di Libero Palazzi – Un incontro particolare porta a scrivere questo articolo, collegando culture e continenti, paesi e città. L’incontro con un’artista che vive a metà tra il Casentino e l’India… così la prima domanda sembra quasi obbligata… È casentinese? «Si, originaria di Avena, ora abito a Ponte a Poppi. Venti anni fa ho cambiato il mio nome anagrafico in Kali, però spesso le persone casentinesi mi conoscono come Roberta. Ultimamente ho ricevuto un nome spirituale dal mio Guru, una Maestra indiana che vive nel sud dell’India, nel Kerala, il mio nome spirituale è Madhurya, che vuol dire “dolce”. Lei, la mia Madre Spirituale, si chiama Amma. Recentemente, dopo una lunga riflessione, ho cambiato anche il mio cognome da Agostini in Prakash».
Ha viaggiato in Oriente? «Si. Sono un’insegnate di Yoga. Sono stata per la prima volta in India prima del primo lockdown un mese e mezzo. Da quel momento in poi ho deciso di vivere sei mesi qua e sei mesi là. Quando qua la stagione diventa buona, là diventa troppo caldo fino a che non inizia la stagione delle piogge. La pandemia ha interrotto questo mio sogno. Sto aspettando di poter ritornare in India».
L’India per lei è sempre stata una meta? «Si. Ma ho conosciuto venti anni fa la mia Guruji indiana in Italia, quindi è l’India che, per prima, è venuta da me. A quel tempo già conoscevo lo Yoga. Ci ho messo tantissimo ad andare in India fisicamente. Credo nella reincarnazione e di aver vissuto in India molte vite, perché, senza mai esserci stata in questa, la cultura indiana mi è familiare quanto quella italiana».
In India vive in una comunità? «Vivo ad Amritapuri che è praticamente un non luogo. Non è né India né Europa, è un luogo sospeso nel tempo e nello spazio, fra i mondi: fra l’Oriente e l’Occidente. Amritapuri è un centro spirituale dove tutto ti aiuta a cercare davvero il tuo vero Sé ed è la base di grandissime opere umanitarie di Ammaji. Amma mi ha iniziata qui in Italia nel 2000, quindi per me è stata veramente la concretizzazione di un grande sogno poterla raggiungere lì dopo venti lunghi anni. Lei da quarant’anni abbraccia le persone, sembra più di trenta milioni. In india usa dire “vado a prendere il Darshan da quel Guru o presso quel Tempio”; il Darshan (parola che significa contatto, visione) di Amma è l’abbraccio».
Lei è un’artista e disegna, quando ha iniziato? «Disegno fin da piccola ma le Creature Femminili Fantastiche sono iniziate quando avevo sedici anni. Stavo facendo disegno dal vero all’Istituto d’Arte, dove frequentavo la sezione di moda e costume. Noi ragazze iscritte lì eravamo tutte quante mezze anoressiche e bulimiche e il sistema aveva infuso in noi la colpa di non essere tutte come Claudia Schiffer. Praticamente un clima da incubo, erano gli anni novanta. Ti puoi immaginare: a disegno professionale bisognava disegnare sempre donne bellissime e perfette per non sbagliare. All’improvviso mi uscì fuori da dentro questa Creatura Femminile Fantastica che non solo non era bella ma non aveva nemmeno un aspetto rassicurante. Questo mi aiutò a sfuggire a tutta la falsità di quel clima anni novanta, mi aiutò a liberare la mia voce interiore profonda e ad esplorare il lato oscuro del femminile. Finita la scuola d’Arte feci una scuola di Industrial Design a Firenze, ma quella scuola non mi piaceva veramente… Sai, in dei momenti siamo molto connessi con la nostra voce interiore, a 18 anni invece non la ascoltai e scelsi una scuola che non mi piaceva davvero… Grazie a Dio ebbi una crisi e non la finii. Entrai in un periodo buio della mia esistenza e smisi perfino di disegnare per dieci lunghi anni. Dopo, lentamente, ho iniziato a riprendere in mano la mia esistenza e quindi anche il disegno: un’alba dopo l’altra. Passato questo momento di crisi feci un sogno dove la Creatura Femminile Fantastica che avevo disegnato a 16 anni mi diceva di fare delle mostre e così ricominciai sia a disegnare che ad esporre. Fare le mostre è una parte importante del lavoro di un’artista, perché è una parte dell’opera anche il feedback dello spettatore. L’ Arte, per l’artista è terapeutica, ti aiuta in primis a trovare te stessa. Quando troviamo davvero noi stessi, secondo me ciò che abbiamo individuato va svelato anche al nostro prossimo, perché questo profondo di noi stessi deriva da un inconscio collettivo che è qualcosa che riguarda tutti e che esce fuori per il bene di tutti».
