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martedì, 6 Maggio 2025
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Le offerte di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego

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Le nuove offerte settimanali di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego. Anche questa settimana gli incentivi e le opportunità regionali per i datori di lavoro e le persone fisiche, oltre le chiamate dirette al lavoro. I tirocini curriculari retribuiti 2023/24. Gli Avvisi Pubblici per la concessione di contributi a imprese e/o datori di lavoro finalizzati a garantire incentivi all’assunzione degli iscritti alla legge 68/1999 con disabilità di natura psichica. Il bando per servizi innovativi delle imprese di GiovaniSì. E l’avviso pubblico per il finanziamento di piani di Welfare Aziendale per la conciliazione di vita-lavoro 2023-2025.

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Gli orari dei Centri per l’Impiego della Toscana sono i seguenti:

lunedì 9:00 – 13:00

martedì 9:00 – 13:00 pomeriggio 15:00 – 17:00

mercoledì 9:00 – 13:00

giovedì: (dalle 9 alle 13 su appuntamento) e 15:00 – 17:00

venerdì 9:00 – 13:00

Nasce il comitato popolare “Ripuliamo la Sacci”

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“Ripuliamo la Sacci”: nasce un comitato popolare per chiedere la bonifica e il recupero dell’area dell’ex cementificio posto tra i territori di Chiusi della Verna e Bibbiena. L’iniziativa è nata da un gruppo di cittadini di Corsalone che hanno unito le forze in un movimento per sensibilizzare e mantenere alta l’attenzione sull’urgenza di trovare una soluzione definitiva per restituire alla comunità un’area abbandonata e degradata, trasformandola in uno spazio sicuro, pulito e fruibile per tutti. La Sacci, sviluppata su circa otto ettari, è un ecomostro che configura un pessimo biglietto da visita per la vallata del Casentino e che genera preoccupazione per i rischi per la salute pubblica e per l’ambiente collegati ai residui di materiali pericolosi e cancerogeni, dunque l’obiettivo è di fare pressione sui soggetti pubblici e privati per porre rimedio a questa situazione.

Il comitato “Ripuliamo la Sacci” sarà costituito con la volontà di aggregare cittadini di tutta la vallata e con l’ambizione futura di rappresentarne il pensiero e la voce nei tavoli istituzionali. Il punto di partenza di questo percorso sarà proprio rappresentato dalla richiesta di un’urgente azione di bonifica del sito e di smaltimento di ogni elemento contenente amianto, poi dovrà essere valutata una nuova destinazione d’utilizzo dell’area in linea con la posizione strategica nel cuore del Casentino e con la realizzazione della nuova variante stradale. Tra le possibili proposte rientra, ad esempio, la realizzazione di un’area verde coerente con l’identità della vallata o di spazi polifunzionali dedicati ad attività aggregative, sociali, culturali o artistiche capaci anche di coinvolgere le nuove generazioni e valorizzare le risorse locali. L’auspicio è non solo di rimarginare l’attuale ferita ambientale e urbanistica, ma anche di trasformarla in un’opportunità di ulteriore sviluppo sostenibile e partecipato del territorio che metta al centro il benessere della comunità casentinese.

Presi per la gola, un progetto per l’inclusione che passa dalla cucina collaborativa

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Metti una giornata tutti insieme – alunni, docenti, volontari – nella cucina della Bocciofila di Bibbiena per cucinare in allegria i piatti della tradizione casentinese; metti un gruppo di insegnanti di sostegno che vogliono “fare” l’inclusione; metti un’amministratrice che insieme ad alcune associazioni di volontariato offre il proprio sostegno.

Questo è Presi per la gola, un progetto di inclusione nato dalla volontà di un gruppo di insegnanti di sostegno dell’Isis Fermi di Bibbiena, rappresentate da una storica docente esperta Elisa Bartolini. Il percorso, iniziato grazie alla collaborazione di Comune di Bibbiena, Associazione Bocciofila, Pro Loco Partina – è iniziato lo scorso 19 febbraio e si è svolto ogni mercoledì dalle 14,30 alle 17,00, con la partecipazione di insegnanti e ragazzi e ragazze con disabilità e tantissimi loro compagni di scuola.

L’insegnante Elisa Bartolini commenta: “Come insegnanti di sostegno volevamo proporre un’attività che fosse davvero inclusiva e abbiamo pensato che, metterci tutti insieme attorno ai fornelli, fosse un modo molto creativo di farlo. E così è stato, ma onestamente non pensavamo che questi laboratori con le mani in pasta, coinvolgessero così tanti studenti e studentesse. Insieme ai nostri alunni con disabilità, si sono uniti tanti alunni delle varie classi e indirizzi dal professionale, al socio sanitario, a elettronica, meccanica e informatica provenienti da tutto il Casentino. La cosa straordinaria è che, la maggioranza, è stata sempre maschile. Vedere ogni mercoledì pomeriggio questa grande affluenza – 32 iscritti – ci ha fatto capire una cosa: i giovani hanno bisogno di momenti diversi per stare insieme e questo significa anche creare ponti e unire persone. Ringrazio il Comune di Bibbiena e la Bocciofila per averci dato la possibilità di utilizzare gratuitamente i locali, la Pro Loco di Partina per averci ogni volta acquistato le materie prime e tutti coloro che hanno voluto partecipare”.

