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sabato, 24 Maggio 2025
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Se l’amianto è sostenibile

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VOLLEY PALLAVOLO. Consar Ravenna - Consoli Sferc Brescia.

di Francesca Corsetti – In ambito di economica circolare, una start up italiana si è recentemente distinta vincendo il Premio per lo Sviluppo Sostenibile 2023 alla Fiera di Ecomondo, una delle manifestazioni principali per la transizione ecologica: stiamo parlando del progetto CIRTAA, cioè del Centro Internazionale delle Ricerche sul Trattamento e Applicazioni dell’Asbesto, con sede in Sicilia. Grazie all’esperienza e alla ricerca del fondatore e amministratore unico, il casentinese Paolo Tuccitto (nella foto mentre riceve un premio per la sua attività), CIRTAA propone di trasformare l’amianto, noto per la sua pericolosità, in una preziosa materia prima.

Tuccitto, che da anni collabora con l’Università di Siena, l’università Milano Bicocca e l’Università di Catania, è titolare di vari brevetti sui processi per l’inertizzazione dell’amianto, in Italia (UIBM) e all’estero (EPU). Ci siamo rivolti a lui per ottenere informazioni dettagliate sul suo lavoro e sui progetti in corso, esplorando al contempo le sue scoperte innovative.

«CIRTAA si occupa di sviluppare quello che sono le mie invenzioni, è uno strumento con cui le metto a punto. Lo scopo è quello di studiare applicazioni su come può essere utilizzato l’amianto e sull’operazione che possono renderlo inerte; quindi, come prima cosa, dobbiamo occuparci di renderlo non pericoloso, poi ne studiamo le applicazioni. Le applicazioni che io ho brevettato sono le materie prime critiche e strategiche: io riesco a estrarre dall’amianto alcune di queste».

L’amianto, per le sue caratteristiche e i bassi costi di lavorazione, è stato utilizzato nel tempo in numerosi campi e in oltre tremila tipologie di prodotti. «È l’unica roccia che si può tessere, perché ha un aspetto fibroso e gli antichi ne facevano i tessuti. Ad esempio, vi avvolgevano i defunti, e poi lo usavano nella cremazione per separare le ceneri. Oppure veniva usato nei vasi ceramici: molti vasi che sono riusciti ad arrivare ai giorni nostri contengono amianto» che, non a caso, significa “incorruttibile”.

«Un altro esempio è il cemento che è stato usato per la costruzione del Pantheon o del Colosseo, cementi che contenevano amianto, che li ha fatti durare nel tempo. Negli anni si è poi scoperto che era cancerogeno: già agli inizi del Novecento si sapeva che chi lavorava l’amianto aveva vita più breve, ma ci sono voluti decenni per vietarlo». Fu, infatti, la legge numero 257 del 27 marzo 1992 a dettare le norme per la cessazione dell’impiego dell’amianto e per il suo smaltimento controllato.

Oggi invece, l’amianto non fa più paura. Continua Tuccitto: «l’amianto è principalmente formato da silicio e magnesio: sono materie prime tra quelle più importanti perché il silicio serve, ad esempio, per produrre i pannelli solari, ma viene utilizzato anche in agricoltura o come integratore. Anche il magnesio viene ricavato da minerali che lo contengono, e principalmente parliamo di amianto. Paradossalmente, è quello che ne contiene più di tutti: viene estratto utilizzando degli impianti termici e può essere quindi utilizzato nell’industria farmaceutica o anche nell’industria bellica , già a inizio del Novecento, essendo altamente infiammabile, il magnesio veniva usato per produrre le bombe incendiarie».

Quindi, una volta inertizzato, dall’amianto si possono produrre le materie prime critiche, ma si può utilizzare semplicemente anche il prodotto della trasformazione: la forsterite, un silicato di magnesio. «Sono stato uno dei primi a determinare la forsterite come biomateriale, o materiale bioinerte. Oggi, a distanza di qualche anno, ci sono sempre più pubblicazioni scientifiche che confermano la mia tesi: cioè, che la forsterite ha caratteristiche di elevata biocompatibilità ed è quindi un materiale che può essere riassorbito dal tessuto osseo e può rigenerarlo. Riesco dunque a produrre forsterite, materiale molto raro in natura, tant’è che è considerato materiale meteoritico, dal processo di inertizzazione dell’amianto che ho brevettato. Questa è stata l’invenzione per cui ho ricevuto il premio di Ecomondo».

Concentrandoci un po’ più sulle sue esperienze personali e professionali, come si è arrivati alla fondazione di CIRTAA? «Prima di questa start up ho avuto altre società che si occupavano sempre di inertizzazione, i primi brevetti risalgono al 2011. Nel 2015 ho creato una società negli Stati Uniti, poi un’altra in Italia, ed ero legato ad altre persone, sempre collaborando con grandi studi, ingegneri e chimici. Però, come succede anche nelle migliori famiglie, non sempre i rapporti sono sereni. Le società sono terminate e nel frattempo io mi sono dedicato ai miei studi, utilizzando la parte termica. Io ho fatto il commercialista per vent’anni, ma avevo come clienti grandi società che si occupano di termovalorizzatori, quindi grandi impianti termici. La mia esperienza è stata fondamentale. Ho utilizzato delle forme particolari di combustione, che sono utilizzate in ambito metallurgico per il trattamento dei metalli per particolari usi industriali, come i metalli preziosi, che devono essere trattati prima di essere venduti. In ambito metallurgico, per l’acciaio viene utilizzata questa particolare categoria di forni, chiamati forni ad atmosfera controllata perché utilizzano delle atmosfere in alta temperatura. Sono rari in Italia, ma molto sviluppati all’estero, e io li ho usati modificando i parametri di gas nelle miscele gassose utilizzate per la combustione e li ho adattati ai minerali, e non più ai metalli. Nel tempo sono riuscito a trovare la formula giusta per poter essere applicata anche negli amianti. Da lì, negli anni, è venuto fuori lo studio su come fare le varie applicazioni. I risultati hanno interesse da grandi gruppi. Un gruppo industriale che voleva fare un impianto con me è la Sei Toscana: nel 2019 avevo un contratto per realizzare un impianto, ma con il Covid è saltato. Sono stato avvicinato dalle acciaierie di Taranto o dall’Interporto di Gala, ma anche da gruppi petroliferi come Eni e altri, di cui non posso fare il nome, anche esteri».

