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martedì, 23 Aprile 2024

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Voglio una vita come quella dei film

di Elisa Fioriti – Dall’officina di Paolo Furieri a Ponte a Poppi chi, vuoi per acquistare, vuoi per riparare una bicicletta, un motorino, una qualunque macchina, non c’è passato una volta almeno? E per dargli il nostro saluto di fronte alla sua decisione di chiudere l’attività, lo abbiamo incontrato, ripercorrendo insieme la storia di una vita… di quelle che non si sa mai.

Furieri (ora)

Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso… Com’è iniziato il suo, che lo ha portato a gestire quest’officina? «Caso fortuito direi, visto che al tempo, era il 1966, stavo lavorando in Germania. Fin da ragazzo, infatti, ho sentito, forte, il desiderio di girare il mondo, di spostarmi all’estero. A diciott’anni mi ero messo in testa di andare in Brasile! Ma essendo ancora minorenne (prima della legge del ’75 solo a 21 si raggiungeva la maggiore età), mio padre, che faceva il contadino a Villa Siemoni, abitavamo a Sala, mi aveva imposto un veto. Così trovai lavoro in zona, un posto in un’officina meccanica tuttofare a Strada. Ero stato a Firenze un paio d’anni: lì presi il diploma di disegnatore meccanico, assecondando la mia vena artistica, creativa, benché abbia sempre svolto lavori di tipo manuale. A Livorno avevo anche lavorato dei mesi in un cantiere navale: saldavo parti e componenti sott’acqua. Mentre è a Milano che avevo fatto il capolavoro, per ottenere, maturata l’esperienza necessaria, l’attestato della mia qualifica professionale, che avrebbe potuto spingermi al largo dell’Italia, rotta… San Paolo del Brasile».

Invece ha fatto rotta in Germania? «Il Casentino continuava a restarmi stretto. Presso l’ufficio del lavoro di Arezzo, grazie alla qualifica di saldatore, mi sono procurato l’ingaggio nelle acciaierie tedesche. Sono rimasto là un annetto, tornando per le ferie. Ero giusto rientrato a casa per una quindicina di giorni di fine aprile, quando, alla scomparsa del proprietario, si è presentata l’occasione di rilevare l’officina di Salvatore Alterini: la sua era una bottega storica a Poppi, esisteva dal 1884; si occupava di macchine, moto, biciclette oltre a fornire gas e vedere elettrodomestici, macchine da cucire… Mio padre, che sperava che non ripartissi, complice mio cognato, è riuscito a convincermi a lanciarmi in quest’avventura».

Che cambiamento radicale! «Il ’66 è stato per me un anno cruciale, decisivo non unicamente sul fronte professionale, ne sono successe… Ci fu anche la famigerata alluvione a novembre, io che avevo rilevato la bottega a maggio, da pochi mesi! Quella originaria dell’Alterini si trovava al Ponte, dove ora c’è il Rubbioli che vende frutta, verdura, prodotti artigianali. Io mi ero spostato davanti, lungo la via della stazione, finché nell’85 mi sono trasferito nell’attuale locale, proprietà di famiglia, all’imbocco di via Roma, rendendolo un crocevia per clienti e amici. Però è nel settembre del ’66 che è avvenuto l’incontro che ha rivoluzionato davvero la mia vita: quello con Teresa, che nel ’73 sarebbe diventata mia moglie. Teresa frequentava l’università a Napoli, stava da una zia; ho ritrovato tutte le lettere che ci siamo scritti. Il nostro incontro lo ricordo benissimo: era venuta nella mia bottega con sua madre, per comprare una macchinina alla nipote Emilia… una Ferrari rossa».

Donne e motori, altro se legano. «Ma ora che lei se ne è andata, per me non ha più senso mandare avanti l’attività. Insieme abbiamo iniziato, insieme finiremo. Cinquant’anni: uniti profondamente, pur coltivando ciascuno le sue passioni, arricchendoci l’uno dell’altra. Chiudo, e non cedo l’attività, non avendo avuto figli né avendo nipoti interessati a dedicarcisi, a cui avrei potuto trasmettere quanto ho appreso negli anni. Perché di là dall’esercizio commerciale che ho ereditato da Salvatore Alterini, commercio di articoli e accessori sportivi, tecnici, bici, giocattoli, macchinari agricoli e altro ancora (l’elenco sarebbe lungo), ciò che sono e faccio è l’artigiano: la meccanica ce l’ho nel DNA, un motore nuovo lo smonto e lo rimonto, mi diverto a riparare le cose, sono sfide che mettono alla prova il mio ingegno. Come in un puzzle con una miriade di piccoli pezzi da incastrare, sebbene spesso mi tocchi farne parecchi in contemporanea: vengono fuori delle urgenze, pezzi che mancano… mentre preferirei concentrarmi su un unico obiettivo e gustarmi la vista del lavoro che progredisce».