Tagliatelle, gnocchi, dolci della tradizione casentinese, pizza e panini fritti, ciambelle e berlingozzi per la Pasqua. In ogni incontro le insegnanti di sostegno Cecilia Bertelli, Raffaella Vezzosi, Martina Ricci coordinate da Elisa Bartolini hanno condotto i ragazzi alla scoperta di una ricetta diversa, che poi è stata preparata e soprattutto mangiata sul posto insieme ai volontari della Bocciofila. A conclusione di questa bella esperienza sarà realizzato un ricettario – perché alle ricette ogni volta è stato aggiunto un tocco di originalità, di differenza – e un pranzo sociale collettivo preparato da tutti loro. Il ricettario sarà corredato da fotografie realizzate da Gianluca Donati, anch’esso insegnate, con la passione per la fotografia.

L’Assessora alle Associazioni Francesca Nassini commenta: “Poter partecipare a questo momento di inclusione vera, reso possibile grazie alla collaborazione di tante persone, rappresenta per me come persona e come amministratore, un qualcosa di prezioso. Siamo onorati di aver potuto partecipare attivamente e di averlo reso possibile perché sono persuasa che, solo così, possiamo davvero andare oltre le parole e far essere la realtà che volgiamo. L’altra riflessione che voglio fare è legata alla necessità dei nostri giovani di luoghi e occasioni per ritrovarsi davvero. A questo proposito faremo come amministrazione un questionario dedicato alle superiori per avere dai giovani delle indicazioni che noi come comune cercheremo di sostenere. Ringrazio la scuola e il gruppo delle insegnanti di sostegno”.

La Bocciofila, un luogo di aggregazione soprattutto dedicato alla terza età, è diventato così anche un luogo di collegamento intergenerazionale di valore dove le differenze si sono unite per creare la ricetta più bella: la comunità.

 

 

C’era una volta il Parco su Airone

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di Fiorenzo Rossetti – Durante i traslochi di casa si sposta mobilio e si rimescolano oggetti personali che ci accompagnano e che in qualche modo raccontano la nostra vita. È quello che è capitato ultimamente anche a me. Durante il trasloco sono riemerse, come in uno scavo archeologico, diverse, datate, pubblicazioni e riviste.

Un paio di queste, dalle pagine consumate dal passaggio delle dita, mi hanno fatto letteralmente sobbalzare, facendomi riassaporare gli albori della mia passione per le Foreste Casentinesi. Le riviste in questione sono di “Airone”, una pubblicazione che negli anni si è distinta, nel panorama dell’editoria italiana, per aver saputo sapientemente raccontare la natura e i territori del bel paese. Vittima del crescente disinteresse verso i temi ambientali e della cultura naturalistica (e cultura in generale!) e dell’avvento degli smartphone, la rivista ha cessato recentemente di essere editata.

Il primo numero recuperato risale al settembre 1992. Il Parco nazionale non esisteva ancora (la legge quadro delle aree protette è del 1991 e istituirà il Parco nel 1993). Al suo posto operava, sul versante Adriatico, il Parco regionale del Crinale romagnolo. L’articolo titolava “Un mare di verde a un’ora dal mare”. Un gioco di parole per sottolineare lo stupore del visitatore nel vedere un lembo di Romagna dai tratti sconosciuti, affascinante, wild, completamente all’opposto di come in maniera stereotipata questo territorio viene associato alle spiagge ripiene di ombrelloni.

Un luogo descritto come “Amazzonia di Romagna”, con un paesaggio che è il risultato di un cammino evolutivo fianco a fianco con l’uomo. L’allora presidente Valbonesi (poi primo presidente del Parco nazionale) raccontava la storia del Parco, come un Parco di storia, dedicato all’uomo e fatto per l’uomo. Non solo tutela naturalistica, ma anche legame e responsabilità verso i microcosmi delle culture montanare locali, a sottolineare l’importanza della protezione naturalistica dei luoghi al pari delle persone che vi abitano, precedendo le grandi novità introdotte nella norma sulle aree protette del ’91 (le norme precedenti tutelavano solo la componente biotica e geologica).

Altro numero è invece dell’aprile 1998 e il Parco delle Foreste Casentinesi stava muovendo i suoi primi passi. Dopo solo quattro anni effettivi di gestione veniva definito (a differenza di altri generati dalla stessa norma) come un Parco “partito col piede giusto”. Il successo di tutto ciò veniva associato alle capacità dei suoi dirigenti, che avevano avuto l’intelligenza di superare le rivalità e i campanilismi tra Regioni, Province e Comuni, facendo tesoro della buona esperienza del Parco regionale preesistente, della Comunità Montana del Casentino, dei territori Demaniali e del Corpo Forestale dello Stato.

E ancora si legge del senso di orgoglio ed entusiasmo nell’aver salvato una importante fetta di territorio ammantato di natura e di averlo consegnato alle generazioni future. L’entrata in funzione del Parco veniva descritta come un ambiente di frontiera, dove i coraggiosi politici e altrettanti funzionari, erano in prima linea con i conti da fare con agguerrite aziende agricole e un fronte compatto di cacciatori.