Sappiamo adesso che per questa procedura vengono impiegati i forni ad atmosfera controllata, ma può parlarci meglio del processo che ha brevettato? «Uno dei miei soci costruisce quei forni da cinquant’anni, e sono ad oggi utilizzati nell’ambito metallurgico. Non è il forno che cambia, ma è il come può essere alimentato: le miscele di gas devono essere parametrate per quello che è il funzionamento, ma la tipologia di forno è la stessa. L’impianto non è rappresentato solo dal forno, ma anche da un sistema automatico di gestione. Tutta la movimentazione viene fatta in camere in depressione, che fanno sì che l’attività microbica e fibrotica rimanga confinata all’interno in modo da non contaminare l’esterno. Poi abbiamo un sistema di trattamento aria, una tecnologia finlandese per polarizzare l’aria: questo significa che l’aria non viene filtrata, ma caricata elettricamente e quindi viene catturata come se fosse una calamita. In questo modo siamo sicuri di trattenere tutte le fibre. Infatti, l’amianto ha fibre nanometriche e non esistono filtri che possano trattenere fibre così piccole, non essendoci questa tecnologia, mi avvalgo di un’altra: polarizzo le polveri e le fibre di amianto. Questo è il sistema che ho brevettato e serve per poter svolgere in sicurezza la lavorazione dell’amianto».

Quali sono quindi gli obiettivi futuri del progetto CIRTAA? «L’obiettivo è quello di realizzare un primo impianto sperimentale in collaborazione con università ed enti pubblici; quindi, al momento è molto importante individuare un sito idoneo, in Italia o all’estero. Ad oggi, il valore della materia prima prodotta dall’amianto varia dalle diverse decine di migliaia di euro al chilo. Le applicazioni sono molto ricercate, perché possono essere strategiche, per centrali nucleari, industria della difesa, elettronica, aerospaziale, biomateriali, ma anche per i metalli preziosi, perché la forsterite è un cristallo che si misura in carati (0,2 grammi), il cui valore più arrivare anche a cento euro al grammo. Quindi più che la sperimentazione è importante trovare il partner giusto, ci sono molte proposte che sto valutando, ma non è una scelta facile».

Tutto viene dalla terra

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di Marco Roselli – ll suolo è una risorsa limitata. Il suo impoverimento e conseguente degrado non sono recuperabili se non nel corso di moltissimi anni. Occorrono fino a 1000 anni per formare circa 3 cm di terra fertile, mentre oggi l’equivalente di un campo da calcio di suolo è eroso ogni 5 secondi.

La degradazione del suolo rappresenta una grave minaccia per il pianeta, poiché dai suoli dipendono una serie di servizi ecosistemici fondamentali per il benessere umano, come la protezione dell’ambiente e della biodiversità, la tutela del paesaggio, l’architettura e i processi urbani, oltre alle attività agricole senza le quali non possiamo nutrirci. Il 95% del cibo globale viene prodotto direttamente o indirettamente dal suolo, e con il tasso corrente di erosione si stima che circa il 90% dei suoli sarà a rischio entro il 2050, con tutte le conseguenze che si possono immaginare per la sicurezza alimentare globale. In Italia, il 28% dei terreni coltivabili è andato perso negli ultimi 25 anni.

Senza un’inversione di tendenza potremmo perdere la totalità della terra fertile e coltivabile entro i prossimi 60 anni. Con questa nota introduttiva si apre il rapporto sul suolo 2023, tenutosi a Bergamo lo scorso 5 dicembre da Re Soil Foundation, la Fondazione che nasce per salvaguardare uno dei beni più importanti e allo stesso tempo sottovalutati del Pianeta: il suolo. Promossa dall’Università di Bologna, Coldiretti, Novamont e Politecnico di Torino, la Fondazione si pone l’obiettivo di dare impulso a un reale cambiamento a partire dalla tutela del suolo e dal concetto chiave di rigenerazione territoriale.

Lo scopo di questo articolo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e gli amministratori affinché le pianificazioni urbane, artigianali e industriali, siano realizzate solo quando effettivamente necessarie affinché rechino il minor impatto possibile. Il rapporto entra nel dettaglio di molteplici aspetti che influenzano la conservazione ambientale, quindi, cercherò di fare una sintesi che metta in evidenza gli elementi che più comunemente sono all’attenzione anche dei non addetti ai lavori. In particolare, a livello globale e particolare, la “fotografia” della salute del suolo si focalizza sui seguenti aspetti: 1) impermeabilizzazione e copertura artificiale; 2) dissesto idrogeologico; 3) tenore di sostanza organica nei suoli; 4) inquinamento.

Per ragioni di spazio e per agevolare il lettore prenderò in esame solamente i fenomeni legati alla impermeabilizzazione ed al tenore di sostanza organica dei terreni, nonostante che tutti gli aspetti siano tra loro interconnessi. Infatti, se ci fermiamo a riflettere è facile accorgersi come il primo punto può favorire il secondo, mentre il quarto contribuisce a peggiorare la qualità dei terreni e, più in generale, della nostra vita.

Impermeabilizzazione e copertura artificiale Gli ultimi dati mostrano come il consumo di suolo – ovvero la copertura artificiale di aree naturali o semi naturali – continui a crescere in Italia e che questa crescita, negli ultimi anni, si stia intensificando. Infatti, non solo il rallentamento iniziato nel 2012 anche a causa della crisi economica è ormai terminato, ma oggi si assiste a un’importante accelerazione che, nel 2022, ha portato alla trasformazione del territorio agricolo e naturale in aree artificiali su ben 77 km2, il valore più alto degli ultimi 11 anni, il 10% in più di quello registrato l’anno precedente. L’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo in Europa, in quanto, comporta un rischio accresciuto di inondazioni, contribuisce ai cambiamenti climatici, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di terreni agricoli fertili e aree naturali e seminaturali, contribuisce insieme alla diffusione urbana alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio, soprattutto rurale e alla perdita delle capacità di regolazione dei cicli naturali e di mitigazione degli effetti termici locali.

Un suolo non coperto da cemento e asfalto può incamerare fino a 3.750 tonnellate di acqua per ettaro. La differenza di temperatura estiva registrata al suolo tra aree a copertura artificiale rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori medi maggiori di 2°C nelle città più grandi, ma può arrivare a superare i 5°C. La copertura artificiale del suolo è arrivata al 7,14% del territorio nazionale. La media UE è del 4,2%. Ma in Lombardia, Veneto e Campania, tre delle aree più fertili del Paese, si supera già il 10% di impermeabilizzazione.