In quali occupazioni in particolare si è messo alla prova? «Con i ragazzi che bazzicavano la mia officina, ci siamo lasciati trascinare, all’inizio, dal fascino delle moto da cross: prendevamo una vecchia moto già in circolazione, tipo moto Parilla, Morini, Cimatti, Mi-Val… e cercavamo di ricavarcene una da cross, le “costruivamo” noi! Del resto, si viveva appieno lo spirito ribelle di fine anni ’60. Io, poi, non sono mai stato un tradizionalista: con quei capelloni, i pantaloni a campana… un giovane un po’ stravagante, appassionato, a volte impetuoso, e, chi mi conosce lo sa, lo resto tutt’oggi».

Vi siete concentrati esclusivamente sul motocross? «Per una quindicina d’anni sì, divertendoci da matti. Che banda! Si partiva dal piazzone di Ponte a Poppi, anche con venti, venticinque moto da cross: un rombo da far tremare i vetri alle finestre. Dopo c’è stata la parentesi dei go-kart, durata poco meno di dieci anni: quante di quelle gare abbiamo fatto a Poppi, Pratovecchio, Stia, Strada, Montemignaio, Soci, Rassina… Ripenso, fra i tanti, a un caro amico, “Il Cinque” soprannominato, che da Rassina veniva col suo Tony Kart rimontato alla bell’e meglio! Nonostante avessi deciso di stabilirmi in zona, infatti, non sapevo rimanere fermo: negli anni ho dato libero sfogo alla fantasia, sviluppando i sogni in progetti; mi ci applicavo con dedizione e piacere, interamente, portandone a termine uno per intraprenderne via via uno diverso, senza adagiarmi alle situazioni. Ad esempio, quando ci siamo resi conto che il nostro perfezionismo nelle corse con i go-kart stava prendendo una piega eccessiva, costosa da sostenere, in tempo e risorse, abbiamo cominciato a guardare alle mountain bike, che dall’America esercitavamo allora un certo richiamo. Si sono organizzate e fatte gare, per poi istituire il gruppo sportivo di Poppi, che conta adesso centoventi iscritti. Be’, il bello è proprio che ciascuna di queste passioni mi ha permesso di stare a contatto con la gente, di conoscere persone e stringere amicizie, il che mi rende felice».

rassina 86

Qualche cliente che le è rimasto impresso? «Ho appunto in mente un episodio buffo: Loredano, un amico, con il suo Dingo, un motorino Guzzi cinquantino, che una volta venne da me dicendo: “Furio, stasera voglio cuocere l’arringa!” e ne ha legata una sulla testa del motorino, andando su e giù per la strada di Moggiona… Ma potrei citarne all’infinito di episodi e personaggi».

Ha servito anche qualcuno di famoso? «Un dj molto popolare, che poi mi ha ringraziato alla radio del lavoro ben svolto, con una battuta sul mio carattere… fumino! O Romano Prodi, in soggiorno a Camaldoli, che capitò nella mia officina per farsi riparare la ruota bucata della bicicletta. Comunque, notorietà a parte, sono grato sinceramente a tutti i miei clienti, perché la mia attività è nata e cresciuta con loro. Li ringrazio tutti: clienti, conoscenti, compagni del Casentino e di fuori, dalla zona di Reggello, Ferrano, dal Mugello, da Dicomano, da Bagno di Romagna… tutti quelli che sono passati da me. Durante questi anni, ho lavorato con la massima cura per soddisfare i miei clienti, offrirgli la scelta più ampia di prodotti di qualità e un servizio frutto dell’esperienza: ho puntato così a differenziarmi da mercatoni e negozi concorrenti. Scelgo di chiudere l’attività che sono ancora in grado di provvedere puntualmente alle varie esigenze: non sopporterei di tralasciare un ramo di vendita, giacché i singoli rami sono associati a una categoria specifica di clienti, e le persone fanno affidamento su di me. Se arriva in bottega un bambino di due-tre anni per un triciclo o la sua prima biciclettina, voglio poter esaudire al meglio la sua richiesta: so che i genitori contano di trovare da me il prodotto accessoriato. L’amore per le persone è l’anima del mio lavoro. E confesso che è questa la maggior soddisfazione: adoperarsi, come a tradizione, per i figli, i nipoti dei clienti, a cui mi lega un rapporto ben più profondo».

Cosa l’aspetta d’ora in poi? «Mica sparisco dalla circolazione eh?!? All’occorrenza, sarò a disposizione per il paese e la comunità. Frequento la parrocchia, sono nel G.S. Poppi, nella Pro loco. Ma perché no, potrei riaprire il cassetto dei sogni… il sogno del Brasile, il sogno di tornare in Africa, di viaggiare alla scoperta del mondo. Ho una nipote che fa la skipper, gira per lavoro visitando mari e posti paradisiaci: le avevo promesso che sarei andato a trovarla qualche volta. Magari ora arrivo».

(tratto da CASENTINO2000 | n. 287 | Ottobre 2017)

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