Il merito del successo della sfida dei primi anni di gestione veniva affidato ad una parola: coinvolgimento. È solo grazie al coinvolgimento nelle scelte, di sindaci, associazioni e cittadini, il dialogo costante e la partecipazione nelle decisioni, che si sono potuti avviare importanti programmi di protezione, divulgazione e sviluppo.

A distanza di ben 27 anni, l’attuale Parco appare su un palcoscenico tra luci e ombre. Forse in qualcuno brilla ancora l’entusiasmo che pervadeva i “padri fondatori” dell’area protetta, ma la partecipazione e il coinvolgimento nelle scelte gestionali dell’Ente appaiono concetti ben lontani da quei momenti. Sfoglio le pagine e vi riconosco in foto persone (amministratori, funzionari, ricercatori, volontari e abitanti), qui giovanissime, che hanno contribuito in vario modo a far nascere, crescere, studiare, conservare e conoscere il Parco. A loro va il pensiero e la mia gratitudine. Che le nuove generazioni di amministratori, cittadini, professionisti e volontari, prendano spunto ed esempio.

I traslochi, malgrado la fatica che comportano, in fondo fanno bene. Rispolverare, attraverso oggetti, la nostra storia ci dà la possibilità di riappropriarci della memoria tanto cara e importante per farci ben muovere nel futuro.

Vorrei vedere rinascere la rivista “Airone” e leggere (e vedere foto) un bel articolo che racconta di uno straordinario luogo naturale tra Toscana e Romagna, in equilibrio tra uomo e natura, gestito in maniera partecipata da persone intelligenti e motivate (che magari hanno fatto un trasloco), che contribuiscono, in vario modo, alla continuazione dell’opera di tutela naturalistica e della cultura della montagna.

(La foto di “Airone” è del nostro collaboratore Andrea Barghi Goaskim)

Aggiungi un posto a tavola… con Maurizio Rossi

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di Francesco Benucci – “Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu, gli amici a questo servono, a stare in compagnia, sorridi al nuovo ospite, non farlo andare via, dividi il companatico, raddoppia l’allegria…”: nella parole del celebre ritornello il ritrovarsi intorno alla medesima tavola diventa, in controtendenza rispetto agli sfuggenti tempi odierni, un’occasione per conoscersi, per stare in compagnia, per prendersi del tempo, per curare i rapporti interpersonali con pazienza, attenzione e vicinanza. Suggerisce, ben oltre il solo ambito culinario, lo spunto per realizzare una precisa dimensione di vita, votata alla relazione e alla condivisione. Rappresenta, infine, un nuovo capitolo, inaspettato ed entusiasmante, nel percorso, professionale e umano, di Maurizio Rossi.

Ma procediamo con ordine e dal principio. Maurizio, classe 1982, trascorre infanzia e giovinezza a Stia, dove sviluppa una primigenia passione per la cucina e per tutto ciò che essa comporta, osservando le mani sapienti di nonna e mamma che preparano la sfoglia; e se il nostro, sin da piccolo, ha, in tutti i sensi, le mani in pasta, tuttavia, questa sua abilità resta sullo sfondo in un successivo iter, formativo e lavorativo, che lo conduce verso una meta diversa, quella di parrucchiere. In un grande salone di Bologna, ricopre innumerevoli mansioni, compresa quella di formatore, e si toglie tante soddisfazioni: diventa un punto di riferimento nella gestione del salone stesso, acquisisce autonomia, si guadagna stima e fiducia da parte dei clienti. Eppure, dopo 13 anni, prova un certo malessere, un po’ per l’accumulo di incarichi, un po’ per la sensazione di aver sperimentato quasi tutto, con il conseguente rischio di trovarsi intrappolato in una routine soffocante.

Così, Maurizio, lascia: 6 mesi di preavviso e, il 12 luglio 2023, addio lavoro con contratto a tempo indeterminato, benvenuto ad un futuro tutto da scrivere, senza nulla in mano, ma affidandosi alla sua, innata, capacità di rimboccarsi le maniche. Scelta coraggiosa e parimenti necessaria, corroborata da 6 mesi sabbatici, “di disintossicazione”, in cui in realtà il suo attivismo non viene meno: lo contattano dalla scuola per parrucchieri, gestita da CNA e Regione, per insegnare in ambiti quali gestione del cliente, comunicazione e tecniche di rivendita. La nuova esperienza, derivante dal credito guadagnato col precedente lavoro, inizia con 40 ore spalmate su 2 mesi e continua ancora oggi, con ottimi risultati, come testimonia l’allargamento della platea di studenti avendo avuto quest’anno anche una classe di estetiste.

Tuttavia, manca ancora quell’illuminazione che possa dare il via alla scrittura di un nuovo capitolo di vita. E poi, quasi all’improvviso, arriva: una discussione col compagno Marco su “Cesarine”, la più antica e diffusa rete di cuochi e cuoche di casa in Italia, fondata a Bologna nel 2004, diventa lo spunto per un’iscrizione, da parte dello stesso Marco e all’insaputa di Maurizio, alla menzionata piattaforma. E quando al nostro arriva la proposta di candidarsi, con la prospettiva di trasformare una passione innata in qualcosa di più, non se lo fa ripetere due volte e inizia un’escalation vertiginosa e inimmaginabile: effettua la selezione per diventare Cesarino inviando foto della casa e dei piatti, superata la prima scrematura frequenta un corso online di 30 ore con esame finale, tramite l’ASL, sulla gestione dei beni alimentari, invia l’attestato a Cesarine, gli aprono il profilo sul portale del sodalizio, profilo che poi lui provvede ad arricchire con presentazione e creazione di esperienze, le stesse Cesarine si recano in casa sua per sperimentarne la cucina e restano entusiaste.

