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domenica, 4 Maggio 2025

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«Donne, è arrivato l’arrotino…»

di Lara Vannini – «Donne è arrivato l’arrotino e l’ombrellaio, affiliamo coltelli, forbici, forbicine…ripariamo cucine a gas…». Come non ricordare quella voce metallica, nettamente scandita, ed estremamente allegra che arrivava nei paesi da ogni dove, e richiamava le persone che potevano così affilare i loro strumenti da lavoro più preziosi o riparare un oggetto quasi di lusso come l’ombrello.

L’arrotino con la sua inconfondibile attrezzatura si posizionava nei punti più strategici dei paesi e iniziava il proprio lavoro, per certi aspetti ipnotico e frutto di tanta esperienza. Dalla casa colonica alle strade acciottolate, quando arrivava l’arrotino e l’ombrellaio, i bambini correvano immediatamente ad avvisare chi di dovere e ripetevano all’infinito il popolare slogan pubblicitario che diventava come una filastrocca da canticchiare in allegria.

L’arrotino era un ambulante, e si spostava generalmente con un carretto sul quale erano montati gli strumenti da lavoro, in particolare le mole da affilatura che, come altri preziosi strumenti del passato, venivano tramandate di padre in figlio diventando uniche custodi della sapienza manuale del proprietario.

Su e giù tra stradine assolate e cattivo tempo Come tutti i lavori itineranti del passato, quello dell’arrotino era un mestiere molto usurante anche perché era un lavoro ambulante e quindi l’arrotino doveva girare da un paese all’altro in cerca di clienti.

Inoltre doveva difendere la propria clientela dalla concorrenza. Su e giù per stradine irte, acciottolate, fangose, con il sole o il brutto tempo, l’arrotino non poteva permettersi il lusso di fermarsi, ma era una figura quasi magica, capace di conoscere un’infinità di persone e di intrecciare la propria vita con quella di tutti i suoi “utenti”.

Oggi difficilmente ci sono case aperte per gli sconosciuti e purtroppo la diffidenza ha preso il sopravvento a causa dei numerosi fatti di cronaca che ogni giorno ci vengono raccontati, ma nel passato, sostare, pranzare o addirittura pernottare a casa di altri era una pratica molto comune perché i mezzi pubblici erano scarsi, molti chilometri si facevano a piedi o a dorso di qualche animale e spesso se c’era molta distanza dall’abitazione non si rientrava a casa per dormire. Su queste basi l’arrotino erano l’amico di tutti, una figura che viveva la propria vita girando il suo piccolo mondo e intessendo numerose relazioni.

L’arrotino se era sapiente e competitivo aveva lavoro tutto l’anno perché un tempo avere strumenti da lavoro affilati, significava lavorare veloce e bene. Dai coltelli alle lame degli attrezzi agricoli, lame per tosare gli animali, la potatura, la vita lavorativa del contadino ruotava intorno al concetto del “taglio” e quindi alla necessità di avere a portata di mano una serie importante di strumenti. Oggi il lavoro manuale è minoritario rispetto a quello d’intelletto e ci serviamo di innumerevoli figure professionali per svolgere le attività che ci occorrono.

Un tempo non era così e ogni nucleo familiare era estremamente autonomo in tutto, dal lavoro alle riparazioni domestiche, alla cura dei campi, orti e giardini. È chiaro che nelle stalle e nelle cantine era necessario avere “lame affilate” e pronte ad ogni incombenza.

La tecnica per una affilatura perfetta Trovato l’angolo di paese più strategico da cui attrarre la clientela, l’arrotino iniziava il proprio lavoro. Generalmente l’attrezzatura dell’arrotino era costituita da una mola più grande per affilare e una più piccola per lucidare. Per l’affilatura dei coltelli serviva anche l’acqua. Il carretto dell’arrotino era dotato di una grossa ruota di legno, rivestita da un cerchione in ferro e collegata ad una ruota più piccola di pietra abrasiva su cui si affilavano i coltelli. L’affilatura doveva seguire precisi criteri che solo l’artigiano esperto sapeva mettere in pratica come ad esempio l’inclinazione della lama sulla mola per non sciuparla e portarla sapientemente “a taglio”.

L’ombrellaio In genere arrotino e ombrellaio erano la stessa figura professionale anche perché il mestiere dell’ombrellaio era stagionale e relegato ai mesi più piovosi. Oggi in questa epoca di usa e getta fa quasi sorridere pensare di riparare un ombrello, ma come abbiamo già detto, un tempo possedere un ombrello era già di per se stesso un bene di lusso. Esistevano generalmente due tipi di ombrelli: “da pecoraio” e civile.

L’ombrellaio aveva il compito di: rattoppare la tela dell’ombrello, riparare le stecche, e riparare o sostituire il manico. Come è facile pensare di soli ombrelli riparati non si poteva campare perché chiaramente chi riparava il proprio ombrello non aveva soldi per comprarne uno nuovo e quindi questo tipo di servizio non era molto remunerativo, per questo spesso si legava a quello dell’arrotino.

Curiosamente, come suggerisce anche l’etimologia del termine ombrello, questo strumento è stato inventato per riparare dal calore solare e per questo sembra sia nato in Estremo Oriente dove il sole è sempre molto forte e dannoso.

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