destinati agli insegnanti. Ma la matematica la applica anche quando suona il pianoforte, l’altra sua grande passione. Il suo sogno che coltiva per quando sarà grande è quello di “tenere i conti”.

Francesco Griffini si diverte ogni giorno a fare esercizi sempre più difficili e sfidanti, e i giochi matematici rappresentano per lui una nuova entusiasmante sfida per misurarsi con sé stesso e con tanti altri ragazzi e ragazze della sua età.

Il più grande del gruppo, ovvero Thomas Giannini, è un vero genio della matematica. Da quando era piccola partecipa con grandi soddisfazioni ai giochi matematici. Il suo obiettivo quest’anno è quello di ritentare il risultato ottenuto due anni fa ovvero un bellissimo 24esimo posto su 1700 alle finali.

Questi giovani sono solo la punta dell’iceberg di un bel fenomeno che sta conquistando molti giovani bibbienesi e non solo. Moltissimi ragazzi e tante ragazze anche quest’anno hanno a giochi e campionati internazionali.

Oggi l’amministrazione, nella persona dell’Assessora Vittoria Valentini, è andata a complimentarsi con coloro che hanno ottenuto delle belle qualificazioni a livello nazionale. I Campionati Internazionali di Giochi Matematici della Bocconi di Milano,

Giochi Matematici per la Scuola Premio “Aldo Morelli” XVIII edizione sono solo alcune delle manifestazioni a cui si sono iscritti con profitto i giovani del Casentino. Tra pochi giorni si disputeranno le finali e Vittoria Valentini commenta: “Felice di questi risultati che sono simbolo di un impegno che stiamo portando avanti nei loro confronti con grande entusiasmo. Adesso tocca a loro, ma noi saremo lì accanto a loro perché crediamo che ogni loro risultato, anche simbolico, sia un risultato di tutta la nostra comunità”.

L’insostenibile leggerezza della politica

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di Anselmo Fantoni – In questi giorni ad alcuni di noi pare scandaloso che si prospetti l’indebitamento del vecchio continente per una cosa sciocca quanto anacronistica: il riarmo. Avevamo lasciato dietro le spalle il secolo delle guerre mondiali, quello dei totalitarismi che oramai sembravano sopiti, le battaglie autarchiche oramai spazzate via dal mercato globale e senza frontiere, una finanza sempre più hi tech, fino a spingerci nel terreno della fluidità di genere cara a certa parte politica sempre attenta ai valori e ai diritti. Poi arriva il buon Vico e zac, corsi e ricorsi della storia, ci ritroviamo di nuovo al via, come al gioco dell’oca, con un bel passo dell’oca, tutti in fila per tre gomito a gomito e front destr. Via il globalismo, via il gender fluid, ma soprattutto all’armi! Ora manca solo la sottolineatura che Dio lo vuole e siamo ripiombati in pieno XX° secolo, e tutti a rincorrere la deterrenza nucleare.

Ma tranquilli, tutto questo solo e soltanto per salvare la pace, per difendere una democrazia che non ha saputo aiutare la Grecia o che decide quale candidato, scelto dal popolo e non dalla troika di turno, debba vincere le elezioni. Ma queste sono questioni di alto livello, difficili da comprendere da noi comuni mortali, a noi basta poco per essere felici, un pizzico di sanità, sempre meno pubblica, una manciata di ciclopista, una rotonda sul fiume e una diritta un po’ più diritta di prima. Voilà, il paradiso è servito, investimenti pubblici necessari per tante campagne elettorali dove si magnificano opere tanto faraoniche quanto inutili per la nostra vita da very normal people.

E il nostro trenino? Quanto ci costa? Che servizio dona alla cittadinanza? Oramai serve solo per portare i nostri ragazzi a scuola, infatti la domenica non c’è, alla faccia dell’infrastruttura che doveva sostenere un turismo eco friendly, del resto anche le ferrovie nazionali nei fine settimana, quando viaggiano soprattutto turisti, da oltre un anno quasi sempre sono vittime di scioperi, rendendo arduo muoversi sulle rotaie e costringendo a utilizzare le autovetture che però non possono avvicinarsi alle città se non vanno a pile. Già, le macchine a pile, altra scelta fatta per noi poveri consumatori costretti a spendere due, tre o quattro volte rispetto a quanto spendevamo prima per acquistare il diritto di fruire delle città.