Questi step sono solo il prologo per l’inizio di un’avventura che gli ha felicemente stravolto la vita e i cui tasselli sono le numerose persone che, grazie al fondamentale tramite della community (presente altresì nel ventaglio di offerte di alcuni hotel), si recano a casa sua per condividere esperienze inerenti alla cucina e allo stare insieme. E le opzioni tra cui scegliere, offerte dal Cesarino casentinese, non mancano, sempre comprensive di alcuni passaggi come preparare insieme i piatti, apparecchiare insieme, mangiare insieme: si va dalla cooking class (una ricetta di antipasto, pasta e dolce oppure due tipi di pasta e il tiramisù o ancora tre tipi di pasta), al tour del mercato (per comprare insieme gli ingredienti che saranno utilizzati in seguito) con successiva cooking class; dalla cooking demo, per cui gli ospiti non cucinano in toto, fanno solo un passaggio tipo tagliare le tagliatelle, in una sorta di assaggio di cooking class, fino al format “seratine”, un’esperienza di aperitivo, a basso costo, indirizzata soprattutto agli italiani, con calice di vino e un piatto molto semplice, una tipologia conviviale, che mette intorno alla tavola dei “perfetti sconosciuti”, che ha avuto grande successo e che è risultata particolarmente adatta proprio per Maurizio, tanto che, in virtù della sua predisposizione a lavorare col pubblico e a creare il giusto clima, la piattaforma ha dirottato su di lui molti clienti.

A proposito di clienti, quanti ne sono passati dalla sua porta di casa! In primis (circa l’80%) stranieri: americani, australiani, ma non solo, il nostro ha avuto ospiti da ogni angolo del globo, tutti con il desiderio di fare esperienza di cucina casalinga italiana. E i connazionali? Non sono mancati, soprattutto nelle serate dedicate all’aperitivo, più concentrati sulla ricetta, sull’aspetto prettamente culinario. Nel novero dei commensali figurano persino nomi noti: il sindaco di Bologna Lepore, il noto critico gastronomico Luca Cesari, la cuoca, scrittrice e conduttrice Benedetta Rossi. D’altronde, come resistere (e per chi, giustamente, non resiste, vi raccomando di seguire il_cesarino_maurizio sulla sua pagina instagram) alla possibilità di cucinare, sotto la sua guida, e poi mangiare prelibatezze che vanno da un ricettario emiliano-bolognese, più su misura per la clientela straniera, ad una cucina tosco-romagnola e altresì romana, più indirizzata agli italiani: ravioli, tortelloni, tortellini, tagliatelle, lasagne e chi più ne ha più ne metta.

Al contempo, pur ormai felsineo di adozione, può il nostro dimenticare le radici valligiane? No di certo! Ecco allora i tortelli alla lastra che hanno fatto furore in occasione delle “seratine”, l’acquacotta alla casentinese con funghi porcini, i tortelli classici sempre alla casentinese. Acquolina in bocca a parte, però, come avrete capito, l’esperienza intorno alla tavola di Maurizio va ben oltre l’aspetto solo gustativo o unicamente quantitativo, con i numeri esaltanti che premiano un salto nel buio diventato, da subito, luminoso: è un tour conoscitivo pazzesco, è un coacervo di legami e amicizie impensabili, è girare il mondo a chilometro zero, è un messaggio dall’altro capo del pianeta con la foto di un tuo piatto replicato a latitudini esotiche, è una rinascita, è una novità giornaliera che ti lascia qualcosa, è un luogo, dell’anima e del cuore, dove aggiungere un posto a tavola diventa un ideale e bellissimo manifesto di vita.

Caterina Blasi, la pastora che vuole salvare i lupi

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Un pastore che vuole salvare i lupi può sembrare il più grande dei paradossi. In realtà non tutto è come sembra e, nel mondo della pastorizia del futuro, questo è un aspetto che non crea nessun cortocircuito logico o emotivo.

A dimostrarlo è l’aretina Caterina Blasi, 30 anni il prossimo 14 giugno, che si è iscritta alla Scuola per pastori proprio per salvare il lupo e cercare vie possibili di convivenza tra predatori e pastorizia sostenibile.

Caterina è laureata in scienze faunistiche e la sua grande passione per il re dei predatori, il lupo, è nata quando era una bambina a Palazzo del Pero.

Da piccola mi dicevano che, se non avessi fatto la brava, mi avrebbero fatto mangiare dal lupo. Ma io fin da bambina sono sempre stata con gli animali soprattutto cani, e questa vicinanza mi ha fatto stare in pace con il selvaggio, scoprendo in questa parte del mondo, un’armonia che spesso non c’è nei consessi umani. Ho scelto scienze faunistiche per questo e mi sono laureata con grande soddisfazione”, racconta Caterina.