La Toscana

Il Casentino Se valutiamo il Casentino, nell’arco di trenta anni, osserviamo come le coperture permanenti e le impermeabilizzazioni sono aumentate, con differenze tra comune e comune, mentre il comparto agricolo si è contratto. Sostanzialmente la valle fino ad Arezzo mantiene le proprie peculiarità, anche perché, purtroppo, i comuni montani soffrono il decremento demografico ed è più facile che dei terreni restino incolti anziché cementificati. Ciò non vuol dire che non si debba far meglio, anche in termini di qualità delle urbanizzazioni, soprattutto se sono previste delle opere a verde, spesso sopportate come un fastidioso onere a carico delle ditte appaltatrici. Non dovete dirci quanti alberi pianterete ma quanti riuscirete a farne sopravvivere.

Tenore di sostanza organica nei suoli e desertificazione Ai primi del novecento si stimava che la sostanza organica media nei terreni italiani fosse intorno al 4%. Nei tempi attuali, con la forte contrazione degli allevamenti e quindi con la carenza di letame, spesso non raggiungiamo il valore dell’1,5%. Questa carenza costituisce un grave problema perché senza sostanza organica umificata non si ha attività microbiologica e quindi la crescita delle piante è scarsa o comunque non adeguata alle proprie potenzialità genetiche. Tuttavia, anche in presenza di uno sviluppo e di una produzione – senza un equilibrato livello di tutti gli elementi necessari alla nutrizione – non si consegue una produzione di qualità (scadente valore biologico dell’alimento), oppure i vegetali sono maggiormente vulnerabili agli stress di natura biotica e abiotica. In oltre 3.000 analisi dei terreni effettuate dai Servizi di Sviluppo Agricolo per i quali lavoro da oltre 30 anni, solo in una piccola parte abbiamo riscontrato valori superiori all’1,5 % di sostanza organica, ciò significa che abbiamo a che fare con suoli poveri di questa fondamentale matrice della vita. Deve essere tenuto presente che la FAO ritiene che il processo di desertificazione interessi tutti quei suoli con un contenuto in carbonio organico inferiore all’1%, corrispondente a circa l’1,7% di sostanza organica. Senza sostanza organica e con il solo apporto dei fertilizzanti chimici si arriva ad una “sterilità” dei suoli che non può far altro che fornire alimenti di basso valore nutrizionale.

La sostanza organica del suolo è la più importante riserva di carbonio organico del Pianeta, maggiore di quello immagazzinato nella biosfera e nell’atmosfera. La sostanza organica ha un ruolo chiave nell’ecosistema terrestre, accumulandosi prevalentemente negli orizzonti più superficiali dei suoli e favorisce la presenza di organismi viventi e la biodiversità. Pertanto, essendo il ruolo del carbonio organico del suolo vitale per il funzionamento di questo ecosistema e quindi per la sua fertilità, una sua ulteriore diminuzione avrebbe conseguenze gravi sulla filiera della vita. Questo è uno dei motivi per cui oggi si parla così diffusamente di tecniche che possano favorire i processi di sequestro di carbonio organico nei suoli, ovvero forme di carbonio organico particolarmente stabili nei confronti della mineralizzazione. I processi che portano al sequestro del carbonio organico nel suolo si aprono attraverso il trasferimento di CO2 atmosferica nella biomassa vegetale e la conseguente conversione della biomassa in carbonio organico stabile, attraverso la formazione di complessi organo-minerali.

Pertanto, il sequestro del carbonio nel suolo si basa naturalmente sulla fotosintesi operata dalle piante per effettuare la fase iniziale della “rimozione” del carbonio dall’atmosfera. E’ dunque palese che gli alberi devono esserci e dove non ci sono devono essere piantati! Questi processi sono particolarmente rilevanti in ambiente forestale. Tuttavia, oggi, possiamo puntare ad aumentare la capacità di sequestro di CO2 sfruttando anche i sistemi agricoli che utilizzino pratiche agronomiche denominate carbon-farming capaci di favorire la stabilizzazione del carbonio organico presente nei residui colturali nel suolo sotto forma di sostanza organica. Non esiste una pratica di gestione universale per aumentare il sequestro di carbonio organico del suolo, ma, in generale, gli stock di carbonio organico possono essere migliorati da: a) pratiche che favoriscano l’apporto di carbonio organico al suolo b) riducendone il tasso relativo di perdita (come CO2) attraverso la mineralizzazione.

Si tenga presente che a fine 1800 (agli inizi dell’era industriale), la concentrazione di CO2 in atmosfera era di 280 ppmv (parti per milione di volume); di 330 ppmv a fine anni ’80 e di circa 420 ppmv nell’agosto del 2023, con un trend sempre crescente. Le principali cause di tale incremento sono da ricercarsi al cambiamento di destinazione d’uso dei suoli, che comporterebbe un aumento di emissioni annue stimate in 1,6 miliardi di tonnellate e all’utilizzo di combustibili fossili per 5,5 miliardi di tonnellate.

Nel marzo 2017 si è svolto a Roma presso la FAO, il Simposio Globale sul carbonio organico, nel quale si metteva in guardia contro i colossali impatti negativi per l’ambiente e le società umane se i massicci serbatoi di carbonio intrappolato nei suoli del Pianeta (stimati in almeno 1.500 miliardi di tonnellate) venissero rilasciati. Come noto, c’è più carbonio nel solo primo metro di suolo del pianeta di quanto non sia presente nell’atmosfera (770 miliardi di tonnellate) e in tutte le piante terrestri messe insieme, foreste incluse (550 miliardi di tonnellate). Una delle comunicazioni più significative del Simposio diceva: «Se non riusciamo a mantenere le nostre terre come serbatoi di carbonio, temo tutte queste discussioni e i negoziati per il contrasto ai cambiamenti climatici saranno stati vani e non possiamo permetterci di trascurare una risorsa che potrebbe essere una nostra preziosa alleata contro questi fenomeni estremi» Come a dire che gli incontri che si sono succeduti nel corso degli anni a livello mondiale potrebbero sortire effetti modesti se non ci prenderemo cura del suolo seriamente.