Ma torniamo al nostro trenino, qualche anno fa, anzi qualche elezione fa, si è sbandierato il grande successo nella sicurezza, si sono fatte le consuete inaugurazioni di piccoli tratti dimostrativi dal politico di turno, e diciamocelo, eravamo tutti contenti che il treno che avrebbe trasportato i nostri ragazzi fosse dotato di un sistema che garantisse sicurezza, addirittura più dell’alta velocità, perché qui quando si fanno le cose mica si scherza, vedi il progetto del raddoppio dei binari e della metro di superficie Stia-Arezzo. Poi, dopo tante elezioni, oramai le opere pubbliche si contano non in anni ma in questi eventi, ti accorgi che 20.000.000 di € non sono stati sufficienti per questo ambizioso progetto, che forse arriveremo a spenderne circa 30.000.000 di €, ma tant’è mica vorrete fare i micragnosi per la sicurezza dei nostri ragazzi. Oramai i treni sono stati tutti aggiornati e sono quasi tutti nuovi, e giù milioni anche li, ma almeno il lungo viaggio verso Arezzo è più confortevole anche se a volte con una carrozza a cavalli si impiegherebbe lo stesso tempo.

Appare veramente marginale vedere in quel di Calbenzano decine, se non centinaia, di recinzioni in cemento armato abbandonate li da tempo immemore, mentre, in spregio alla sicurezza, ancora gran parte della linea, anche in centri abitati, è di libero accesso e non custodita come forse si dovrebbe. Ma i nostri giovani oramai giocano digitalmente e speriamo che a nessuno venga in mente di fare un’escursione sulle rotaie, a proposito, le rotaie sono all’altezza dei nuovi convogli? La manutenzione è regolare? Possono sopportare più convogli e velocità più alte?

L’importante è farle gestire da un’altra struttura che comunque avrà bisogno di un suo consiglio di amministrazione e un presidente che probabilmente sarà ricoperto da un politico locale. Sul nostro treno cominciano a verificarsi spiacevoli incidenti in cui controllori e macchinisti sono vittime di violenza da parte di alcuni viaggiatori poco inclini a pagare il biglietto, ma su questo lato le istituzioni e le forze dell’ordine sembrano aver cercato di arginare il fenomeno con azioni di controllo e contrasto che in alcuni casi sono state risolutive. Speriamo che gli eventi ci smentiscano, che il nostro treno diventi presto più sicuro e più veloce, con coincidenze per le destinazioni turistiche e che soprattutto non faccia la fine della piscina di Certomondo, più volte inaugurata e ahimé ancora tabù per i nostri concittadini che sono costretti ad andare ad Agazzi per le fisioterapie.

Per le nostre necessità i soldi non si trovano e quando si trovano si sprecano malamente, a volte non si può operare per i vincoli di bilancio, né assumere medici e infermieri, perché c’è troppo debito pubblico, ma poi, quando qualcuno dice che siamo in imminente pericolo di invasione, giù soldi per le armi come nel XIX° secolo. Nemmeno aver portato ai vertici europei le donne ci ha salvato da scelte scellerate, e come il mio bisnonno stiamo lasciando in eredità ai nostri figli un mondo con meno servizi socio sanitari, con una ricchezza mal distribuita e soprattutto un ritorno alla logica della via al riarmo, poco importa, se percorsa dai singoli stati imperiali o imperialisti o da un continente unito, per difendere i sacri confini che Dio ci donò.

Ci hanno detto che vanno costruiti ponti e non muri ma pensano alla spesa bellica e non alla diplomazia, che la mobilità dev’essere green, ma le ferrovie per i poveri sono le terze classi dei transatlantici del secolo scorso, per chi i soldi ce l’ha c’è Italo, il trasporto passeggeri di prima classe. Qui invece il nostro povero trenino ancora arranca come un secolo fa e la colpa, forse, è proprio la nostra, perché ad ogni elezione crediamo alle bugie del politicante di turno, a volte lo stesso da decenni. Buon viaggio.

Leggeri Leggeri, un’iniziativa a Bibbiena per la giornata mondiale del libro

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Domani 23 aprile 2025 anche Bibbiena, festeggia la Giornata Mondiale del Libro con l’iniziativa “Leggere Leggeri”, un percorso itinerante di letture nel centro storico con inizio da Piazza Grande alle ore 17.00.