La sua grande passione per la fauna selvatica è andata avanti anche partecipando a tante esperienze sul campo, tra cui Pasturs. L’obiettivo del percorso è proprio quello di aiutare allevatori e pastori che si impegnano per una coesistenza pacifica con i selvatici. In quella circostanza Caterina ha fatto un percorso in un’azienda del Casentino – Casa Pallino a Pratovecchio – anche grazie alla quale ha deciso poi di iscriversi alla scuola per pastori del progetto LIFE ShepforBio.

Con questa esperienza attuale, alla fine della quale non escludo di impegnarmi in prima persona nella pastorizia, vorrei rafforzare le mie conoscenze a favore di questa convivenza possibile e, in questo modo, salvare il mondo del lupo, verso il quale nutro profonda ammirazione e rispetto, e parimenti quello dei piccoli allevamenti rispettosi degli animali e degli equilibri naturali”, commenta l’aspirante pastora.

Caterina è vegetariana, ha fatto questa scelta etica e di vita dodici anni fa e anche questo l’ha condotta verso la scuola per pastori, ovvero cercare di sostenere i piccoli allevamenti di montagna che ancora sono legati a una visione di profondo rispetto verso gli animali e la natura, nella consapevolezza che tutto è collegato in modo profondo.

Le professioni del futuro, tra cui credo ci saranno inevitabilmente anche quelle legate alla natura come la pastorizia e l’agricoltura, hanno bisogno di persone preparate che conoscano profondamente le diverse dinamiche oltre che le procedure. Il ritorno alle origini secondo me ha bisogno di tanta scienza oltre che di una nuova e rinnovata coscienza capace di guardare a certi ambiti non come mondi contrapposti, ma come a mondi che è possibile riconciliare in maniera perfetta”, commenta la faunista.

Caterina racconta del suo primo incontro con il lupo: “E’ stata una grande emozione, come persona e come esperta di fauna selvatica. Immergermi in quegli occhi ambrati ha significato per me fare una promessa, ovvero impegnarmi per cercare strade possibili di convivenza con l’uomo e le sue attività. Il lupo ha consentito a noi umani di essere quello che siamo oggi, quindi ritengo che dobbiamo tanto a questo animale straordinario. La pastorizia fatta in modo consapevole, anche sul fronte della tutela dei pascoli e dell’ambiente, credo possa essere la chiave di volta per trovare questo equilibrio”.

Caterina Blasi collabora con la Regione Toscana per il monitoraggio sul lupo e da poco anche con DifesaAttiva a supporto dei pastori.

La faunista aspirante pastora, è nel gruppo di 8 selezionati per la scuola per pastori 2025 e tra le 6 donne – di otto partecipanti – a prendere parte a questo percorso.

La scuola per pastori e allevatori rientra tra le attività di ShepForBio, un progetto cofinanziato dal programma LIFE dell’Unione Europea che ha l’obiettivo di conservare alcuni habitat di prateria attraverso la promozione e la rivalutazione delle professioni tradizionali di questi territori. 

Le lezioni sono tenute da docenti, ricercatori ed esperti di DAGRI – Università di Firenze, Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università La Sapienza di Roma, Dream Italia, Regione Toscana e Parco nazionale dele Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna con la collaborazione di Rete Appia e DifesAttiva e il coinvolgimento diretto di pastori e allevatori. Dream Italia è il soggetto scientifico coordinatore del progetto.

Un referendum per la sanità di tutti

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di Gemma Bui – È stato recentemente promosso un referendum consultivo sull’organizzazione ad aree vaste della sanità toscana. L’iniziativa segue la scia di un precedente tentativo, risalente al 2015, quando in Toscana furono raccolte quasi 60.000 firme, ma poi il referendum non si tenne perché il Consiglio Regionale approvò in tempi brevissimi variazioni alle norme.

Un’approfondita relazione illustrativa sul referendum, stilata dal Comitato Referendario, evidenzia le lacune della riforma, emerse nell’arco degli ultimi 10 anni: tra le altre, l’assenza di relazione tra macro-organizzazione, ottimizzazione delle spese e miglioramento dei servizi, la riduzione del finanziamento al SSR tramite i tagli al personale, la riduzione dei posti letto, i costi sociali sempre più gravosi per gli utenti, il fenomeno delle liste bloccate, l’obsolescenza dei macchinari. Su tutti questi aspetti ha indagato anche la Corte dei Conti, invitando la Regione Toscana a intervenire sulle mancanze. A tal proposito abbiamo intervistato il dott. Giuseppe Ricci, uno dei tre promotori del referendum e Portavoce del Comitato Referendario, nonché ex Direttore della ASL di Arezzo.

La storia di questo referendum è piuttosto lunga e travagliata… «Dieci anni fa ci fu una sommossa di popolo contro la Legge che accorpava le ASL da 12 a 3 per ragioni prettamente economiche, che fondamentalmente fu imposta e approvata nell’arco di pochissime settimane. All’epoca preparammo il referendum abrogativo, dicendo che non si potevano fare riforme in così poco tempo, ma che occorreva condividerle, renderle partecipate. Raccogliemmo 55.000 firme. Poi, come spesso succede in questa stra-democrazia che abbiamo nel nostro Paese, con la Legge n.84/2015 hanno di fatto impedito che si potesse fare il referendum, sancendo sulla carta la morte della democrazia partecipata, almeno in Toscana. Da allora nessuno ha più provato a fare referendum abrogativi, sapendo che la politica toscana riesce a fare cose di questo genere. Ma perché un referendum abrogativo? Perché a differenza del consultivo, una volta approvato il quesito da parte del Collegio di Garanzia, ci sarà solo l’obbligo di raccolta di 30.000 firme, senza più nessun altro impedimento.

