di Matteo Bertelli – Certe volte per apprezzarle veramente le cose bisogna andare da un’altra parte, voltarsi indietro e vederle da lontano. A quel punto è tutto più nitido e le emozioni che prima erano un garbuglio contorto si sciolgono in linea retta, un po’ come le cuffie che, tolte arricciate dalle tasche, tornano ad essere un filo senza nodi.
Ecco perché viaggiamo. Ecco dove sta il segreto arcano che spinge molti a prendere e partire. Un giorno, un fine settimana, le ferie, tutta la vita. Non è una scriminante la durata, importa solamente avere quella sana voglia di provare qualcosa che, nei soliti luoghi di sempre, non si può provare.
È proprio per questo che abbiamo deciso di chiedere a Mirko Mengoni, un giovane casentinese classe ’93, cosa ha provato nel suo ultimo viaggio. Un viaggio particolare, che già solo a parlarne porta alla mente immaginari poetici e selvaggi: in solitaria sulla propria moto, tra le curve strette a ridosso di quei muri rocciosi che uniscono l’Italia e la Francia.
Mirko, abbiamo anticipato un po’ il tuo viaggio ma chi meglio di te può accompagnarci nella piena esperienza di qualcosa che, ammettiamolo, più che letto andrebbe vissuto. Chissà se magari, sfogliando queste pagine, la tua storia non sia di ispirazione a qualcuno che ha una voglia irrefrenabile di provare determinate emozioni e non riesce ancora a capire come fare a soddisfare questo bisogno. Partiamo da lontano: per fare un viaggio così, presumo, serva qualcosa in più della semplice patente, chiamiamola, per usare un eufemismo, passione. Da quanto è che la coltivi? E come? «La passione per la moto è un vizio di famiglia. Mio padre, Beppe, me l’ha trasmessa da quando ero poco più che un bambino, alimentandola come un seme in un terreno fertile. Poi negli anni ci ho messo del mio per farla sbocciare: prima con moto da enduro, di cui ho ricordi adrenalinici, poi con moto da strada, per poter godere del viaggio appieno. Solo ultimamente mi sono deciso a fare un passo ulteriore, forse nell’indecisione, acquistando una modo Adventure, che è un mix di entrambe».
E presumo sia stata lei la tua compagna di avventure in questa recente esperienza. Ma è una moto che può ospitare altre persone? È stata una scelta partire da solo o una necessità? «Nonostante sia pensata per viaggiare anche con un passeggero questa volta ho deciso di partire da solo. Solitamente condivido la sella con la mia ragazza ma, essendo il viaggio molto lungo e su strade prevalentemente sterrate, abbiamo preferito entrambi propendere per il viaggio in solitaria: nessuno dei due si sarebbe goduto veramente il viaggio, troppa scomodità!»
L’abbiamo detto in apertura di articolo e queste tue parole sembrano rafforzare questo concetto del lato selvaggio del viaggio in moto. Ma, per essere ancora più precisi e dare i giusti stimoli all’immaginazione dei lettori, ci vuoi dare una visione più chiara di questa tua avventura? «Tutto è nato quest’estate quando è sorta all’improvviso la necessità di partire e vivere una vera e propria avventura: raggiungere la Francia, percorrendo passi di montagna poco battuti e a quote elevate, dormendo in tenda, senza alcuno studio strategico alle spalle sulla località dove mi sarei fermato. Una vera esperienza di viaggio che è durata circa una settimana. Nello specifico, ho percorso il valico alpino del Colle del Sommeiler, a quota 2993 mt, uno dei punti raggiungibili dai mezzi motorizzati più alto d’Europa. Successivamente ho risalito monte Jafferau e il quarto giorno ho deciso di percorrere la Via del Sale, una strada militare che collega le Alpi piemontesi e francesi al Mar Ligure e che si snoda tra i 1800 e 2100 mt di quota di tracciato interamente sterrato. Durante il ritorno, mai domo, ho deciso di fare tappa a Courmayeur; da lì parte un itinerario da percorrere a piedi per arrivare in cima al piccolo Bianco. Dopo circa 4 ore sono arrivato al Bivacco Rainetto, oltre 3000 mt, dove ho dormito con il Monte Bianco alle mie spalle».
Credo che il modo migliore per leggere questo articolo sia tutto di un fiato, senza prendere pause, e con l’anima aperta chiudere gli occhi, per vedere quelle stesse immagini che hai visto tu viaggiando. Ma, consigli di lettura a parte, chiederti come hai vissuto quest’esperienza, cosa hai provato, quali sono state le sensazioni che ti porti a casa, in Casentino, è d’obbligo… «Per quanto debba ammettere che sia stato un viaggio faticoso a livello fisico, tutta la fatica è stata ripagata, in primis, dalla soddisfazione di avercela fatta. Il secondo pensiero che mi viene in mente è che non vedo l’ora di ripartire; ho già in mente l’itinerario della prossima avventura: raggiungere l’oceano attraversando i Pirenei. Ma poi, più di tutti, quello che adoro di questi viaggi è la libertà. Quella sensazione pura di non dover rendere conto a nessuno, di non avere orari né vincoli».
Un’altra affermazione che credo valga da sola la fatica di un’esperienza simile. La libertà di poter viaggiare, viaggiare per sentirsi liberi. Dopo anni di pandemia come quelli che abbiamo passato non è un concetto da considerare di poco conto. Ti voglio però chiedere un’ultima cosa: di tutti i paesaggi che hai visto, di tutti gli odori che hai sentito, delle sensazioni che hai provato, qual è stato il momento più bello? «Non è semplice rispondere a questa domanda. Come ho già detto è stata un’esperienza piena di momenti fantastici, sia per la bellezza dei luoghi che ho visitato, sia nella modalità in cui l’ho fatto. Ma se dovessi scegliere quale momento raccontare per convincere un altro a partire per un’avventura simile direi sicuramente questo: immaginatevi una sera estiva, a 3000 mt di altitudine, con le stelle che dipingono il cielo, dopo una giornata di soddisfacenti fatiche, finalmente, vi sdraiate, da soli, nel rifugio, consapevoli che quella che avete vissuto è stata una bellissima giornata e che, sicuramente, quella di domani lo sarà ancora di più».