Francesca Nassini, Assessora alla Cultura commenta: “Per Bibbiena la lettura è diventata una pratica preziosa, a lei abbiamo dedicato tantissime iniziative prima il Festival del libro. Con questa iniziativa vorremmo celebrare la giornata istituita a livello mondiale, ma anche portare avanti nel tempo, ovvero nel corso di tutto l’anno, iniziative che ci legano al festival e ce lo fanno vivere ogni giorno. Ringrazio nuovamente anche tutte le attività commerciali del centro storico che hanno dato la loro gentile disponibilità a ospitare le varie tappe di lettura”.

L’iniziativa bibbienese è promossa dal Comune di Bibbiena, da Biblioteca Giovannini e da Nata Teatro i cui attori saranno impegnati nelle varie letture itineranti.

In Piazza Grande alle 17.00 si inizia dalle Logge dei Tarlati con “Lezioni americane” di Italo Calvino lette da Livio Valenti.

Nel contesto di Enigma Pub saranno lette pagine di “Bar Mario” di Christian Bigiarini letto da Livio valenti.

Da Art Gallery “Blonde” di Joyce Carol Oates con Alessandra Aricò.

Da Abbigliamento Brami “300 novelle” di Francesco Sacchetti letto da Iacopo Dicembrini.

Da Raggioli Store “Chiedi alla polvere” di John Fante con Lorenzo Bachini.

All’Edicola di Piazzolina “Il Conte di Montecristo” di A. Dumas letto da Alessandra Bracciali.

Da Dispensa Donati, “Felicità” di Trilussa con Livio Valenti.

Si chiude con Blaze Shop “Non mi ricordo niente” di Nora Ephron letto da Alessandra Aricò.

Alle ore 21.00 le letture itineranti entreranno come uno spettacolo unico sul palco del Teatro Dovizi.

 Nassini conclude: “Camminare e leggere, leggere e ascoltare in un percorso di grande bellezza e profondità che stiamo cercando di sostenere ampiamente in tanti modi. La stessa riorganizzazione della Biblioteca comunale, con l’introduzione di nuove opportunità, la nascita dei club del libro adulti e bambini, l’ampliamento delle sezioni e le attività collaterali, portano la comunità di Bibbiena a porsi davanti alla lettura come un momento di grande valore per la vita stessa del territorio. Ringrazio Nata e gli attori per la professionalità e per il modo in cui hanno organizzato questa bellissima camminata per le lastre del centro storico, con le scelte dei brami, la bravura della loro capacità scenica e il coinvolgimento delle persone”.

 Ogni anno il 23 aprile ricorre la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, nata per valorizzare l’importanza della lettura come elemento di creatività e crescita personale e collettiva. Per gli adulti il libro diventa un mezzo di conoscenza del mondo e del proprio essere interiore, ma per i bimbi, anche molto piccoli, è addirittura fondamentale per il loro sviluppo.

Un giro di Pasquetta per ciclisti esperti e ben attrezzati

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di Marcello Bartolini – Le giornate si allungano e le temperature finalmente diventano più miti, se durante la stagione invernale abbiamo mantenuto un minimo di allenamento possiamo finalmente affrontare giri un po’ più impegnativi. Consiglio, comunque, di non esagerare e di partire in ogni caso bene attrezzati anche per eventuali acquazzoni che in questa stagione potrebbero arrivare all’improvviso e rendere la giornata poco piacevole. Direi che adesso è arrivato il momento di spingere un po’ di più, per questa ragione il giro, sebbene non sia particolarmente lungo, è decisamente impegnativo, sia per il dislivello da affrontare che per la natura del percorso, per questa ragione è consigliato per ciclisti esperti e ben attrezzati ed è d’obbligo la mountain bike.

Partenza da Bibbiena, piazzale d’Ettore, ampio e comodo parcheggio, si procede sulla sinistra verso Santa Maria del Sasso, da qui si inizia una breve salita che ci porta sino a Querceto e, superato il paese sulla strada della Verna che attraversiamo per dirigerci verso Banzena, dopo poche centinaia di metri va preso lo sterrato sulla sinistra che porta alla Fragaiola, strada sterrata ma ancora percorsa da automobili, quindi fare comunque attenzione. Dopo un paio di chilometri, poco prima di arrivare alla Fragaiola, un sentiero sulla sinistra ci porta sul fianco del monte, qui un tratturo abbastanza largo ed in falsopiano arriva sino ai ruderi di Campodonico, un podere abbandonato.