Il Consiglio Regionale a quel punto dovrà per forza far espletare il referendum. Non servirà quorum e i cittadini toscani avranno la possibilità di dire espressamente cosa ne pensano, e saranno ben felici di dire il loro sì affinché la Legge di accorpamento delle ASL venga superata; in caso contrario, prenderemo atto del fallimento, ma siamo convintissimi che il referendum avrà comunque un’alta percentuale di adesioni. Fatto il referendum, toccherà alla Regione: sarà chiamata a decidere cosa dire ai cittadini che avranno votato. Ci sono tre possibilità: la Regione potrà dire “non ci interessa, anche se la gente ha votato meglio di così non si può fare, quindi le ASL sono e rimarranno 3”; oppure, “prendiamo atto di aver fatto una riforma che non piace a nessuno, togliamo le vecchie ASL provinciali”, e infine, l’opzione preferibile, “rivedremo gli ambiti territoriali». L’importante è capire che il modello delle tre “aslone” in questi anni ha soltanto creato disservizi e malessere».

Quali sarebbero i “pro” di una nuova riforma, alla luce dei “contro” emersi con quella attuale? «Che il sistema stia – tra l’altro – costando moltissimo, lo si constata dal fatto che il Presidente Giani è stato costretto a rimettere mano nelle tasche dei toscani. Se questa riforma delle tre ASL avesse consentito chissà quali risparmi, non ci sarebbe stato bisogno di tirare fuori 3-400 milioni di euro in più da parte dei cittadini. Evidentemente il fenomeno è sfuggito di mano, questo modello sta costando per il mantenimento della tremenda burocrazia presente, ma anche per tutta la sovrastruttura di analisi e controllo, completamente fuori misura. La burocrazia costa, noi lo dicemmo anche in tempi non sospetti.

Non c’è più partecipazione, condivisione, il far parte di un sistema: giungeremo a un totale senso dell’abbandono. E quando subentra l’abbandono, si creano le condizioni per stimolare costi aggiuntivi, per far sì che la gente produca, produca, produca. Cosa produce poi non si sa. È vero che abbiamo le statistiche, secondo le quali siamo la sanità migliore in Italia; ma dietro le statistiche c’è sempre la persona. Tu a fini numerici puoi aver avuto prestazioni positive, ma se mandi un cittadino dal Casentino fin nel Grossetano per una prestazione, non ti potrai rendere conto dei costi indiretti della cosa. Idem se per continuare a far funzionare questo sistema sei costretto a fare riunioni di personale, che così viene costantemente sviato dalle mansioni ordinarie. Questo vale anche per i ricoveri, non solo per le prestazioni diagnostiche e specialistiche; il problema l’abbiamo dimostrato con i fatti, l’ha certificato la stessa Corte dei Conti. Abbiamo creato una struttura talmente complicata e complessa che anche la stesura dei conti economici di esercizio viene sempre fatta con estremo ritardo. C’è ancora bisogno di trattenere la quota di riserva in abito regionale e attendere l’esito di fine anno delle singole ASL per poter andare a ripianare la situazione riscontrata. Si creano condizioni per cui si debba quindi ricorrere in Tesoreria o contrarre mutui, che costano e costeranno sempre nel conto di esercizio.

Questo è il dramma constatato negli ultimi dieci anni. Nessuno è venuto a raccontare ciò che ha detto la Corte dei Conti, suppongo che di fatto pochi ne fossero a conoscenza. La Corte è stata tranchant: non si possono togliere 35 milioni di euro dalla disponibilità della rete sanitaria, non si possono mettere mutui a carico delle ASL, bensì si deve ricorrere ad un’altra partita di giro, ad un’altra imputazione di bilancio. Alla Corte non interessa come vengano coperti i margini, ma certamente non lo si deve fare con il fondo sanitario indistinto. Il problema è questa elefantiaca condizione di una certa politica del “dire per non dire”: io sono per il pubblico, ma intanto privatizzo. Sotto questo aspetto è molto più apprezzabile la Lombardia, che ammette espressamente di mandare avanti il privato, e i cittadini scelgono. Qui invece ci raccontano bugie, costringendoci di fatto, in ultima istanza, ad andare per via privata. Circa il 30% dei toscani (200.000 – n.d.r) non riesce a effettuare la prestazione, non avendo le risorse: sfido chiunque dal Casentino ad andare in Valdichiana, specie se magari è un anziano senza familiari vicino; è chiaro che alla fine rinuncerà, pagando a quel punto direttamente una struttura privata. Adesso poi è tutto così complicato: è stata inserita la novità dell’”indice di cattura”.

