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martedì, 15 Luglio 2025

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Canapa, il Governo contro chi rispetta la legge

di Francesco Meola – Quando si parla di canapa si associa spesso questa pianta all’uso illecito che se ne fa. Insieme al tabacco, all’alcol e alla caffeina, infatti, questa è una delle droghe più consumate al mondo: viene fumata sotto forma di marijuana o hashish (con o senza aggiunta di tabacco) e, più di rado, è consumata dissolta in cibi o bevande. Nonostante tutto, la canapa offre diversi usi positivi in vari settori, tra cui: quello alimentare, per la sua ricchezza di proteine, vitamine e minerali; tessile, per la sua resistenza; cosmetico, per le sue proprietà antiossidanti e rigeneranti; medico, per i suoi effetti analgesici e per l’ambiente, in quanto può essere impiegata nella produzione di biocarburanti offrendo un’alternativa ai combustibili fossili.

Essa può essere inoltre adoperata in ambito edilizio per creare biocomposti isolanti, bio-mattoni e pannelli flessibili e nella produzione di carta, dal momento che la sua cellulosa può essere trasformata in carta di alta qualità senza bisogno di trattamenti chimici. La produzione di canapa in Italia è regolata dalla legge 242/2016, che consente la coltura di varietà certificate con un contenuto di THC inferiore allo 0,2%, senza necessità di autorizzazioni particolari. Se invece il contenuto di THC supera lo 0,6%, le piante possono essere distrutte e l’agricoltore rischia ingenti sanzioni. Oggi, le regioni più attive nella coltivazione della canapa sono: il Piemonte, con la varietà «Carmagnola», una delle più rinomate per la produzione di fibre tessili; l’Emilia-Romagna, con la sua produzione di biocomposti e materiali da costruzione; la Puglia, tradizionalmente legata alla coltivazione di questa pianta, e la Sicilia, con progetti legati alla bioedilizia e alla produzione di bioplastiche.

In questo ampio novero vi è anche la Toscana, che guarda già da alcuni anni con crescente interesse alla produzione di canapa. Secondo alcune stime, infatti, la regione starebbe vivendo un vero e proprio boom al riguardo, con oltre 1.000 ettari dedicati a questa pianta. Un esempio interessante è rappresentato da Canapafiliera Srl, un’azienda con sede a Vecchiano, in provincia di Pisa, che punta a rilanciare la coltivazione della canapa da fibra su larga scala, con l’obiettivo di raggiungere una lavorazione annua di 10.000 tonnellate. Questo progetto mira a creare una rete produttiva solida, con un impianto innovativo per la trasformazione della fibra di canapa destinata al settore tessile e cartario. Inoltre, la Coldiretti Toscana sta lavorando per costruire una filiera certificata, garantendo qualità e sicurezza nella produzione.

Insomma, la canapa è vista sempre più come una risorsa ecologica, capace di ridurre il consumo del suolo e la perdita di biodiversità. Ma sul futuro di questa ed altre realtà della nostra Penisola si è abbattuta di recente la scure dell’ultimo decreto-legge sulla sicurezza del governo. Stando alla nuova normativa, infatti, è stabilito il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata. Vietata inoltre anche la commercializzazione dei prodotti contenenti i fiori, compresi gli estratti, le resine e gli olii da essi derivati.

Ma come hanno reagito i produttori a questo provvedimento? L’abbiamo chiesto a Gabriele Consorti, uno dei titolari dell’azienda agricola “Via dei Ciliegi” di Poppi, che ha deciso di differenziarsi coltivando canapa per valorizzare il territorio. Questa impresa, con sede nella frazione di Loscove, ha iniziato la produzione alcuni anni fa e attualmente, conta circa due ettari di canapa che viene raccolta manualmente per ridurre i costi di macchinari specializzati.

Conforti, come state vivendo le conseguenze di questo provvedimento? «Stiamo attraversando un periodo di forte apprensione; ci siamo confrontati anche con altri produttori e tutti hanno manifestato le nostre stesse preoccupazioni. Rispetto al passato sono stati compiuti almeno tre passi indietro e lo dico con grande rammarico dal momento che, almeno per quanto ci riguarda, dopo dieci anni di sacrifici stavamo facendo grandi progressi. Tra l’altro se noi, che siamo dei piccoli produttori, stiamo vivendo tutto questo con una certa angoscia, non oso immaginare come possa essere difficile per tutte quelle grandi aziende che hanno investito cifre molto più considerevoli delle nostre».

Dicono che questo provvedimento servirebbe ad arginare il fenomeno del narcotraffico… «Macché, è inutile girarci intorno: è stato un duro colpo per tutta la filiera. Se si voleva davvero combattere il narcotraffico non bisognava colpire chi produce canapa rispettando la legge. Con questa norma, ci siamo trovati da un giorno all’altro nell’impossibilità di vendere i nostri prodotti e non ci è stata data neanche la possibilità di evadere gli ordini già commissionati. Ma ci rendiamo conto? Siamo stati messi con le spalle al muro dopo anni in cui abbiamo investito tanto anche per la tutela dei nostri consumatori, considerato che i nostri prodotti sono tutti certificati come sicuri al 100%».

Ma quindi, secondo lei, cosa avrebbe spinto il Governo a emanare un provvedimento del genere? «Penso si sia trattato di una scelta prettamente politica. Questa è una legge per la quale, soprattutto la Lega Nord, spingeva da tempo e sinceramente non riesco a trovare altre logiche spiegazioni, oltre a quelle puramente ideologiche».

In parole semplici, cosa comporta la nuova norma? «Il provvedimento blocca la vendita del fiore annullando di fatto qualsiasi operazione di vendita e danneggiando un mercato che aveva contribuito a una diminuzione dei traffici illeciti. In questo modo, invece, si torna a favorire proprio un certo tipo di mercati…».

Cosa farete adesso e come stanno reagendo le altre aziende del settore? «Per quello che ho sentito dire, pare che alcune siano pronte ad andare contro la legge e a continuare le vendite nonostante le nuove restrizioni. Altre, invece, appaiono rassegnate a dover porre fine al loro mercato, con tutto ciò che questo comporterà. Per quanto ci riguarda, nell’attesa di vedere ciò che accadrà nei prossimi mesi, abbiamo deciso di proseguire la nostra attività conservando in azienda i frutti della nostra produzione».

Immaginiamo che ovviamente non starete con le mani in mano e che le associazioni di categoria sono pronte a dare battaglia. Cosa potete dirci al riguardo? «Assolutamente. Non ci diamo per vinti e siamo certi che la partita sia tutt’altro che conclusa. Sono tante le associazioni di categoria che si sono mosse per tempo. Posso citare la Cia e Confagricoltura, che si sono attivate immediatamente per chiedere al governo di tornare sui propri passi. Una cosa è certa: qualcosa andrà fatto, anche a livello europeo, perché altrimenti il rischio è che l’intero comparto collassi in breve tempo e non credo si possa accettare che vadano in fumo centinaia di aziende con tutto ciò comporterebbe sul piano economico e occupazionale. Resta soltanto da vedere, da qui a quando si troverà una soluzione, in quanti saranno riusciti a resistere».

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