Le biomasse Nell’agricoltura “moderna”, a livello globale, gran parte degli elementi assorbiti dalle piante e inglobati nelle sostanze organiche destinate all’alimentazione umana e animale non ritornano al terreno come elementi organici in quanto, detti alimenti sono consumati lontano dai suoli (luoghi) di produzione. Partendo da queste osservazioni si sottolinea come il riutilizzo agronomico di biomasse di scarto, ricche in carbonio organico, rappresenta oggi uno dei migliori strumenti per apportare al suolo le quantità di carbonio organico necessarie a mantenere o migliorare la propria fertilità e funzionalità.

Potremmo dire che l’uso di biomasse organiche di varia origine e dei nutrienti in esse contenuti per la fertilizzazione dei suoli risponde ai principi basilari dell’ecologia. La fertilizzazione organica può essere uno strumento valido per invertire la rotta del depauperamento dei suoli, ma deve essere assolutamente inserita in un contesto sostenibile che permetta alle aziende di restare competitive a livello economico. Non avrebbe senso puntare sull’aumento di sostanza organica dei suoli se poi le aziende andassero fuori mercato costringendole alla chiusura; le matrici fertilizzanti, pertanto, devono essere a buon prezzo.

In provincia di Arezzo, avere un termovalorizzatore che produce compost di qualità a partire dagli scarti organici, rappresenta una risorsa strategica per fronteggiare la perdita di sostanza organica dei terreni, contrastare i cambiamenti climatici e sostenere il sistema agricolo. Sull’inquinamento non mi dilungherò, anche perché molti fenomeni sono evidenti a tutti, basti ricordare che durante il periodo di chiusura a causa del Covid, l’aria delle regioni maggiormente inquinate del nostro Paese si era ripulita.

L’importante è che rimaniamo onesti nelle valutazioni a riguardo dei cambiamenti climatici, in quanto, continuare a incolpare le scorregge delle mucche serve solamente a sviare l’attenzione rispetto alle reali cause dei problemi e ad incentivare torbidi progetti come quelli dei cibi sintetici sottoposti a brevetti. Nel periodo di serrata sopra ricordato, infatti, le mucche non andarono in ferie.

La calza della Befana

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Un’altra novella tratta da “Le Novelle della Nonna” di Emma Perodi (di cui la Fruska è l’editore italiano di riferimento). Vi regaliamo, in questo giorno, una storia sulla Befana; “La calza della Befana”, sempre rigorosamente casentinese al 100%!

Buona lettura e buona Epifania a tutti!

(Incipit) La sera della vigilia di Befana, i bambini del vicinato giunsero più tardi a veglia al podere dei Marcucci; alcuni allegri, altri con una faccia lunga come se qualcuno li avesse ben ben rimproverati. – Dunque, l’avete fatto l’esame di coscienza? – domandò Cecco ai bambini. – Siete sicuri di quello che vi metterà la Befana nella calza? I più allegri risposero di sì; gli altri stettero mogi mogi e chinarono gli occhi a terra.

Continua a leggere tutta la novella scaricando il pdf: La calza della Befana

Le offerte di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego

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Le offerte di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego. Anche questa settimana anche gli incentivi e le opportunità regionali per i datori di lavoro e le persone fisiche e le chiamate dirette al lavoro.

Scarica la newsletter: Offerte lavoro Casentino 05 01

Toni e Caleri meglio di Obama!

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Ormai sembra fatta, i Sindaci dei comuni sotto 15.000 abitanti potranno ripresentarsi anche per un terzo mandato. Quelli sotto i 5.000 praticamente a vita. Certo, lo sappiamo tutti che il solo pensiero di dover rinunciare all’altissimo livello dei nostri amministratori, non ci avrebbe lasciato dormire la notte; e poi perchè lasciare, come sarebbe più che giusto, la poltrona, dopo “soli” 10 (dieci) anni?

Il presidente USA, diciamo United States of America, 332 milioni di abitanti, non Chitignano, può restare in carica 8 (otto) anni, addirittura dopo non può assumere altre cariche pubbliche, nemmeno a Nuove Acque o in qualche comoda cooperativa.

In Italia, in Casentino, no. I nostri amatissimi e capacissimi Sindaci possono rimanere in carica, dopo i due attuali mandati, per un altro giro.

Visti gli aumenti del loro stipendio che potete apprezzare qui sotto, capiamo anche il perché…

Ma invece di accorpare i comuni ed eliminare tante inutili poltrone e miseri centri di potere, si allunga il richiamo “poltronifero” della fascia tricolore!

Nemmeno a Poltrone&Sofà avrebbero saputo fare meglio…

Gli Oscar 2023… non assegnati Presi dallo sconforto per la proroga dei mandati ai Sindaci, ci siamo resi conto che gli Oscar di quest’anno praticamente potrebbero essere quelli del 2022, assegnati nel numero 350 e che ancora potete leggere sul nostro sito. Si allunga la vita della poltrona, ma i problemi sono sempre gli stessi. Che fare? Ridare l’ennesimo Oscar a Ceccarelli? Alla variante di Corsalone? Alla gloriosa carriera del nostro amato e bistrattato Ospedale? Oppure infierire ancora sul PD che ormai è come sparare sulla Croce Rossa? Aggiungere qualche personaggio tipo Santini (sic!)? Riparlare del Cinema Sole sempre più chiuso? Inutile ripetersi e quindi il Badalischio ha deciso di prendersi un anno sabbatico e rimandare la consegna dei suoi metifici Oscar a fine 2024, sperando davvero che nel frattempo qualcosa cambi. Anche se sappiamo bene che chi visse sperando…

(IL BADALISCHIO D’ARGENTO rubrica di satira politica e controinformazione)

E’ in edicola Casentino2000 di Gennaio!

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Inizia un nuovo anno, con vecchi problemi e nuove speranze e torna in edicola CASENTINO2000 con il numero 362. E noi proponiamo un “programma elettorale” in vista delle amministrative di primavera per arrivare finalmente nel 2029 all’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale unico del Casentino.