La Corte dei Conti ci dice: “mi stai dando solo alcuni dati, il TAT (tempo di attesa derivante dall’algoritmo – n.d.r.) non mi serve, io voglio sapere quanti cittadini toscani richiedono una prenotazione per una prestazione”. Il Direttore Generale della Sanità ha dichiarato davanti alla Corte che “non si riesce a intercettarle tutte”. Quando entri nel meccanismo degli algoritmi, poi è difficile modificarli. Ma il sistema è furbo: blocca l’agenda – pratica peraltro illegittima – invece di far comunque registrare una richiesta di prenotazione, così da non rendere evidente che magari i tempi di attesa reali sono di 7,8,9 mesi. La soluzione più semplice sarebbe quella di far registrare le richieste di prestazione direttamente al medico di base. Invece l’utente viene mandato in giro, rimpallato al CUP, e di conseguenza abbandonato a sé stesso. Nell’algoritmo, ricordiamoci, siamo solo numeri. Per questo abbiamo deciso di tornare a riproporre la nostra battaglia, perché la direzione in cui stiamo andando è sempre più peggiorativa».

I cittadini come potranno avvicinarsi e, soprattutto, sottoscrivere il referendum? «La prima fase della raccolta firme è stata chiusa l’11 Marzo (su 1.500 necessarie, ne abbiamo presentate circa 3.000). Adesso restiamo nel mese di attesa, in cui il Collegio di Garanzia dovrà dirci se il quesito sia ammissibile o meno. Eventualmente, una volta ammesso, avremo sei mesi per lanciare la raccolta delle 30.000 firme, con l’ultimo sforzo della campagna referendaria vera e propria».

Se penso me la cavo, un libro di storie filosofiche

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Quattordici maestre dell’infanzia, un percorso sulla pratica del pensiero e una raccolta di storie filosofiche come strumento di insegnamento innovativo. Questo il progetto che, da due anni, l’Associazione Prospettiva Casentino, sta portando avanti con un’esperta, a fianco delle insegnanti della scuola dell’Infanzia di Soci (Comune di Bibbiena) e di quella di San Piero in Frassino (Comune di Ortignano Raggiolo).

Le quattordici insegnanti, seguite da Rossana Farini Teacher in Philosophy for Children – il programma educativo ideato, a metà degli anni settanta, dal filosofo americano Matthew Lipman e da suoi collaboratori, in primo luogo Ann M. Sharp – sono state seguite nella scrittura di queste favole filosofiche, dopo un anno di studio della pratica del pensiero.

In questo anno scolastico – dopo un’analisi attenta delle storie scritte da Lipman e dai suoi collaboratori – le maestre sono state affiancate nella scrittura di questi piccoli capolavori nati anche da lavori di gruppo.

E’ nata così la raccolta di storie dal titolo “Se penso me la cavo”, attraverso la quale le maestre potranno attivare in classe sessioni di pratica del pensiero seguendo le regole del protocollo Lipman, per arrivare con i bambini ad approfondire tematiche importanti della vita di comunità come la giustizia, il perdono, la differenza, l’uguaglianza, il vero e il falso, il tempo e tante altre.

A guidare le quattordici maestre insieme a Rossana Farini, è stata anche la maestra Claudia Ristori che, nella sua formazione, ha incontrato più volte la P4C, portandola anche come tema della sua tesi di approfondimento.

La Maestra Claudia Ristori commenta: “E’ stato un bel percorso che ci ha portate a toccare con mano la bellezza di un metodo di insegnamento basato sulla collaborazione e lo scambio con i bambini e le bambine. Si tratta di portarli e portarle insieme a noi, alla scoperta di concetti importanti per la vita democratica attraverso esperienza attiva, scambio e dialogo. Le storie, scritte partendo anche dalle nostre esperienze, sono il frutto di questo percorso che è stato per noi un modo bellissimo di condivisione e di visione, di avere maggiore consapevolezza dell’importanza del nostro ruolo in questa fase della vita dei bambini. Grazie a Prospettiva Casentino per questa opportunità”.
Il progetto della Philosophy for Children, ispirato alla Community of Inquiry deweyana, propone la pratica filosofica come indagine conoscitiva nei vari campi dell’esperienza umana.

Dalla fine degli anni ’90, anche la Division of Philosophy dell’UNESCO sostiene il programma. Costrutto alla base della Philosophy for Children è la comunità di ricerca: la ricerca filosofica si sviluppa nel confronto con gli altri, attraverso il dialogo critico-argomentativo che consente di costruire insieme percorsi di indagine sulle dimensioni filosofiche dell’esperienza. Gli obiettivi della pratica sono in particolare: sviluppare il pensiero complesso nelle sue dimensioni: critica, creativa, affettivo-valoriale, sviluppare il pensiero caring e l’educazione alle emozioni, analizzare criticamente i valori, saper formulare concetti in modo coerente, incentivare l’esercizio al pensiero autonomo, educare ad uno stile di pensiero aperto, disponibile all’incontro con l’altro attraverso il dialogo.

La raccolta di storie filosofiche – la cui realizzazione è stata sostenuta da Prospettiva Casentino e edita da Fruska Edizioni – verrà presentata ufficialmente sabato 24 maggio alle ore 17.00 presso la Scuola dell’Infanzia di Soci alla presenza delle autorità e delle famiglie.

Il Bibbiena ed il Pratovecchio si qualificano ai playoff, il Capolona e il Poppi sono salvi!

