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mercoledì, 9 Ottobre 2024

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Claudio D’Amico, quaranta anni per l’ambiente

di Mauro Meschini – Avevamo già incontrato Claudio D’Amico nel settembre del 2015, quando era ancora comandante del Corpo Forestale ad Arezzo, in quel momento era prossimo il passaggio all’Arma dei Carabinieri e tante erano le aspettative, ma anche i timori, per quello che sarebbe accaduto nella tutela dell’ambiente e del territorio. Oggi, a poco più di due anni dal suo pensionamento, lo abbiamo incontrato di nuovo e abbiamo potuto ascoltare non solo il racconto di questo periodo di transizione ma anche una preziosa testimonianza da chi ha sempre lavorato e operato per salvaguardare il Casentino e non solo.

Tra Forestale e Carabinieri, quanti anni di servizio ha svolto? «Sono quaranta anni di servizio, dal 1981 al 2021».

E quali sono state le tappe di questo percorso? «Mi sono laureato in scienze forestali nel 1979, già da qualche mese lavoravo in Regione grazie ad un progetto pilota per l’occupazione giovanile. Poi ho superato il concorso per la Forestale e a maggio 1982 sono entrato a Pratovecchio all’amministrazione delle riserve naturali con il Prof. Padula che era l’amministratore. Nel 1994, dopo che era appena stato istituito il Parco nazionale, fui nominato responsabile di un nuovo ufficio che organizzava il servizio di sorveglianza del Parco e si chiamava Coordinamento Territoriale per l’Ambiente. Nel 2011 sono stato nominato comandante provinciale del Corpo Forestale ad Arezzo, mantenendo per qualche anno il doppio incarico. Poi il 1 gennaio 2016 c’è stato il passaggio nell’Arma dei Carabinieri, dove ho mantenuto l’incarico e a ottobre 2021 sono andato in pensione per raggiunti limiti di età con il grado di Generale di Brigata. Da un anno circa sono componente, a titolo gratuito, del Consiglio Direttivo del Parco delle Foreste Casentinesi quale rappresentante del Ministero delle Politiche Agricole».

In pratica un impegno costante per l’ambiente… «Ho avuto la fortuna, il privilegio, di lavorare quaranta anni per la tutela dell’ambiente».

E il passaggio ai carabinieri? «Non ha cambiato niente, sono rimasto responsabile in una nuova organizzazione… devo dire che per fortuna c’è stato questo passaggio perché la vecchia organizzazione si stava disgregando. il Corpo Forestale è stato negli ultimi anni sempre in bilico per la propria sopravvivenza, tante ipotesi si facevano e per mantenersi in vita c’è stato un lavorio di lobby finalizzato a trovare sostegni nella politica che doveva decidere e trovare soluzioni. Soluzioni che poi furono trovate con la legge di riordino del Corpo Forestale del 2004, promossa dal Ministro Alemanno, che fu una conferma per il Corpo, ma negli anni successivi si è poi pagato lo scotto del lavorio che c’era stato per arrivare ad una legge che alla fine era stata approvata trasversalmente da tutte le componenti del Parlamento… si aveva una situazione interna incongrua…».

Quindi soprattutto negli anni di comandante ad Arezzo ha potuto vedere le difficoltà di questo periodo di appannamento? «Senz’altro si. Praticamente bisognava un po’ arrangiarsi con una crescente conflittualità sindacale interna. Con i sindacati che sono purtroppo arrivati alla cogestione dell’amministrazione… e quando il sindacato perde il suo ruolo…».