Come ogni primo mese dell’anno, gli ormai classici Oscar 2023 del nostro Badalischio. Quest’anno, presi dallo sconforto, non sono stati assegnati! Praticamente sarebbero stati uguali a quelli del 2022!?!… 

Il primo numero del ‘24 si apre con un’analisi del 2023 in Casentino visto attraverso gli articoli realizzati dal nostro giornale. Un anno nero per sanità e viabilità. Poi “Non è una valle per vecchi?” Una riflessione su obiettivi e qualità dei servizi dedicati ad una parte della popolazione che è in costante aumento. E l’approfondimento sul caporalato in Casentino, un fenomeno che purtroppo interessa anche la nostra vallata.

Si continua con un’intervista a Paolo Tuccitto, fondatore di una start up innovativa sull’inertizzazione e il riutilizzo dell’amianto. E poi le storie dell’inventore Daniele Stocchi che ci ha aperto il suo laboratorio dove crea e trasforma gli oggetti più diversi e quella di Lorenzo Vincenzi, giovane promessa casentinese dello sci. L’incredibile racconto di Danilo Tassini, protagonista di una vicenda calcistica in tinte viola di ieri e di oggi.

Segnaliamo anche l’articolo su I misteri del Badalischio, in occasione dell’uscita per Fruska di un libro sul metifico e temuto mostro casentinese.

Come sempre poi troverete in CASENTINO2000 l’immancabile rubrica del Canile del Casentino; le vostre lettere e la pagina fotografica nella rubrica Blocknotes e ancora Cosa Bolle in Pentola che ci propone un piatto di stagione a base di cavolo.  E poi le riflessioni Scuola & Società, gli interventi medici e i consigli di Essere, la pagina Agroalimentare a 360° curata dalla Coldiretti di Arezzo, le pagine sull’ambiente con una riflessione sul drammatico consumo del suolo, Sguardi Oltre il Crinale e Il Giro in Bici, con una gita nel freddo Casentino di gennaio.

CASENTINO2000 di Gennaio è in edicola, oppure potete acquistarlo online nel nostro shop: scopritelo subito!

Transizione ecologica? Ma come?

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di Mauro Meschini – È un obiettivo più volte indicato, una priorità giudicata imprescindibile. La transizione ecologica dovrà caratterizzare i prossimi anni e decenni, diventare essa stessa simbolo della futura organizzazione delle società e delle economie. Detta così, avendo ben chiaro quanto sempre più gravi siano gli effetti di eventi estremi dovuti ai cambiamenti climatici, queste sembrano essere considerazioni di buonsenso, opportuni indirizzi per cercare di trovare soluzioni a una crisi climatica che, nonostante alcuni lo continuino a negare, ha già dimostrato di essere capace di mettere in pericolo il futuro stesso di intere porzioni del Pianeta. Lo sviluppo degli ultimi secoli, degli ultimi decenni ha avuto un impatto devastante per la Terra, siamo stati distratti dal benessere, dalla rincorsa verso la modernità e lo sviluppo tecnologico. Abbiamo usato il nostro ambiente di vita, sfruttato le sue risorse, inquinato la natura. Ora si cerca di correre ai ripari, ma è alto il rischio che i rimedi possano portare altri problemi innescando una rincorsa verso il baratro inarrestabile.

Per invertire la rotta di uno sviluppo malato per prima cosa si dovrebbe prendere atto di quanto sia importante preservare e rispettare il patrimonio naturale, di quanto ogni azione e intervento dovrebbero essere sempre a impatto zero, per non consumare più suolo, per non distruggere più habitat naturali, per non produrre più materiali di rifiuto che impiegano secoli per essere distrutti. Ma una società che in pochi decenni è riuscita a mettere in ginocchio un pianeta non è probabilmente in grado di agire seguendo queste semplici e, oseremmo dire, scontate considerazioni. Questo potrebbe rappresentare un grave problema, potrebbe portare a intraprendere una strada che si immagina diretta verso una soluzione ma che, invece, potrebbe aggravare una situazione già pesantemente compromessa.

Questa introduzione per portare alla vostra riflessione alcuni dati pubblicati dal sito Openpolis nel giugno del 2023 in cui si parla della transizione ecologica con un focus sulle «terre rare» (si tratta di 17 elementi chimici: Scandio, Ittrio e i 15 lantanoidi ovvero, nell’ordine della tavola periodica, Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio). Questi minerali sono fondamentali per: «l’industria sostenibile, aerospaziale, digitale e della difesa. Ma anche per la realizzazione di schermi di smartphone e desktop, magneti permanenti, turbine eoliche e batterie ricaricabili. Così come radar, apparecchi di medicina avanzata e fibre ottiche».

Come possiamo vedere si tratta di oggetti e strumenti che sono nella gran parte indicati anche come indispensabili in un ipotetico futuro «sostenibile» per garantire le risposte necessarie alla creazione di una società «green». Ma è davvero così?

Non siamo in grado di rispondere, qui proviamo solo a riportare alcune informazioni che abbiamo appunto trovato su Openpolis, avanzando prima solo una semplice considerazione: ma forse, per costruire la società «green», oltre a pensare a dove vogliamo arrivare, non sarebbe il caso di fare attenzione anche al come ci arriviamo?

Lasciando sospesa la domanda, e proponiamo alcune notizie: «le terre rare provengono prevalentemente dall’Asia e soprattutto dalla Cina, l’Europa ha una forte dipendenza dall’estero e vuole rendersi gradualmente indipendente ma non è chiaro se e quanti giacimenti sono presenti nel continente europeo».

In ogni caso, «c’è da considerare quanto la popolazione possa essere disponibile ad accettare l’apertura di miniere nelle vicinanze del proprio luogo di vita, considerato che: l’estrazione delle terre rare è un processo inquinante… che richiede molta energia e una significativa produzione di rifiuti. Le aree interessate diventano spesso luoghi fortemente inquinati. Con conseguenze sull’ambiente e sulla salute delle persone …»

Per quanto riguarda la quantità di materiale necessario, «secondo IEA (agenzia internazionale per l’energia), per produrre un’auto elettrica servono 6 volte più minerali che per produrre un’auto convenzionale. E per realizzare un impianto eolico sono necessari 9 volte i minerali che basterebbero per costruirne uno a gas. Quello delle turbine eoliche e quello delle batterie ricaricabili per le vetture elettriche sono i due ambiti in cui la richiesta di terre rare risulta più forte e impellente In Italia dal 2013 al 2021 le auto elettriche sono aumentate costantemente, passando da 4.500 a circa 118mila. L’incremento ha raggiunto il 133% tra 2019 e 2020 e il 122% tra 2020 e 2021. Si tratta di una transizione importante per la riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Ma la diffusione delle auto elettriche pone un problema di approvvigionamento e di estrazione di terre rare».

