di Lara Vannini – Nella nostra contemporaneità l’inizio dell’anno è sempre percepito come un tempo di grande attività, viene compilata la lista dei buoni propositi e ognuno di noi cerca di rimediare alle mancanze dell’anno appena trascorso. Per i nostri nonni gennaio era il mese del “riposo forzoso”, le attività dei campi erano ferme per le abbondanti nevicate e si attendeva l’arrivo di una stagione più mite. Nonostante ciò gennaio era un mese importante, di previsioni e bilanci e, già nel calendario romano, questo mese era dedicato a “Giano”, il Dio a due facce: una che guardava l’anno appena trascorso e l’altra proiettata al futuro.
A gennaio veniva celebrata la festa di S. Antonio Abate protettore degli animali.
In realtà i Santi, non solo erano molto venerati nel mondo rurale ma scandivano il lavoro dei campi e quindi proteggevano il contadino indicandogli quando era il momento di porre in essere una certa attività. Molti Santi di gennaio come S. Antonio, S. Sebastiano o S. Vincenzo venivano invocati contro malattie e calamità naturali e questo la dice lunga sulle preoccupazioni dei contadini.
S. Antonio, la cui ricorrenza è il 17 gennaio, viene comunemente ritenuto il Santo della neve, dal momento che nel periodo in cui ricorre, soprattutto in montagna, la neve cade copiosa. Era infatti comune il detto «per S. Antonio gran freddura, per S. Lorenzo gran calura, l’uno o l’altro poco dura», per indicare che le date del 17 gennaio e del 10 agosto erano ritenute nell’immaginario popolare i punti estremi di freddo e di caldo, poi la temperatura sarebbe mutata in poco tempo.
I contadini erano molto attenti allo scorrere delle stagioni e alle condizioni climatiche perché da queste dipendevano i raccolti. Erano preoccupati dal “gelo”, ma allo stesso tempo ritenevano la neve di grande importanza per orti e campi coltivati.
Era opinione comune che il terreno restando sotto la neve per giorni e giorni aveva la possibilità di assorbire l’acqua in maniera corretta e capillare, grazie alla neve che si scioglieva piano piano, a differenza della pioggia che arrivava violenta e sovrabbondante.
Ma chi era S. Antonio Abate e perché era un Santo tanto venerato dai contadini?
S. Antonio è un Santo anacoreta ovvero un religioso che visse una vita ascetica fatta di preghiera e solitudine. Era molto venerato in ambito rurale perché era ritenuto protettore degli animali ma anche il Santo taumaturgo ovvero colui che era in grado di guarire miracolosamente le malattie.
Comunemente S. Antonio è ritratto insieme ad un curioso maialino che reca una campanella al collo, questo perché l’antico Ordine Ospedaliero degli Antoniani ebbe, in accordo con il Papa, il permesso di allevare i maialini nel centro del villaggio per poterne sfruttare il grasso come unguento e curare una terribile malattia che provocava un bruciore insopportabile. I maialini erano intoccabili e per riconoscerli dagli altri animali venivano dotati di un campanellino, quasi fossero sacri. La terribile malattia del fuoco, oggi è nota come Herpes zoster viene ancora comunemente definita “fuoco di S. Antonio”, una patologia che un tempo era lenita da impacchi di grasso di maiale. S. Antonio si lega così al concetto del fuoco anche perché sempre secondo la tradizione, sembra fosse sceso addirittura all’Inferno per contendere con il diavolo le anime dei peccatori.
Nella tradizione popolare contadina, la notte del 16 gennaio si accendevano dei grandi falò nei pressi delle stalle, a preannunciare l’imminente festa di S. Antonio.
Le stalle erano luoghi importanti nei mesi invernali per più di una motivazione: luoghi di lavoro ma anche di veglia dal momento che gli animali con il loro respiro riuscivano a riscaldare l’ambiente. Non di rado è ancora possibile trovare in qualche stalla d’altri tempi, l’effige di S. Antonio.
Il 17 gennaio, giorno della ricorrenza, il parroco benediceva il bestiame alle stalle o per praticità nello spazio antistante alla Chiesa. Chi non poteva portare i propri animali alla benedizione, lasciava le porte delle stalle aperte perché si diceva che le preghiere “passassero i sette muri”. A volte davanti alla Chiesa veniva portata la biada senza gli animali e il parroco la benediceva prima della messa.
La festa di S. Antonio era molto sentita perché gli animali erano una importantissima fonte di sostentamento, per i prodotti che potevano generare e per il fatto che potevano essere preziosi alimenti. Per questo anche chi non frequentava la Chiesa era portato a santificare la festa di S. Antonio.
Come abbiamo già detto, i Santi hanno sempre giocato un ruolo centrale nel calendario contadino. Il 20 gennaio ad esempio veniva ricordato S. Sebastiano, anch’egli venerato per proteggersi dalle epidemie. Dal punto di vista climatico si riteneva che dal 20 gennaio in poi, le ore di luce aumentassero e che fosse possibile fare una previsione sul prossimo raccolto. Infatti esiste il detto: «per S. Sebastiano sali il monte e guarda il piano se vedi molto spera poco se vedi poco spera molto», riferendosi ai germogli delle foglie del grano.
Il 22 gennaio per San Vincenzo, protettore dei vignaiuoli, era comune il detto: «l’inverno mette i denti», a preannunciare i fatidici “giorni della Merla”, ritenuti i giorni più freddi dell’anno. Narra la leggenda che in un passato molto lontano, i merli fossero degli uccelli dal piumaggio candido.Un anno arrivò un inverno rigidissimo che costrinse una merla con i suoi piccoli a ripararsi all’interno di un comignolo. Trascorsi quei terribili tre giorni, la merla riuscì a trarre in salvo sé stessa e la prole ma si accorse con grande meraviglia che il proprio piumaggio era diventato completamente nero a causa della fuliggine. Da allora i merli nascono sempre con il piumaggio scuro.
Aiutati dai Santi e dai loro insegnamenti, immergiamoci in questo nuovo 2022 e come insegna Seneca: «Ogni giorno per me è l’inizio e io cerco di propiziarmelo con buoni pensieri che liberano l’animo dalle meschinità».