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sabato, 27 Luglio 2024

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Cifre, percentuali, fatti legati ai mondi che si celano dietro le sbarre

di Mauro Meschini – Facciamo un salto indietro di qualche secolo per ritrovare parole che crediamo siano ancora molto attuali. “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. È una frase di Voltaire, probabilmente scritta pensando al suo mondo. Ma se provassimo adesso a interrogarci su carceri e altri luoghi deputati a tenere separati, segregati, isolati… cosa arriveremmo a pensare?

Forse non tutti sono informati su questo argomento ma, guardando sia vicino che lontano da noi, possiamo e dobbiamo purtroppo dire che questo è stato un tragico inizio di anno. Gennaio è il mese dedicato a fare il bilancio dell’anno appena concluso, bene nel 2023 in Italia ci sono stati 68 suicidi in carcere, mentre nel 2024, ad oggi mentre scriviamo, leggiamo che, al 16 febbraio, si contano già 20 suicidi in carcere. È solo per statistica, ma se in questo anno il trend non si arrestasse le vittime potrebbe diventare circa 156. Un numero agghiacciante. Parlando ancora del 2023 nelle carceri italiane a fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili, al 30 novembre, i detenuti erano 60.116 (fonte: rapporto Antigone). Noi pensiamo che siano numeri che dovrebbero indignare, scandalizzare, far riflettere.

Soprattutto pensando a quello che dovrebbe essere, a quello che afferma la nostra Costituzione all’art. 27: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Poche righe queste che tracciano in maniera chiara e netta ciò che dovrebbe essere realizzato in un Paese civile. Al 31 dicembre 2023 circa il 25% dei detenuti non ha ancora avuto una sentenza definitiva, e su 60.166 reclusi 9259 sono in attesa del primo giudizio (fonte: Ministero della Giustizia). Ancora numeri che tracciano una realtà malata che non può essere in grado di svolgere la funzione che la Costituzione le affida. Ma il problema dei numeri è che possono sembrare anonimi, possono passare senza che sia dedicato loro la giusta attenzione.

Le immagini hanno un altro impatto, rimangono impresse, come quelle che sono state riprese nel carcere di Reggio Emilia. Lo ammettiamo non abbiamo voluto vedere quelle sequenze registrate dalle telecamere interne, ci è sembrato sufficiente leggere la sintesi di ciò che ritraevano. Un detenuto è stato incappucciato e picchiato da un gruppo di agenti della Polizia Penitenziaria dopo essere stato messo pancia a terra con uno sgambetto. Quindi preso a pugni sul volto e sul costato, calpestato con gli scarponi, trattenuto alcuni minuti per braccia e gambe.

Le immagini hanno fatto il giro del mondo come è stato per quelle che mostravano Ilaria Salis, una ragazza italiana da un anno detenuta, in condizioni vergognose, senza aver subito nessuna condanna, in un carcere ungherese. Lei è stata portata in aula in occasione della prima udienza del processo con i ceppi alle mani e ai piedi, tenuta per una catena legata al collo dai poliziotti. Un sistema giudiziario che ha questi comportamenti verso le persone che pretende di giudicare come può essere di esempio? Come può essere autorevole?

Ma forse vuole essere solo autoritario, incutere paura, mostrare la propria forza, specialmente sui più deboli, sui disgraziati che, ai loro tanti e immensi problemi, riescono molte volte ad aggiungere anche i guai con il sistema penale. Ma c’è anche chi, sicuramente, non ha fatto niente e viene comunque collocato dietro ad alte sbarre. Sono i “clandestini”, gli “immigrati irregolari”, un pezzo di umanità da tenere anch’esso separato e per i quali, non potendo usare le carceri si sono costruite strutture che ci somigliano molto, i CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri) luoghi in cui, dopo il Decreto Cutro del Governo Meloni, la permanenza è stata estesa da 3 a 18 mesi, un tempo infinito da trascorrere chiusi dentro una gabbia senza aver commesso nessun reato.

Nelle scorse settimane un cittadino della Guinea di 22 anni si è tolto la vita, impiccandosi con un lenzuolo, all’interno del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Ponte Galeria. Il giovane era da pochi giorni arrivato al CPR dalla Sicilia. Un’altra storia di morte, un’altra vita spezzata in un non luogo che nega umanità e rispetto per le persone. Abbiamo fatto questo breve viaggio dentro alcuni dei mondi che si celano dietro le sbarre, portando cifre e raccontando vicende avvenute in un brevissimo arco di tempo.

Ci eravamo chiesti all’inizio se questo ci avrebbe spinto a interrogarci o ci avrebbe portato a cambiare qualcosa del nostro modo di pensare o di considerare queste realtà. Crediamo che sarebbe già importante almeno fare in modo di rendere subito meno tragico questo 2024.

Scuola Società sognando futuri possibili è una rubrica a cura di Sefora Giovannetti e Mauro Meschini

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