(Rubrica SCUOLA SOCIETA’ sognando futuri possibili a cura di Sefora Giovannetti e Mauro Meschini)

Binge Eating Disorder

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di Beatrice Boschi – Il binge eating è uno dei disordini alimentari più diffusi in questo ultimo periodo. Il termine significa letteralmente “abbuffata di cibo” e indica momenti in cui si introducono grandi quantità di cibo in un breve periodo di tempo. Queste crisi sono accompagnate dalla sensazione di perdere il controllo su quanto e cosa si stia mangiando e di conseguenza da un forte senso di colpa e vergogna, che spesso portano ad abbuffarsi da soli o di nascosto, senza essere visti da nessuno.

Solitamente l’idea di mangiare quantità elevate di cibo genera un iniziale senso di euforia e di apparente felicità seguito, tuttavia, da sentimenti contrastanti di vergogna, disgusto e senso di colpa verso se stessi, il proprio corpo e il proprio comportamento. Quando gli episodi di binge eating avvengono almeno una volta a settimana per un minimo di tre mesi consecutivi si può fare la diagnosi di Disturbo da Alimentazione Incontrollata che si distingue dalla bulimia nervosa perché chi ne soffre non mette in atto comportamenti compensatori per controllare il peso corporeo, come vomito, uso di lassativi, digiuno o eccessivo esercizio fisico.

Infatti, la maggior parte dei pazienti che presentano questo disturbo sono accumunati dalla caratteristica di sviluppare vari gradi di obesità e di conseguenza ridotta aspettativa di vita e numerose malattie che caratterizzano i soggetti con elevato peso ponderale come diabete, malattie cardiovascolari, apnee notturne, alcuni tipi di cancro, dislipidemia e ipertensione arteriosa. Il peso eccessivo e la sofferenza psicologica provocano difficoltà nei rapporti interpersonali e problematiche nelle relazioni sociali che possono spingere ad un progressivo isolamento. Le implicazioni psicologiche, insieme alle complicanze mediche, determinano un significativo peggioramento della qualità di vita di chi ne soffre.

Per cercare di riconoscere e contrastare questo disturbo è necessario fare innanzitutto una corretta diagnosi, questo non è semplice però, perché i pazienti non solo possono tendere a nasconderlo per disagio o senso di colpa, ma talvolta non sono nemmeno pienamente consapevoli della presenza di un vero e proprio disturbo, sottovalutando la propria situazione.

Una volta fatta la diagnosi, l’obiettivo primario del trattamento deve essere l’interruzione del disturbo, perché focalizzandosi esclusivamente sulla perdita di peso si rischia di innescare un circolo vizioso controproducente. Molti pazienti, infatti, cercano in maniera anche compulsiva, di seguire diete con lo scopo di perdere peso senza riuscirci, dal momento che la dieta, soprattutto se rigida, aumenta la fame e tende a scatenare le abbuffate, alternando periodi di calo ponderale a periodi di recupero del peso (effetto yo-yo) che nel tempo aggrava progressivamente la condizione di obesità.

Il miglior modo per intervenire, a seguito della diagnosi di Disturbo da Alimentazione Incontrollata, è intraprendere un percorso di psicoterapia, se necessario anche accompagnato dalla somministrazione di psicofarmaci nei casi più complessi, che solitamente risulta efficace nel lungo periodo.

Tuttavia, non è detto che la riduzione delle abbuffate si associ a una riduzione significativa del peso, e quindi secondo le Linee Guida attuali il trattamento migliore per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata deve essere condotto da un team multidisciplinare di specialisti integrati tra loro come psicologi e specialisti della nutrizione così da poter intervenire in maniera tempestiva su tutti i fronti.

Dott.ssa BEATRICE BOSCHI Biologa e nutrizionista, beatrice.boschi@virgilio.it – tel. 347 8482948

(Rubrica ESSERE L’Equilibrio tra Benessere, Salute e Società)

Immagini del Casentino

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Una parte delle 300 pecore di Gianluca Matteucci torna dal pascolo presso la Società Agricola Canvecchio.

di Lara Vannini – La fotografia è un’arte ma prima di tutto è stata una necessità. Nel passato ogni strumento che l’uomo ha scoperto per “registrare un momento”, dal disegno, al dipinto, al mezzo fotografico è stato fondamentale per conservare documenti preziosissimi con i quali noi oggi possiamo indagare la storia che ci ha preceduto.

Se pensiamo ai piccoli formati in bianco e nero delle vecchie fotografie, che teniamo per ricordo nei cassetti delle scrivanie o magari incorniciate a formare un composit d’altri tempi, ci accorgeremo che le immagini parlano molto di noi e del nostro passato, raccontandoci come ci vestivamo, cosa era importante mostrare di fronte ad un fotografo, o che tipo di lavori o contesti domestici esistevano.

Se torniamo con la memoria al nostro passato contadino, subito verremo rapiti dalle fotografie in bianco e nero di giovanissimi soldati o famiglie numerose dotate di “prole” che dignitose e fiere davanti al fotografo mostravano i propri figli in fila indiana, dal più piccolo al più grande. All’interno del cassetto dei ricordi, potremmo imbatterci nelle immagini di strade polverose e acciottolate, il lavoro dei campi dove anche le donne in gonna e grembiule lavoravano infaticabili accanto ai propri mariti e mostravano uno spaccato di vita tutt’altro che semplice. Oggi la fotografia si è evoluta a tal punto da diventare una vera e propria forma d’arte. Certamente rappresenta ancora come l’uomo indaga la realtà che lo circonda, ma lo fa in un modo estremamente diverso dal passato, anche perché la rivoluzione digitale ha cambiato il concetto stesso del fotografare e oggi è diventata quasi più importante la post-produzione che l’immagine stessa.

Simone Donati, fotografo professionista (Facebook: @simonedonatiTP Instagram: @donati), cofondatore di “TerraProject Photographers”, un collettivo di fotografi documentaristi che hanno all’attivo numerosi premi internazionali, e appassionato del Casentino dove interseca la propria vita professionale e privata, ha deciso di lavorare ad un progetto fotografico dove ha indagato la vita delle persone che oggi abitano la vallata casentinese.

