di Federica Andretta – Era il 1977 quando apparve per la prima volta sul piccolo schermo Sbirulino, l’indimenticabile clown interpretato dalla grandissima Sandra Mondaini; si trattava di “Noi… no!”, varietà televisivo condotto da Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Poi arrivò nel 1978 “Io e la Befana”, varietà associato alla “Lotteria di Capodanno” (ora “Lotteria Italia”) e poi nel 1982 l’apice del successo con “Il Circo di Sbirulino”, programma che lo rese per sempre immortale agli occhi del suo pubblico. Dunque, non solo icona televisiva ma anche e soprattutto simbolo rimasto nel cuore di intere generazioni, amatissimo da grandi e piccini. Ma non tutti forse sanno che questo buffo e grazioso personaggio dal cuore tenero e dall’aria allegra che tanto ci ha fatto divertire con i suoi memorabili sketch riprende il proprio nome dal termine milanese “sbirul” che in italiano significa appunto “sbilenco”, “storto”. Inoltre, Sbirulino è ispirato al celebre pagliaccio Scaramacai della televisione impersonato dall’attrice Pinuccia Nava tra gli Anni ‘50 e ‘60.
Tuttavia, la figura del clown non ha «vestito” soltanto volti noti dello spettacolo, professionisti del mondo circense o semplicemente degli appassionati. Quello del clown non è infatti solo un travestimento e una forma di intrattenimento, ma è molto di più: è una «missione». Una missione del sorriso.
Il clown si trasforma così in un terapeuta del sorriso che opera in vari contesti socioculturali. È il caso del gruppo clown “I Giulivi” della Pubblica Assistenza Casentino (con sede a Rassina), nato nel 2006. Quest’anno organizza “Attenzione… clown in corso! la gentilezza in un sorriso”, un corso di formazione gratuito di clownterapia per volontari della durata di 60 ore distribuite in cinque moduli (più una serata extra) che si svolgeranno tra maggio e giugno.
Per scoprirne di più, abbiamo intervistato le volontarie Deborah Giunti e Vania Giovenali del gruppo clown “I Giulivi”.
Come nasce l’impegno portato avanti dal gruppo clown “I Giulivi”? «La nostra azione nasce dal desiderio di portare un momento di sollievo nei vari contesti di dolore, di disagio sociale e di emergenza (di protezione civile) attraverso il sorriso, la gentilezza, il gioco e l’ascolto che sono elementi distintivi della nostra concezione di Accoglienza. Dopo un roseo e lungo periodo che ci ha visti in tanti clown dottori impegnati nelle nostre attività, con il turn over dei volontari, che per certi versi è fisiologico quando si parla di volontariato, il nostro gruppo si è ridimensionato notevolmente a tal punto che oggi riusciamo a portare avanti la nostra azione solo presso l’ospedale di Bibbiena (nei vari reparti) e presso il centro Vincenziani di Arezzo, in cui facciamo attività con i bambini delle famiglie che si rivolgono al centro».
Sogni per il futuro? «Vorremmo riuscire ad aumentare questi servizi e ampliare i nostri interventi presso le varie strutture del territorio casentinese e della provincia di Arezzo quali ad esempio: case di riposo, centri diurni per persone diversamente abili, centri di accoglienza per minori».
Quali attività avete realizzato in passato? «Negli anni abbiamo realizzato molti progetti, alcuni dei quali per noi sono stati particolarmente importanti: nel 2007 partecipazione all’iniziativa “Buone Compagnie” Anpas, un progetto dedicato agli ospiti di alcune strutture in ambito regionale quali ad esempio l’ex-ospedale psichiatrico di Montelupo e l’RSA di Pontassieve. negli anni 2008 e 2009 i viaggi in Palestina che ci hanno visti impegnati presso il Caritas Baby Hospital di Betlemme, un centro per il recupero dei bambini vittime delle violenze-torture, in centri di accoglienza e campi estivi per bambini ad Hebron, Jeriko e Ramallah. Nel 2012 emergenza di protezione civile per l’evento calamitoso riguardante il terremoto a Mirandola (Emilia-Romagna)».
Quanto è fondamentale la figura del clown in ambito terapeutico? «La letteratura scientifica degli ultimi anni mette in evidenza la funzione psicopedagogica del clown e l’importanza del gioco a livello terapeutico, per questo motivo l’attività di clownterapia per le sue peculiarità di valenza psicologica, sanitaria e sociale non può essere svolta senza una specifica preparazione. Sempre più spesso ai volontari nel settore sociosanitario vengono richieste competenze senza curare abbastanza l’aspetto della relazione; la possibilità di rivolgersi con un approccio diverso può dare un valore aggiunto alla loro attività. In questa epoca così disastrosamente ego-centrata desideriamo andare controcorrente mettendo al centro la sensibilità dell’uomo».