Di controparte. «Si, di controparte ed entra nella stanza dei bottoni non può andare bene… ero arrivato all’assurdo di dover chiedere il permesso per poter comandare… poi la politica ha deciso la chiusura di uno dei cinque corpi di polizia e l’Arma dei Carabinieri si è offerta di subentrare avendo già un piede nella tutela dell’ambiente con i Nuclei Operativi Ecologici. Ma con 1.000 persone potevano fare poco, hanno invece visto il futuro nella nascita della più grande polizia ambientale d’Europa con circa 10.000 unità. È stato strutturato il CUFAA (Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari) ed è stata un’operazione orientata nel futuro e molto accogliente. C’è stata un’attenzione inaspettata… Del Sette era il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e ha voluto questa riforma, Ricciardi è stato il primo comandante del CUFAA ed è stato quello che ha diretto e pilotato l’assorbimento con grande pazienza, visto che venivamo da un’amministrazione che non aveva regolamenti e abbiamo dovuto adeguarci ad una invece assolutamente regolamentata e ordinata. L’Arma dei Carabinieri ha dichiarato sempre di seguire sempre questo principio: «rendere i forestali un po’ più carabinieri e i carabinieri un po’ più forestali»…».

Con i forestali che dovevano imparare a stare in una struttura più grande e regolamentata e con i carabinieri che dovevano imparare ad affrontare meglio le tematiche ambientali… «Esatto, proprio questo. Un’organizzazione capillare in tutta Italia come i Carabinieri deve essere in grado di rilevare eventi e situazioni che mettono in pericolo l’ambiente. Lo sforzo è stato di portare tutti i carabinieri a saper rilevare anche una cosa minima, ma tante minime segnalazioni portano a risultati anche notevoli. Già intervenire a questo livello può aumentare le possibilità di migliorare le prospettive della qualità ambientale. Poi le grandi violazioni commesse da organizzazioni criminali vengono seguite da strutture investigative specifiche… Questi interventi diffusi riprendono in pratica ciò che veniva fatto dalla forestale…».

Ma adesso sono forse più riconosciuti questi interventi… «Solo il fatto di poter fare lavorare le migliaia di forestali con l’apporto dell’intera Arma dei Carabinieri dà la garanzia di avere un supporto costante. Negli ultimi anni si fanno anche servizi abbinati con il carabiniere della stazione che fa magari il controllo stradale e il forestale che si occupa degli aspetti di controllo più specifici, questo servizio sta crescendo e migliorando. Un altro aspetto di cui dobbiamo rendere merito all’Arma dei Carabinieri è di aver creduto e salvato la Biodiversità. Uffici come quello di Pratovecchio, la gestione delle riserve naturali, negli ultimi anni del Corpo Forestale erano aborriti dai sindacati, il fatto che ci fossero degli uffici che gestivano operai e interventi e non attività di polizia giudiziaria era visto come il male assoluto. L’ufficio di Pieve Santo Stefano tutela la Biodiversità a vasto raggio recuperando piante in via di estinzione, riproducendole e diffondendole. Se non facessero questo servizio noi perderemmo in Italia entità vegetali che sono a rischio di estinzione. In quell’ufficio e in uno a Verona viene svolto questo lavoro, che per i sindacati era un lavoro inutile. Ma se non lo facevano queste strutture non lo avrebbe fatto nessuno. I Carabinieri hanno capito che questi uffici gestivano il meglio della natura italiana rappresentato dalle riserve naturali…».

Sembra logico questo… «Sembra logico, ma per anni non lo è stato ed erano uffici che rischiavano di essere soppressi o esternalizzati. Oggi la Biodiversità è uno dei pilastri della nuova struttura per la tutela forestale e ambientale, sono stati stabilizzati tutti gli operai che erano a tempo determinato. Questi uffici sono necessari e fondamentali sono una tradizione ed esistono dal 1914…».

Come quello di Pratovecchio, dove abbiamo anche la presenza del Parco. Che rapporto ha instaurato la nuova struttura forestale con i parchi? «Le strutture sono rimaste, anche la legge prevedeva che l’assorbimento non doveva diminuire la presenza sul territorio. Infatti una prima operazione è stata quella di inviare personale in tutte le stazioni sguarnite, non negli uffici ma nelle stazioni. Con gli Enti Parco si è poi continuato a collaborare. Io ho vissuto direttamente la creazione del Parco delle Foreste Casentinesi uno dei quattro creati a seguito della nuova legge quadro sulla tutela delle aree protette del 1994. Fu un laboratorio dove facemmo la prima convenzione tra Forestale ed Ente Parco…».