Una volta superato questo punto inizia una breve discesa che sbocca su un altro sentiero scosceso. La tentazione di andare a sinistra, in discesa, potrebbe essere forte per chi fosse già stanco anche perché a destra la salita appare dura; non vi fate scoraggiare, è una salita breve che quasi immediatamente si trasforma in pianura. Proseguiamo sino a quando non si incrocia il sentiero che scende da Poggio Baralla, si gira a sinistra e finalmente si scende, la fatica maggiore è terminata anche se la discesa è comunque piuttosto impegnativa, quindi prudenza almeno sino a quando non si giunge in prossimità sulla riva dell’Archiano.

Andiamo a sinistra seguendo il corso del fiume, a Partina si prosegue sulla ciclabile verso Soci dove, una volta attraversato il ponte, imbocchiamo immediatamente la ciclabile sulla sinistra in direzione di Bibbiena. A metà percorso, all’altezza di Candolesi, prendiamo la strada sulla destra, costeggiamo la fabbrica e torniamo sulla strada asfaltata che porta a Soci, prendiamo a destra e ne percorriamo un breve tratto, imbocchiamo sulla sinistra via Casa Silli, proseguiamo per Casa Marco e, una volta attraversato il fosso, saliamo verso le “Paline” e da qui andiamo verso le Pescine.

Continuando a seguire lo sterrato verso destra arriviamo sino a Memmenano, qui una breve discesa asfaltata ci porta all’incrocio sulla strada di fondovalle, direzione Bibbiena per poco più di 100 metri e poi, subito a destra attraverso un tratturo, siamo sulla ciclabile dell’Arno che percorriamo verso sinistra sino a Bibbiena da dove, proseguendo sempre sul percorso ciclabile, andiamo a Corsalone, giriamo a sinistra e ci aspetta solo un ultimo sforzo: la salita di Pollino che ci riporta sino al punto di partenza. Mi raccomando in quest’ultimo tratto di fare molta attenzione, ci sono i lavori di ammodernamento della SR71 ed il traffico è abbastanza intenso per cui regolatevi di conseguenza.

Giro particolarmente impegnativo anche se decisamente immerso nei nostri paesaggi casentinesi, fatti di foreste, campi coltivati e fiumi, insomma un paesaggio decisamente affascinante per chi ama le attività all’aria aperta.

La colazione di Pasqua

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di Lara Vannini – Spesso ci lamentiamo perché abbiamo come la sensazione che in questa epoca di tecnologia, razionalità ed intelligenza artificiale, null’altro sembra avere più un senso e in fondo la cultura occidentale moderna si fonda proprio sul metodo scientifico e la razionalità.

Ma è proprio così? A ben guardare ogni epoca ha avuto i propri riti e le proprie credenze e nonostante oggi sentiamo che tutto sia già stato scoperto o sia scopribile cercando su qualche motore di ricerca, l’animo umano ancora nel 2025 sente che il sogno gli appartiene, che le antiche tradizioni di famiglia danno ancora un senso al nostro esistere e che è sempre piacevole abbandonarsi a qualche credenza forse strampalata ma di grande fascino.

Come recita l’antico detto “non è vero ma ci credo”, perché in fondo soprattutto al sopraggiungere delle festività quando abbandonati per pochi giorni i “panni da lavoro”, ci immergiamo negli affetti più sinceri e nei luoghi del cuore, torniamo tutti un po’ bambini e ci fa piacere trovare in tavola il dolce che ci preparava la nonna, o scoprire in un cassetto abbandonato un vecchio ricettario che a suon di dolci prelibatezze scandiva i mesi e le festività. Ancora ci meravigliamo nel preparare il cestino con le uova da benedire il giorno di Pasqua, o ci sentiamo rinascere di una nuova vitalità quando per il giorno della festa decidiamo di acquistare qualche nuovo capo di abbigliamento.