Cosa dire di più di queste “Creature”? «In queste opere c’è sempre l’elemento della femminilità come Natura e della Natura come femminilità, cioè la simbiosi tra Natura e femminile. Nelle mie opere parlo di antica religione e di Dee remote, arcaiche. Vado a ricercare immagini e icone che, anche in Casentino, venivano adorate prima dell’avvento delle religioni più moderne. Ad esempio, nell’opera che raffigura la Dea Laverna, simboleggiante la montagna sacra della Verna, si può vedere San Francesco bere il latte che le esce dal capezzolo dell’antica Matrona Sacra. Attorno al capezzolo le ali del serafino alato che nell’iconografia classica ha infuso le stigmate a San Francesco, figura di autentico Santo che pure amo molto. Mi ispiro a tante cose, in questo caso anche a San Francesco. Cerco di raccontare con la mia opera la storia segreta dei luoghi e del femminile. La Dea Laverna era una Dea che, nelle antiche narrazioni, ha subito una rappresentazione negativa: si doveva pensare che era cattiva, che era adorata da ladri, da malfattori e dai rifugiati. Intendendo per rifugiati qualcosa di negativo. Io ho voluto dare una connotazione positiva disegnando una nave di rifugiati, simbolo della potenza dei sogni. La Dea Laverna era una Dea che proteggeva le donne che abortivano e che partorivano, una Dea di vita e di morte. Tutte le antiche Dee erano sempre Dee di vita e di morte perché la Natura stessa, in essenza, è tutto questo. Queste Dee personificavano cicli di morte e cicli di vita, proprio come l’utero femminile, che è contraddistinto da un’ovulazione e una mestruazione, là dove queste due realtà sono intimamente collegate per non dire una cosa sola. Se non si accoglie completamente la morte non conosceremo mai la vera vita. Nelle Creature si nota una Natura che inizia ad essere mortifera appunto, inquietante, perché comincia ad essere sfinita, inizia a mostrare un aspetto meno rassicurante di sé e ci dice che essa potrebbe rivoltarsi contro gli esseri umani da un momento all’altro».
Come spiegare il messaggio della sua Arte tramite le “Creature Femminili Fantastiche”. «La mia Arte è al servizio di quelle antiche religioni spodestate dagli altari, dalla cristianizzazione selvaggia e aggressiva che si è verificata in tutto l’Occidente. Vuole aiutare le persone a rivalutare il fatto che quando si adorava la Natura, e Dio direttamente come Natura, eravamo al cospetto di una pratica saggia, che ci conduceva per forza di cose a rispettare e proteggere la Natura. Allora c’era una sorta di equilibrio tra gli esseri umani e l’ambiente, la Creazione, che oggi non c’è più. Tramite le Creature Femminili Fantastiche descrivo lo sgomento del femminile di fronte a quello che sta accadendo alla Natura oggi giorno e al suo stesso corpo martoriato».
Manifesta sè stessa con altre forme d’Arte e progetti? «Nelle Performances, con un carattere luminoso, più legato alla celebrazione della fertilità e degli antichi riti legati alla Natura, manifesto sempre lo stesso desiderio di adorazione della Natura, ma attraverso lo Yoga e le sue sequenze corporee devozionali e manifestazioni psicofisiche, dove per psiche s’intende l’Anima. Per me, in realtà, l’Arte è tutta Yoga. Anche quello che faccio con le Creature Femminili Fantastiche è Yoga, perché è purificazione emozionale, catarsi, nasce da un atto spontaneo (Sahaja Yoga), però li manifesto il lato più oscuro, invece nelle Performances semplicemente adoro la Natura col mio corpo alla luce del Sole. Libera! Praticamente, liberamente, mi ritrovo nella Natura e la celebro. Adoro gli alberi, gli elementi e li ripongo sull’altare dal quale furono spodestati. Un altro progetto artistico che porto avanti è La Magica Installazione dei Simboli Fantastici, che nasce a Soci nei primi anni del 2000, periodo nel quale abitavo lì, forse nel paese allora più multietnico del Casentino. Frequentavo sempre famiglie di immigrati che erano diventate un po’ la mia di famiglia. A Soci, avevo casa sempre piena di bambini di tutte le nazionalità: albanesi, africani, pakistani, indiani, macedoni e così via. Facevo il doposcuola, li facevo disegnare. Questi bambini bisticciavano fra di sé su quale fosse il nome del Dio più giusto e vero. Ognuno disegnava la sua divinità prediletta e poi si mettevano a litigare. Erano un po’ la metafora dei popoli del mondo. Lì è nato questo progetto dei simboli: per pacificarli! Prendevo i simboli di un Dio di uno e di un Dio di un altro e li univo creando un disegno solo. Nella loro innocenza in qualche modo attraverso il gioco superavano le loro diffidenze reciproche. La Magica Installazione dei Simboli Fantastici è un’installazione work in progress senza fine, la finirò quando lascerò il corpo e l’affiderò, prima di morire, ad un’artista donna che la prosegua, perché il futuro darà vita a nuovi simboli ancora. Questo progetto vorrei contenesse tutti i simboli, di tutte le culture, di tutti i mondi, di tutti i tempi e di tutti gli spazi. Per ora conta 108 esemplari. Alcuni sono inventati, alcuni sono l’unione di più simboli, alcuni sono tali e quali agli originali, alcuni li ho raccolti in metropolitana o sui muri delle città. Il simbolo come linguaggio dell’intera umanità, con colori bianchi e neri a significare giorno e notte, vita e morte, luce e buio, maschile e femminile».