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di Mirko Goretti – In Prima Categoria, il Bibbiena (nella foto) chiude in bellezza travolgendo il Montalcino con un netto 6-0 che vale il quinto posto e l’accesso ai playoff per la Promozione. Mattatore del match Alex Ceramelli, autore di una splendida tripletta che lo consacra capocannoniere con 17 centri stagionali. A segno anche Antonio Falsini, Tommaso Bronchi e il giovane classe 2007 Filippo Giorgioni. La squadra di Simone Bazzarini affronterà adesso l’Atletico Piancastagnaio in trasferta nella semifinale playoff, in programma domenica 27 aprile.
Missione compiuta anche per il Capolona Quarata: basta una rete di Giovanni D’Aprile per superare l’Amiata 1-0 e conquistare la salvezza con 39 punti. Gli uomini di Dimitri Bronchi si garantiscono così un altro anno in categoria.

Scendendo in Seconda Categoria, il Pratovecchio centra l’obiettivo playoff grazie allo 0-0 casalingo contro la Fortis Arezzo, chiudendo al quarto posto con 53 punti. Il 27 aprile i rossoneri sfideranno la Fratta Santa Caterina nella semifinale: in palio la finale contro il Circolo Fratticciola, già qualificato in virtù del +15 sul Colonna Indicatore.
Sorrisi anche in casa Poppi, che batte di misura il Terontola (1-0, gol di Daniel Brunelli) e festeggia la permanenza in categoria grazie agli 11 punti di distacco sul Badia Agnano che innescano il meccanismo della forbice e permettono ai biancazzurri di evitare i playout. Un traguardo meritato per i ragazzi di Roberto Gnassi, subentrato a stagione in corso, capaci di risalire la classifica dopo un girone d’andata chiuso in zona retrocessione.
Successi anche per le casentinesi già matematicamente salve: il Rassina supera 1-0 il Pieve al Toppo con una rete di Mactar Samake, mentre il Montemignaio espugna il campo del Calcio Pestello grazie ai gol di Eric Faccenda e Niccolò Vignali, firmando il 2-1 finale. Lo Stia, già promosso, chiude sull’1-1 in trasferta a Bucine con gol di Edoardo Agostini.

In Terza Categoria torna al successo lo Strada, che rifila un secco 4-1 al Monsigliolo e si riprende il terzo posto in classifica salendo a quota 49 punti. Decisive le marcature di Samuele Ciabatti, Ovidio Ghergut, Alessandro Ceccherini e del giovane Francesco Colozzi, classe 2006, che tengono viva la corsa ai playoff a due giornate dal termine.

«La Nostra Storia Camminando» I cartelli che spiegano il Casentino #9: Giona

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di Giorgio Innocenti Ghiaccini – In realtà Giona (m. l. m. 660) era formata da due villaggi che distavano circa 700 metri l’uno dall’altro: Giona di Sopra e Giona di Sotto. Il villaggio basso, dove ancora vive qualche persona, si trova lungo la via Romea che proviene dalla Sassonia (Germania) quasi alla foce dell’Elba nel Mare del Nord, Del villaggio alto (non più abitato) oggi restano soltanto case abbandonate e semidistrutte.

La chiesa di S. Maria di Sopra, della quale restano solamente poche macerie coperte da spinaie, fu letteralmente smontata e rimontata a valle riutilizzando quasi tutto quello che fu possibile recuperare. Addirittura i montanti della nicchia dietro l’altare sono stati rimontati alla rovescia; evidentemente il muratore non conosceva il significato dei simboli. L’importanza di questa doveva essere notevole, perché da essa proviene la famosa “Madonna di Giona in trono”.

Oggi quella scultura lignea, del XIII o XIV secolo come la datano molti studiosi, si trova nella Pieve di Bibbiena. Il bambino della foto è una copia fedele rifatta dal maestro Ruggero Biggeri in attesa di recuperare quello originale rubato qualche decennio fa. La chiesa di S. Maria, negli elenchi delle decime del 1302-03, pagava una libbra e 5 soldi (Rationes decimarum Italiae … Tomo II). La chiesa antica fu visitata da Enrico Ormanno, vicario del vescovo di Arezzo Francesco Minerbetti, il giorno 12 luglio del 1534 e all’epoca era suffraganea della Pieve di Partina. Il Vicario vi trovò il rettore Biagio Scalandri di Bibbiena che gli disse che era a collazione del signor Vescovo.

Entrato nella chiesa, la vide che era compatta, con le pareti antiche in buone condizioni e così il tetto e il pavimento. L’altare era molto bello e aveva tutto il necessario ben ordinato. (Visite pastorali, Vol. II). Giona nel 1551 aveva 46 abitanti (Brigata Aretina, bollettino informazione n°. 77, II Sem. 2003). Alcune pietre recuperate dalla vecchia chiesa sono inglobate in una casa a Giona di Sotto a valle della via. Sono riconoscibili perché ci sono scalpellati dei simboli.

Uno di questi è il “Sole delle Alpi” (il simbolo della Lega) che si trovava spesso nelle scalpellature cristiane delle antiche chiese casentinesi. Alcuni di questi simboli sono visibili anche nei capitelli delle colone nel chiostro (ricordato da tante nella Divina Commedia) visitabile di Camaldoli.

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