Onorare il tempo e le stagioni ci fa sentire più umani e pacifica il nostro cuore. Molti sono i simboli che ieri come oggi caratterizzano la Pasqua contadina. Molti dolci rappresentano questo importante periodo dell’anno, prelibatezze che non solo ci raccontano cosa preparavano i nostri nonni per Pasqua, ma che si fanno portavoce di vere e proprie simbologie, credenze ormai tramandate da un lontanissimo passato dove la religione, un pizzico di superstizione e l’arte di arrangiarsi erano i “saperi da cui attingere”.

Panina e Pan di Ramerino Prima il suonare gioioso di campane a festa, poi la lenta processione dei nostri nonni che dalla casa colonica o dalla tipica casina in pietra, si incamminava verso la Chiesa dove il giorno di Pasqua potevano essere esonerati solo gli infermi e chi fosse colpito da grave malattia. Terminata la funzione religiosa, tutto doveva essere pronto per la ricca colazione e, apparecchiata la tavola con la tovaglia più bella, le donne si apprestavano ad offrire i dolci più tipici di questo importante giorno del calendario contadino. Dal colore brunito, soffice e profumata, la Panina, è ancora oggi una prelibatezza tutta casentinese. Pane semi-dolce composto da uvetta, spezie, strutto e a volte un pizzico di zafferano, era un dolce estremamente versatile perché riusciva ad accompagnarsi a pietanze salate come il prosciutto o l’uovo benedetto. L’uvetta che andava ad impreziosire di gusto l’impasto della Panina, era generalmente la rimanenza di quella usata per fare il Vinsanto. Ogni ingrediente così si legava all’altro con un filo segreto, e raccontava la storia di tutto l’anno.

Pensandoci adesso, il bello della cucina contadina era anche questo, ogni piatto si legava indissolubilmente alla stagione e quindi solo in alcuni periodi dell’anno si potevano gustare determinate pietanze. Un tempo ad esempio mettere lo zafferano era un lusso perché non era facilmente reperibile e costava molto. Proprio per questo portare in tavola la Panina allo zafferano significava dare la massima importanza a tutti i commensali.

Accanto al tagliere dove veniva posizionata la Panina era possibile trovare il Pan di Ramerino o anche detto “Pane santo di devozione”. Dolce tipico toscano poteva essere già preparato il Giovedì Santo in previsione della Pasqua. Il rosmarino è una pianta aromatica dalle mille virtù, dall’odore inconfondibile era facilmente reperibile e si prestava per arricchire di sapore pietanze dolci e salate come ad esempio la cottura della carne. La storia del Rosmarino o Ramerino, si lega anche alle tradizioni religiose. Infatti la leggenda narra che durante la fuga in Egitto della Sacra Famiglia, il mantello della Madonna scivolasse su una pianta di rosmarino rendendo i fiori dell’arbusto di color azzurro come il manto di Maria.

Tra i preparati erboristici si credeva che l’infuso dei suoi fiori potesse riportare alla mente avvenimenti remoti e che un rametto sotto il cuscino potesse essere un ottimo scacciapensieri. Ogni ingrediente dei pani dolci tipici della cultura toscana come la Panina o il Pan di Ramerino, richiama a qualcosa di simbolico e devozionale: il ramerino scaccia le malvagità presenti e dell’ignoto, il grano e l’uvetta come il pane e vino eucaristici, richiamano alla sacralità dell’Ultima Cena. I dolci pasquali si legano alla religione anche perché in tempi antichi era proprio la Chiesa che distribuiva gli alimenti al popolo e non è un caso che molti dolci si originino dal pane simbolo di vita e fonte primaria di nutrimento. Spesso oltre agli ingredienti e agli impasti fatti da mani sapienti, erano i forni a legna che davano sapore ai dolci e li rendevano gustosi e inimitabili.

Ciambellone e Pasta Reale Tra le torte da forno immancabili sulle tavole dei nonni c’erano anche: il Ciambellone e la Pasta Reale. Il Ciambellone si accompagnava al Vin Santo ed era un dolce anche estremamente energetico perché preparato con molte uova. Morbido e fragrante poteva durare anche per più giorni ed essere il compagno ideale per molte colazioni. La Pasta Reale oggi nota come torta Margherita è il dolce che richiama alla memoria i mestoli sbattuti con grande energia per montare le chiare o albumi. Da non confondere con la pasta reale siciliana che è una pasta di mandorle.