Come nasce il vostro percorso formativo? «Il nostro progetto di formazione nasce dalla nostra storia e dalla voglia di continuare ad essere una presenza fatta di azioni, colori e suoni al servizio della comunità e del nostro territorio. Per fare questo occorre cercare nuove persone che si avvicinino alla nostra realtà e formarle allo scopo, per cui abbiamo pensato di organizzare un corso da sviluppare in moduli formativi che trovano la loro realizzazione nell’area artistica, psicologica e sanitaria. La nostra attività, infatti, per le sue peculiarità non può essere svolta senza una specifica preparazione».
È il primo corso di formazione che organizzate? «Questo non è il primo corso di formazione che noi facciamo. Nel tempo ne abbiamo fatti diversi partecipando ai bandi Cesvot che ci hanno dato la possibilità di creare veramente dei corsi di formazione importanti. Negli ultimi anni ci siamo limitati a fare una formazione interna al gruppo non rivolta a persone esterne, ma questa volta l’abbiamo destinata sia a volontari anche di altre associazioni sia a persone esterne che magari non hanno mai fatto nessun tipo di volontariato e che vogliono approcciarsi alla clownterapia. Ci siamo avvalsi appunto dell’aiuto di finanziatori del territorio che hanno creduto nel nostro progetto. Speriamo di avere le stesse possibilità anche in futuro».
Che cosa vi aspettate da questo corso? «La nostra aspettativa è quella di formare nuovi volontari che possano trovare nel nostro gruppo il setting ideale in cui riconoscersi così da poter svolgere l’attività clown nei vari ambiti quali: ospedali, case di riposo, centri di accoglienza, centri diurni per disabili o anziani… il nostro obiettivo è quello di formare volontari che indipendentemente dal settore in cui già operano e sono specializzati, o intendano specializzarsi, riescano a trovare nel sorriso e nella gentilezza dei possibili approcci nella relazione con l’altro, sia esso paziente, familiare, personale sanitario e/o di struttura…. Intendiamo proporre una formazione mirata alla clownterapia con l’intento di fornire al corsista strumenti e spunti di riflessione tali da acquisire quell’armonia e sicurezza propedeutici alla propria azione: «saper essere» come attenzione, ascolto e presenza emotiva; «saper fare» come utilizzo appropriato di strumenti, materiali e metodi appresi.»
I volontari verranno preparati per rivolgersi ad un’utenza prettamente anziana, affetta da disabilità, o a confrontarsi anche con un’utenza più giovane? «Il nostro corso non è prettamente legato all’azione con le persone anziane che comunque possono avere delle patologie particolari, ma è diciamo un corso a 360°. Intendiamo formare volontari che facciano clownterapia nei vari ambiti che possono riguardare i bambini, gli adulti, gli anziani, la diversabilità e quant’altro e anche il disagio sociale».
Dove si svolgerà il corso? «Si svolgerà presso i seguenti luoghi: la struttura ricettiva Circolo Arci nella località di Carda; la Casa Vacanze “Castello di Sarna”; l’Associazione Ricreativa – Culturale Kontagio di Poppi e la sede della Pubblica Assistenza Casentino di Rassina». Quali saranno i relatori? «André Casaca: formatore, clown e regista teatrale fondatore del Teatro C’art. Flavia Marco: coordinatrice, formatrice, clown, fondatrice e direttrice del Teatro do Sopro. Luca Mauceri: musicista, attore teatrale e formatore. Damiana Luzzi: consulente ICT e GDPR. Paola Baracchi Crespi: Dottoressa in fisioterapia. Vania Giovenali, Deborah Giunti e Mirko Brigidi: volontari clown del gruppo clown “I Giulivi”».
Chi ha finanziato il progetto? «Tesar, Freschi & Vangelisti e un’altra importante azienda del territorio sono stati tra i finanziatori. Oltre al loro contributo, abbiamo ricevuto un’importante donazione da una coppia di volontari a noi molto legata».
Come si svolgerà la serata finale del 20 giugno? «Ci sarà la presentazione del libro di Flavia Marco intitolato “Una bella visita – Interazione con gli anziani affetti da demenza”; si tratta di qualcosa di extra al corso. È una serata che abbiamo deciso di organizzare per dare la possibilità a Flavia di far conoscere il proprio libro. Ma ci tengo a precisare che non è legato al corso. Diciamo che il libro affronta un tema di cui avremo modo di parlare durante il corso in quel fine settimana».