Simone, come nasce la mostra open air “Ritratti di Comunità”? «Questo progetto si inserisce nell’ambito di ricerche che ho già affrontato in passato sulle Comunità delle aree interne presenti nell’arco appenninico. Chi sono e come vivono le persone che nella nostra penisola hanno deciso di restare in aree sotto certi aspetti considerate svantaggiate, aree rurali o montane dove oggettivamente esistono delle carenze nei servizi alla persona o difficoltà insite del luogo stesso. Sono scelte di vita che richiedono un forte attaccamento al luogo e una buona dose di determinazione. Il progetto che ha visto come protagonista il Casentino è stato realizzato grazie alla Cooperativa Connessioni di Poppi nell’ambito del Bando Borghi promosso dal PNRR. Il progetto che si è focalizzato sull’analisi fotografica dei comuni di Chiusi della Verna e Ortignano Raggiolo, si è poi concretizzato con due mostre fotografiche. La prima mostra si è svolta dal 28 ottobre al 5 novembre a Raggiolo alla presenza delle autorità e della popolazione, mentre la seconda mostra che interesserà il comune di Chiusi della Verna sarà allestita nel 2024 con data da definire».

Raccontaci come si è svolto il tuo lavoro. «Come ho già detto, anche in passato mi sono occupato di documentare grazie alla fotografia le aree interne del nostro Appennino, infatti nel 2021 ho tradotto le mie ricerche in un volume “Varco Appennino”, che racconta l’entroterra dell’Appennino meridionale italiano, attraverso immagini di paesaggi, persone e luoghi intimi di vita quotidiana. Ho pensato che grazie alla Cooperativa Connessioni di Poppi e il Bando Borghi fosse interessante proseguire questo mio viaggio per l’Italia, mettendo in risalto connessioni e differenze dei territori interni ancora oggi abitati.

È stato sorprendente ma anche estremamente benaugurante, scoprire che molte persone che ho conosciuto e sono state protagoniste dei miei scatti, hanno deciso di propria iniziativa di non lasciare i loro luoghi di origine o di scegliere delle aree interne dove stabilire la propria attività lavorativa. Anche coppie giovani hanno risposto a questo “richiamo” spesso intraprendendo un’attività che si sposasse con le risorse dei luoghi. Indubbiamente ciò che potrebbe scoraggiare a vivere stabilmente i luoghi montani come il Casentino è la mancanza di comodità e la ricerca di un lavoro stabile, ma chi fa questa scelta cerca prima di tutto una vita dai ritmi diversi che in città dove il contatto con i luoghi si fa viscerale e la voglia di proseguire un’eredità lasciata da altri diventa preponderante».

Nel concreto come si è sviluppato il progetto? «Il lavoro si è svolto nei mesi estivi dell’estate scorsa. Ho cercato di informarmi e conoscere persone dei comuni di Ortignano Raggiolo e Chiusi della Verna che vivessero in queste aree e avessero delle attività legate al territorio. Potevo scegliere come soggetti per i miei scatti realtà che mi colpivano, o chiedevo ai miei referenti luoghi o persone che potessero interpretare il mio progetto. Ad esempio mi ha colpito molto una coppia di giovani ragazzi che nel comune di Chiusi della Verna hanno deciso di aprire un birrificio e hanno messo al primo posto la tutela delle proprie origini. Molti protagonisti dei miei scatti hanno connessioni con il territorio, la natura, e gli antichi mestieri di una volta come i caseifici o gli allevamenti ma ho fotografato anche un ragazzo che ripara e vende biciclette elettriche per fare sport in montagna, un bell’esempio di nuove attività legate alla fruizione sostenibile del territorio. Nella mia indagine fotografica è possibile trovare molti ritratti, alcuni momenti aggregativi come feste e sagre, scene di vita quotidiana perché in fondo è questo che caratterizza più di tutti un territorio: le persone e come quest’ultime riescono a trasformare le materie prime e i prodotti del luogo per sostenersi».

Parlaci di come interpreti lo scatto fotografico. «Come è possibile dedurre da questi miei lavori sulle aree interne, non sono molto amante dello scatto singolo che lascia tutti a bocca aperta. Amo il racconto, usare il mezzo fotografico per intraprendere una narrazione che possa far riflettere lo spettatore ma non solo, immergerlo a piccoli passi in nuove realtà, attraverso quello che è l’attività più antica dell’uomo: il lavoro. Nel passato come nella contemporaneità noi siamo legati a doppio filo con la natura e anche se oggi l’industrializzazione, o le nuove tecnologie, ci hanno fatto scoprire lavori fino a poco tempo fa inesistenti, non è venuta meno la necessità di dialogare con la natura, i suoi ritmi, le sue necessità, pena i disastri ambientali e una vita sempre meno di qualità e con grandi lacune su ciò che ci sta intorno.

Se vogliamo le miei immagini sono molto semplici dal punto di vista compositivo proprio perché mi interessa trasmettere con chiarezza il messaggio che sta dentro ad una fotografia. In effetti se ci pensiamo c’è una grossa analogia con la fotografia in bianco e nero del passato, quando l’immagine era un mezzo importantissimo di comunicazione. Non è un caso che io abbia fotografato in maniera realistica volti e luoghi perché sono loro i veri protagonisti del mio racconto. Forse per qualcuno potrei essere anche a tratti controcorrente con l’idea di fotografia che esiste oggi, ma il mio principale scopo è stato quello di raccontare in maniera quanto più vera le realtà di alcuni comuni interni della nostra penisola dando risalto a chi decide di restare e accettare il rischio di scelte a volte molto coraggiose e non scontate».

Come si svilupperà il progetto? «Come già è stato detto la prima mostra si è svolta dal 28 Ottobre al 5 Novembre ad Ortignano Raggiolo e la prossima vedrà protagonista il comune di Chiusi della Verna con data da definire. Le mostre sono allestite “open air” in maniera tale che chiunque possa accedervi senza problemi. Lo scopo è proprio quello di mettere in luce aspetti e realtà della vallata casentinese per raccontare chi ad oggi abita e lavora in questo territorio. In passato ho partecipato a dei progetti fotografici per la Regione Lazio che raccontassero le aree terremotate come ad esempio Amatrice. Rappresentare significa esistere e diventare memoria storica per le nuove generazioni».