La Pasta Reale è la regina delle torte da inzuppo per la consistenza corposa e morbida ed è ideale come dolce da farcire. Prelibatezza delle feste, i suoi ingredienti sono estremamente semplici, uova, farina, zucchero e scorza di limone, un impasto morbido, giallo e consistente che con una spolverata di zucchero a velo regalava momenti di felicità a grandi e piccini. E oggi sulle nostre tavole a festa non può mancare l’uovo di cioccolata anche se un tempo l’uovo era solo di gallina ed era un elemento simbolico importantissimo.

Per ringraziare qualcuno di un servigio offerto, veniva generalmente regalata una coppia d’uova, oppure quando una persona era stata per molto tempo malata, per rimetterla in forze le veniva fortemente consigliato di mangiare cibi con le uova o bere direttamente l’uovo da crudo. Le uova erano anche un gradito regalo di nozze e venivano offerte dai compaesani.

In ogni epoca storica la simbologia è qualcosa che ha dato senso alla quotidianità dell’uomo, antichi saperi che ci fanno sentire uniti e parte di una realtà a volte ancora oggi misteriosa e indecifrabile.

Buona Pasqua a tutti!

Il mistero del dodecaedro

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di Federica Andretta – Quando pensiamo al dodecaedro la prima cosa che ci viene subito in mente è il mondo della geometria solida: il dodecaedro è un poliedro con dodici facce (nel caso di un dodecaedro regolare queste sono pentagoni regolari di uguale lato). Tuttavia, dietro questa figura geometrica dal design tanto affascinante quanto curioso si nasconde molto di più. Quando parliamo del dodecaedro intendiamo anche un oggetto dall’aspetto misterioso appartenente all’antichità, costruito principalmente in metallo (ferro, bronzo) ma anche in pietra (come testimoniano alcuni ritrovamenti).

L’oggetto in questione è composto appunto da dodici facce, ciascuna delle quali è costituita da un foro circolare e da dei pomelli sporgenti che gli donano una forma piuttosto singolare. Questo importante pezzo di storia, dalla lavorazione elaborata, ancora oggi suscita tra i vari studiosi numerosi interrogativi riguardo alla sua specifica funzione. C’è chi dice che fosse un dado da gioco, chi invece un utensile di uso quotidiano, altri ancora uno strumento di misurazione del tempo (e non solo) oppure un amuleto utilizzato per qualche rito o pratica religiosa… queste sono solo alcune delle tante teorie e ipotesi che ruotano attorno all’uso di questo antico manufatto.

Dal XVIII° secolo ad oggi ne sono stati rinvenuti circa 130 esemplari di cui l’ultimo è stato scoperto nel 2023 durante uno scavo archeologico nel villaggio di Norton Disney nella contea del Lincolnshire in Inghilterra grazie ad un’organizzazione archeologica amatoriale locale denominata Norton Disney History and Archaeology Group che si occupa di raccontare la storia dell’Età del Ferro, del patrimonio romano e medievale del Lincolnshire. Il reperto, preservato in splendide condizioni e presumibilmente lasciato lì circa 1.700 anni fa, è alto circa 8 centimetri e pesa all’incirca 245 grammi. Tale scoperta è stata resa nota al pubblico solo all’inizio del 2024 grazie ad un programma televisivo della BBC intitolato “Digging for Britain”. Attualmente è esposto al National Civil War Center presso il Newark Museum of Art in Inghilterra.

Dopo questo breve “viaggio inglese” torniamo di nuovo “dalle nostre parti” e più precisamente in Casentino dove abbiamo incontrato Marcello Atzeni (in arte Linos) che sul dodecaedro sa tutto, ma proprio tutto. In base agli studi da lui condotti è arrivato alla conclusione che i dodecaedri non siano reperti di origine romana bensì degli oggetti etruschi romanizzati, ponendo inoltre l’attenzione sul loro grande valore spirituale. Secondo Marcello questo oggetto, ritrovato non solo in Europa ma anche in Italia nelle città etrusche, è stato ripreso successivamente da vari artisti come lo stesso Leonardo Da Vinci. Secondo Marcello senza gli Etruschi l’Impero Romano non sarebbe mai esistito (ciò per quanto riguarda l’architettura, l’ingegneria, la vita sociale e familiare; da notare che per gli Etruschi la donna era considerata al pari dell’uomo).

