Renato è andato a teatro con la moglie e la figlia per celebrare, ancora una volta, una tragedia annunciata di cui lui è stato testimone quando aveva 22 anni e fu mandato sui luoghi del disastro insieme a tanti altri giovani che stavano facendo la leva militare. Ancora una volta perché Renato in quei luoghi è tornato tantissime volte, riportando i suoi occhi e il suo cuore a rendere omaggio alle 1910 persone che persero la vita in 4 minuti. Un cuore ancora sanguinante, quello di quel ragazzo oggi nonno di quattro nipoti.
Sono passati 60 anni ma la sera del 9 ottobre del 1963 Renato se la ricorderà per sempre. Il suo racconto: “Erano le 11, me lo ricordo benissimo e suonò l’allarme. Io ero nel 182° Reggimento Garibaldi. Non era un’esercitazione ci dovevamo spostare. Lungo la strada venimmo a sapere di qualcosa che era accaduto in una diga, ma niente di più. Impiegammo circa un’ora e nel tratto di strada che facemmo sui camion dell’Esercito, incontrammo auto con gente che gridava. Ancora non riuscivamo a capire. Fu quando attraversammo il Piave che la situazione ci si presentò davanti in tutta la sua tragicità: il fiume portava giù di tutto. Quando arrivammo nei luoghi colpiti dall’onda anomala vedemmo cose che è difficile raccontare”.
Renato si ferma, con la mano stringe quella della moglie che gli sta accanto per aiutarlo a raccontare, ancora una volta, mentre gli occhi non contengono le lacrime. Un imprenditore, un uomo fortissimo che si piega al dolore del ricordo.
Renato riprende il racconto: “La prima scena che mi si parò davanti e che non è più andata via dalla mia mente è quella di un padre disperato che teneva tra le braccia il suo bambino a cui la furia dell’acqua aveva tolto tutto, la vita e i vestiti. Poi il cimitero. Le tombe erano state devastate, come le casse e i morti che riposavano lì erano stati scaraventati nel fiume insieme a tutto il resto. Ricordo il campanile, in piedi, come un eroe fiero che assiste alla devastazione e piange i suoi figli. Noi militari lavorammo senza sosta per tanti giorni tra macerie, acqua e pianti. Dormivamo poco. Io dormivo nel cassone di un camion tra le zappe che utilizzavamo per fare il nostro dovere. Per tirarci su, per farci andare avanti, ricordo ci davano grappa a volontà. Come se quella potesse salvarci da quello che avevamo visto, sentito. No, non era possibile”.
Renato mostra l’Attestato di Benemerenza che gli fu riconosciuto come a tanti altri giovani dal Ministero della Difesa. A un certo punto in questo attestato si trova scritto “riaprirono le strade, gettarono i ponti, donarono ai superstiti il conforto di una assistenza fraterna, fiorita d’amore”.
Roberto è tornato in quei luoghi per tantissime volte nella sua vita, anche in viaggio di nozze passò di lì e l’ultima è in questa lunga Estate. Erto e Casso, in provincia di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia sono un luogo che per lui significa tanto. A 83 anni ricorda tutto nei minimi particolari, ha voglia di portare testimonianza, di ricordare quelle 1910 persone che furono trascinate via dall’acqua, ma prima ancora da una valutazione scellerata dell’uomo.
(Fonte: Comune di Bibbiena)