Hobby, modellismo… ed un po’ di storia

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di Riccardo Buffetti – Uno dei luoghi simbolo della nostra cultura e dell’identità delle varie comunità è sicuramente il museo. L’importanza di questo spazio, dove al suo interno vengono raccolte testimonianze, oggettisti e opere, è particolarmente evidente nelle piccole Comunità, in cui spesso rappresenta l’unica fonte di conoscenza della storia e dell’arte locale. In questi contesti i musei assumono un ruolo cruciale nell’educazione delle nuove generazioni e nella promozione del turismo culturale, oltre ad essere un mezzo chiave per preservare la cultura e l’identità dei piccoli paesi.

Grazie all’attività di quelli che per lo più sono volontari nella raccolta, conservazione e valorizzazione dei beni culturali, i musei contribuiscono a creare una coscienza collettiva del patrimonio culturale del territorio. Non solo: con le loro attività didattiche, come laboratori per bambini e visite guidate, consentono ai giovani di approfondire la conoscenza su varie tematiche.

In Casentino, più precisamente a Subbiano, in via Signorini, si trova una mostra permanente, a disposizione per scuole e gruppi di visitatori. Nella struttura in cui una volta risiedeva un’importante attività che aveva oltre 200 dipendenti, ma negli ultimi periodi in disuso, tra il 2020 e il 2021 un gruppo di persone della Comunità si sono messe a disposizione per riqualificare l’area. «Abbiamo iniziato a considerare l’idea insieme a Mirto Daveri durante la pandemia; poi, abbiamo inaugurato nel 2021 la struttura – spiega Massimo Cocchetti (nella foto in alto), uno degli ideatori dell’iniziativa “Hobby, modellismo… ed un po’ di storia» – tutto è nato dalla volontà di creare un luogo di incontro e curiosità in cui vi sono esposte le nostre opere e quelle di altri appassionati». Infatti, all’interno della mostra – museo si celano diversi settori che grazie all’intervento di Cocchetti e Daveri riescono ad avere tra di loro un filo conduttore magnifico. Non appena valicato l’ingresso, ci si imbatte su una struttura in legno molto grande che mostra un Corteggio storico di Subbiano in ambito medievale con riproduzione di ambiente e costumi d’epoca. Proseguendo sulla destra, si passa alla parte che attualmente è in allestimento, quella dei presepi. Qui, però, c’è un’opera che risalta subito all’occhio: «È un modello che riprende dei piccoli pezzi di Casentino e li unisce in quello che è un paese a tutti gli effetti, collegato alla storia sia del nostro territorio che italiana», dice Daveri.

Lo step successivo riguarda la “casa” di Massimo Cocchetti: in una sala è esposta una grande collezione di modelli Ferrari in scala, più di 400 modellini che ripropongono la storia della monoposto in Formula 1 e del marchio nelle corse di durata. La mostra – o il museo, termine che forse più si addice a questo luogo – prosegue con la parte legata al cinema: «Nella struttura, che è un settore della Pro Loco di Subbiano, sono coinvolte tantissime persone che hanno portato qui delle cose interessanti, – dice Cocchetti, che poi prosegue, – oltre a me e Daveri, ci sono modellini e opere di Davide Emanuelli, Giancarlo Del Pasqua, Santino Tinti, Otello Pernici, Giovanni Cinti, Giovanni Giannotti, Giancarlo Baffetti e tanti altri».

Di Del Pasqua e Daveri sono la maggior parte degli oggetti che si trovano nella sala del cinema: dalle macchine da proiezione ancora funzionanti che risalgono fino agli Anni ‘30 del Novecento, alla riproduzione della sala cinema “Paradiso” con manifesti e alcune parti di arredamento. «Tra le altre cose, il signor Del Pasqua ha dei biglietti risalenti addirittura al periodo fascista, che sono dei reali pezzi da museo, avendo trascorso oltre trent’anni a fare il cinematografo», sottolinea Cocchetti.

Nella seconda parte della stanza cinema, iniziano i cimeli e le opere fatte a mano dell’ex professore Mirto Daveri: dalla collezione dei manuali della scuola di “radioelettra” a tutti gli strumenti come oscilloscopi, generatori di tensione, amperometri e frequenzimetri di vecchia data; poi, la parte fotografica con tantissime macchine fotografiche tra le quali anche quella costruita direttamente da Daveri, che lo ha fatto negli anni scorsi finire in una rivista nazionale. Al termine di questo settore, tante sculture del celebre Pinocchio in legno e un plastico marino di grandi dimensioni. In un pezzo di sala ci sono strumenti musicali e raffigurazioni in legno di armi, preludio alla sezione successiva, che lascia letteralmente senza parole, dato che vi si trovano le riproduzioni molto accurate delle “macchine di Leonardo Da Vinci” costruite sui disegni originali del grande scienziato da Mirto Daveri, ed alcune perfettamente funzionanti.

Poi c’è un reparto dedicato alle due guerre mondiali: indumenti originali, alcune copie ben fatte per poter essere studiare, e tanti oggetti rinvenuti anche in Casentino. In lontananza si vede quella che a tutti gli effetti pare essere una casa; avvicinandosi, però, ci si accorge che è qualcosa di diverso: Cocchetti, Daveri e gli amici del museo hanno ricostruito una casa contadina con tutti gli oggetti in uso nei tempi passati. Nella medesima sala, adiacenti, sono esposti auto modelli che rappresentano una collezione sulla storia dell’auto in scala, ma quello che da all’occhio è il vasto assortimento dei prodotti della Lego che prendono il via dagli Anni ’80 – se non prima – fino alle ultime produzioni più moderne: autore di tutte queste opere è Davide Emanuelli, che con la sua passione e dedizione ha messo a disposizione dei visitatori dei capolavori completi e funzionanti dei mattoncini più blasonati al mondo. E il cerchio si chiude con l’ultima sala, allestita per le varie occasioni o celebrazioni come quella del Natale a venire.

Massimo Cocchetti lancia un messaggio: «Cerchiamo sempre di promuovere non tanto i nostri oggetti, ma la cultura che proviene da questo luogo. Per questo invitiamo i lettori a visitarci, l’ingresso è libero e potrete trascorrere una bella giornata alla scoperta della nostra mostra-museo. Vogliamo che si conosca sempre maggiormente, anche perché i coinvolgimenti all’interno sono dedicate ad ogni fascia d’età: dai più grandi, fino ai bambini delle scuole, che spesso accorrono numerosi».

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