di Caterina Zaru – Chi percorre le strade del Casentino, immerso nei paesaggi praticamente intatti di questa vallata, non può fare a meno di notare come la storia si riveli in ogni dettaglio: un portale in pietra, un’abside romanica, un campanile svettante tra i boschi. Ma c’è una storia più profonda, meno visibile, che abita sotto i nostri piedi. È la storia della stratificazione, del costruire sopra, che ha caratterizzato per secoli i luoghi sacri di questo territorio. In passato, infatti, era del tutto normale edificare nuovi luoghi di culto o di potere sopra quelli precedenti, in un gioco di continuità e trasformazione che ci affascina ancora oggi, ma che spesso ha comportato anche la perdita di molte testimonianze del passato. Un esempio lampante è Pieve a Socana, nel comune di Castel Focognano.
Oggi la vediamo come una sobria ed elegante chiesa romanica, risalente all’XI secolo. Ma ciò che la rende unica è la presenza, all’interno del suo perimetro, di un monumento molto più antico: un grande altare etrusco databile che fu attivo tra il V e il II secolo a.C., uno dei più imponenti mai rinvenuti in Toscana, oggi rappresenta una testimonianza straordinaria della continuità del sacro nel tempo. Non si tratta di un caso isolato: tale pratica era molto diffusa e non solo in Casentino. Numerosi sono i siti in cui luoghi di culto cristiani si sono sovrapposti a spazi religiosi precedenti, etruschi, romani o pagani. Si trattava spesso di una scelta simbolica e strategica: costruire una chiesa là dove sorgeva un tempio significava non solo riutilizzare materiali e fondazioni già esistenti, ma anche affermare la supremazia del nuovo culto su quelli precedenti.
La cristianizzazione del paesaggio è avvenuta anche attraverso questi gesti concreti e visibili, che oggi ci parlano di sovrapposizione più che di cancellazione. La Pieve di San Pietro a Romena, nel comune di Pratovecchio Stia, offre un altro caso emblematico. Le sue forme romaniche eleganti, rese ancora più suggestive dal contesto paesaggistico, sono ciò che colpisce il visitatore moderno. Ma gli studi archeologici e topografici confermano che l’area era frequentata già in epoca romana, e probabilmente anche prima. Il toponimo stesso, Romena, potrebbe avere origini etrusche, suggerendo una lunga persistenza dell’uso sacro del luogo. Questi fenomeni non sono legati solo al culto. La pratica di costruire sopra non riguarda soltanto chiese e templi, ma anche castelli, borghi, sistemi difensivi. Ogni pietra riutilizzata racconta una storia, a volte di continuità, altre di frattura.
E qui si apre un altro tema, che svilupperemo nel prossimo articolo: quello dell’uso di materiali provenienti da edifici in rovina, come castelli o abbazie, per nuove costruzioni, spesso a scapito della conservazione delle tracce storiche. Il punto fondamentale, però, è che questi processi – apparentemente distruttivi – sono anche rivelatori. Ci mostrano come il tempo non cancelli, ma riscriva. Ogni nuova costruzione è un dialogo con ciò che c’era prima. Ma per poter leggere questo dialogo servono consapevolezza, studio e tutela. È solo attraverso la conoscenza che possiamo evitare nuove perdite e valorizzare ciò che è rimasto. In un territorio come il Casentino, così ricco di stratificazioni visibili e invisibili, diventa allora essenziale educare alla lettura del paesaggio.
Non basta vedere: bisogna imparare a osservare. Dietro una parete stondata, un’abside fuori asse o un frammento di pietra lavorata, può nascondersi una storia millenaria. Visitare luoghi come Socana o Romena con questa consapevolezza significa avvicinarsi a un patrimonio culturale che non è fatto solo di monumenti, ma di memoria e trasformazione. E custodire questa memoria è oggi una delle sfide più importanti per chi vuole tutelare e valorizzare un territorio dalla storia millenaria come il Casentino.
Caterina Zaru è la Direttrice del Museo Archeologico del Casentino “Piero Albertoni”