Non a caso, gli Etruschi erano molto abili nella lavorazione dei metalli. Marcello è inoltre convinto della discendenza etrusca dello stesso Da Vinci, di Galileo Galilei e di altri importanti personaggi che hanno contribuito alla creazione e allo sviluppo della nostra tecnologia e del benessere in tutti i campi della conoscenza. Sicuramente, come lui stesso ci fa presente, di dodecaedri di fattura romana ce ne saranno stati sicuramente altri, ma che hanno pur sempre preso spunto dalla maestria del popolo etrusco. Ma scopriamone di più direttamente dalle parole del nostro intervistato.

Marcello, prima di parlare delle sue scoperte ci racconti qualcosa di Lei, della sua vita e dei suoi interessi. «Ho sempre dipinto e realizzato anche qualche scultura fino a qualche anno fa. Negli ultimi anni, ora che sono in pensione, mi occupo di disegno e sono interessato al mondo dell’antichità come i Nuraghe e gli Etruschi; sono un autodidatta. Durante il mio lungo “vagabondare” ho avuto l’opportunità di instaurare relazioni sociali (anche di estrazione contadina) dalle quali ho potuto apprendere molto. Ho scoperto che i contadini facevano cose che anche i loro antenati etruschi erano soliti fare: avevano infatti l’abitudine di posizionare degli oggetti sul davanzale della finestra o accanto alla porta di casa ad indicare il loro tipo di professione. Ho conosciuto personaggi come Giovanni Lilliu, esperto di Nuraghe e di Etruschi, che ha collaborato con l’archeologo Massimo Pallottino per la stesura di un libro sugli scavi etruschi. Mi piace il mistero e amo Leonardo Da Vinci. Adoro leggere, documentarmi e risolvere tutto ciò che è misterios».

Che cosa ha scoperto sulle origini storiche e sulle funzioni del dodecaedro? «Questo come altri dodecaedri (vedi foto 1), che sono stati ritrovati in vari scavi romani, in passato venivano posizionati in prossimità delle case. I fori e le facce pentagonali di questi curiosi e affascinanti oggetti rappresentano i volti stilizzati di canidi come i molossi, cioè dei mastini. Questo oggetto, grande quanto il palmo d’una mano, veniva posizionato in prossimità delle case per indicare la presenza o la morte del proprio animale domestico e del padrone. È dunque un oggetto principalmente spirituale, una sorta di portale verso l’oltretomba per aiutare il cane a ricongiungersi con il padrone. A tal proposito, nella cultura etrusca il cane rappresentava il difensore della casa e del padrone e nel trapasso verso l’oltretomba diventava il guardiano degli inferi e il protettore del defunto; il cane che gli era sempre stato fedele in vita lo sarebbe stato anche nella morte. Da non sottovalutare altre possibili ipotesi: le dodici facce pentagonali del dodecaedro possono rappresentare inoltre le dodici città etrusche. Gli Etruschi erano anche molto attenti alla natura; per la realizzazione del dodecaedro (vedi foto 1) avrebbero infatti preso spunto dal fungo lanterna, detto anche fungo delle mosche (fungo allucinogeno maleodorante che emana un odore cadaverico), di cui ne ricorda un po’ la forma. Possiamo dire che gli Etruschi fossero un popolo misterioso ma che però lasciavano intendere molto delle varie utilità di questo particolare tipo di oggetto».

E quest’altro dodecaedro? «Questo dodecaedro (vedi foto 2) raffigura un modellino realizzato dai Romani, ma il filo conduttore è etrusco, almeno all’inizio, anche se c’entrano i Greci attraverso la filosofia platonica. Possiede dunque un forte significato: i suoi fori piccoli, medi e grandi rappresentano le galassie mentre l’entrata a forma di serratura è la porta che permette di avere una visione geometrica dell’universo. La galassia più grande che è estesa orizzontalmente sotto la porta/serratura rappresenta la Via Lattea».

E chissà quanti altri misteri si nascondono dietro questo antico dodecaedro. E chissà che da nuovi misteri non nascano nuove risposte e nuove rivelazioni!

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