E tutto questo ha avuto la possibilità di seguirlo come responsabile del nuovo ufficio che fu creato… «Si. La differenza con il Comando provinciale è che nel Parco c’è un agente ogni 1.000 ettari, fuori uno ogni 10.000. Cambia proprio il livello della possibilità di controllo. Nelle aree protette c’è un controllo capillare e costante. È un modello che ha funzionato e gli stessi Enti Parco hanno riconosciuto funzionale. All’inizio i possibili aspetti negativi portati dal Parco potevano essere i nullaosta per gli interventi e i danni da fauna selvatica, abbiamo collaborato con il Parco perché venissero risolti nei tempi previsti dalla legge, entro sessanta giorni, e i cittadini hanno potuto constatare che questo avveniva realmente. Ho sempre pensato che una cosa farla oggi o domani richiede sempre lo stesso tempo, meglio però farla oggi così domani è già fatta».

Così magari se c’è una risposta negativa viene detto subito e l’interessato può pensare ad alternative o variazioni… «Perfetto. Poi se le cose le vedi prima si riduce fortemente la possibilità che si facciano degli sbagli. Fare il controllo preventivo agli interventi, sia di taglio sia edilizio, è stata un altro degli strumenti che hanno avuto i parchi per incidere in senso positivo nella tutela dell’ambiente…».

Questo riferimento ai tagli mi fa ricordare il lavoro che viene fatto nel bosco, fuori dal Parco, che in Casentino occupa ancora molte persone ed è un aspetto importante. A parte le difficoltà che si sono aggiunte con la norma che richiede ulteriore burocrazia e spese, raccogliendo voci e testimonianze a volte sembra che pur richiedendo e ottenendo un permesso non sempre si è totalmente immuni da controlli che vanno anche oltre la reale situazione con il rischio di conseguenti sanzioni. Ha potuto sentire anche lei lamentele su questo aspetto? «Si. Allora… il boscaiolo era abituato fino ad certo periodo ad un determinato metodo. Chiedeva al forestale determinati consigli ed era quest’ultimo che per conto della Regione lo autorizzava. Ora il forestale non autorizza più niente da decenni, sono gli uffici regionali, prima le Comunità Montane poi altri…».

Quindi sono altri Enti… «Sono altri Enti che autorizzano e addirittura ci sono interventi che vanno solo dichiarati attraverso procedure online. La Regione non ha investito in questo e non sa più niente del mondo forestale, conosce solo il numero di richieste di taglio che vengono fatte. Anche in Casentino gli uffici preposti sono ridotti ai minimi termini. Chi controlla quello che veramente viene fatto? Il Corpo Forestale per convenzione ha l’onere di controllare il 10% delle utilizzazioni e il resto?… Da un decennio l’ISTAT non fa più la statistica forestale perché le regioni non le forniscono i dati. La gestione di un bene primario come la legna non è seguita. Intanto sono state attivate in Calabria e altrove centrali a biomasse che macinano legname prelevato ovunque ma non si sa dove, ma il bosco ha dei tempi precisi per rinnovarsi… Esiste una gestione criminale dei tagli forestali…».

Tra l’altro per avere il massimo rendimento del valore del bosco il legno dovrebbe essere utilizzato sul posto e non fatto viaggiare per l’Italia… «Ho sempre sostenuto che utilizzare un bosco non è un delitto, è stato fatto per millenni, è una facoltà del tutto legittima. Nella forestale ci insegnano come trattare i boschi senza recare danni, va fatto con attenzione e seguendo certe regole. Se però nessuno controlla o da indicazioni…».

Qui si dovrebbe avere allora una collaborazione maggiore anche con le organizzazioni degli agricoltori e un’assunzione di responsabilità delle amministrazioni politiche… «Va ricostruito un tessuto amministrativo che esisteva fino a quando c’erano le province e dei servizi appositi che sono stati smantellati…».

Anche perché qualsiasi cosa che viene fatta deve essere gestita, se non hai chi la gestisce… «Sarebbe come lasciare le città in balia dell’abusivismo edilizio…».

Quindi con la nuova struttura forestale si è rafforzato l’aspetto della tutela e del controllo, però mentre anche nel nostro territorio si vorrebbe stimolare la residenza e si parla di possibilità per le persone di poterci vivere e lavorare, manca poi un soggetto amministrativo in grado di dare utili e reali indicazioni su quello che è veramente possibile fare, che sia tagliare il bosco o aprire un’azienda agricola, come si esce da questa situazione? Chi si deve muovere? I carabinieri in questo caso possono poco, forse… «I problemi strutturali di una società non li può e non li deve risolvere la polizia. Anche sulla questione della SACCI l’intervento degli organi giudiziari ha comunque riacceso l’attenzione e riaperto la prospettiva di realizzare qualcosa, ma la soluzione finale deve venire dall’amministrazione pubblica non da un’azione di polizia. Tutti i guasti e le situazioni incancrenite vanno risolti con il coraggio e la determinazione, ma se le amministrazioni vanno avanti con prospettive legate ad una legislatura…».

Utili per arrivare alle prossime elezioni… «Così non si possono pensare e pianificare progetti di largo respiro».

Aspettando che la politica faccia il suo dovere, da persona che per 40 anni si è occupata di tutela dell’ambiente quali sono le tre priorità e/o modalità di intervento che ritiene più importanti per il Casentino nell’ambito proprio della tutela e valorizzazione del territorio? «Una cosa che mi sento di indicare è salvaguardare il rapporto di fiducia tra cittadino e, nel nostro caso, il controllore. Perché da noi questo rapporto esiste ed è un punto di forza della vallata, faccio un esempio, se si vede il fumo telefonano subito, questo è un atto di collaborazione che esiste, non c’è disinteresse. L’altra cosa è l’educazione, vedere i frutti dell’opera di educazione ambientale fatta da 20 anni a questa parte nella consapevolezza che hanno i ragazzi che crescono qui rispetto a chi vive in città fa la differenza, ci permette di partire avvantaggiati, certi guasti le nuove generazioni evitano di farli. Il terzo… mi viene da dire l’onestà. Perché purtroppo la corruzione è ovunque e anche io nel mio ruolo di comandante ho sempre avuto la preoccupazione di avere qualche infedele, non si può escludere ma nel proprio agire dobbiamo inserire degli antidoti per evitarla e rendergli la vita difficile. Occorre fare in modo di creare delle forme di autocontrollo interno, non ci possono essere aree esclusive, ci devono essere interscambi e collaborazioni tra professionalità. Sperare in una buona amministrazione che blocchi questo cancro del malaffare…».

O dell’occhio di riguardo verso qualcuno che si conosce… «Si, Esatto. C’è poi un altro punto che mi è venuto in mente ed è: tenere alta la guardia rispetto alla possibilità di ingressi non solo di organizzazioni criminali ma anche di nuove forze culturalmente impreparate…».

Diciamo più portate all’uso e all’abuso invece che al rispetto e alla salvaguardia… «Se esistono buoni livelli di controllo si può scoraggiare chi volesse venire a fare del male a casa nostra. Questo è un altro strumento che ha sempre funzionato, anche nella nostra provincia. Il fatto che ci fosse un’intensità oggettiva nei controlli forestali e ambientali ha evitato il dilagare di ingressi indesiderati dall’esterno».

Per concludere, un consiglio per dare un titolo a questa intervista o una frase che riassume 40 anni dedicati all’ambiente… «Mi sento un privilegiato, sono contento di quello che ho fatto. Ho fatto un bellissimo lavoro in posti magnifici, con delle persone invidiabili. Sono fiero di questo. Poi è giusto chiudere il capitolo, rimettersi in gioco e dare spazio al cambiamento. Gli uffici in cui sono passato hanno sempre funzionato meglio dopo che me ne sono andato, lo dico con orgoglio… poi che posso di dire… 40 anni… un privilegio… uno non può scegliere dove nascere ma può scegliere dove rimanere».

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