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sabato, 27 Aprile 2024

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Immagini del Casentino

di Lara Vannini – La fotografia è un’arte ma prima di tutto è stata una necessità. Nel passato ogni strumento che l’uomo ha scoperto per “registrare un momento”, dal disegno, al dipinto, al mezzo fotografico è stato fondamentale per conservare documenti preziosissimi con i quali noi oggi possiamo indagare la storia che ci ha preceduto.

Se pensiamo ai piccoli formati in bianco e nero delle vecchie fotografie, che teniamo per ricordo nei cassetti delle scrivanie o magari incorniciate a formare un composit d’altri tempi, ci accorgeremo che le immagini parlano molto di noi e del nostro passato, raccontandoci come ci vestivamo, cosa era importante mostrare di fronte ad un fotografo, o che tipo di lavori o contesti domestici esistevano.

Se torniamo con la memoria al nostro passato contadino, subito verremo rapiti dalle fotografie in bianco e nero di giovanissimi soldati o famiglie numerose dotate di “prole” che dignitose e fiere davanti al fotografo mostravano i propri figli in fila indiana, dal più piccolo al più grande. All’interno del cassetto dei ricordi, potremmo imbatterci nelle immagini di strade polverose e acciottolate, il lavoro dei campi dove anche le donne in gonna e grembiule lavoravano infaticabili accanto ai propri mariti e mostravano uno spaccato di vita tutt’altro che semplice. Oggi la fotografia si è evoluta a tal punto da diventare una vera e propria forma d’arte. Certamente rappresenta ancora come l’uomo indaga la realtà che lo circonda, ma lo fa in un modo estremamente diverso dal passato, anche perché la rivoluzione digitale ha cambiato il concetto stesso del fotografare e oggi è diventata quasi più importante la post-produzione che l’immagine stessa.

Simone Donati, fotografo professionista (Facebook: @simonedonatiTP Instagram: @donati), cofondatore di “TerraProject Photographers”, un collettivo di fotografi documentaristi che hanno all’attivo numerosi premi internazionali, e appassionato del Casentino dove interseca la propria vita professionale e privata, ha deciso di lavorare ad un progetto fotografico dove ha indagato la vita delle persone che oggi abitano la vallata casentinese.

Simone, come nasce la mostra open air “Ritratti di Comunità”? «Questo progetto si inserisce nell’ambito di ricerche che ho già affrontato in passato sulle Comunità delle aree interne presenti nell’arco appenninico. Chi sono e come vivono le persone che nella nostra penisola hanno deciso di restare in aree sotto certi aspetti considerate svantaggiate, aree rurali o montane dove oggettivamente esistono delle carenze nei servizi alla persona o difficoltà insite del luogo stesso. Sono scelte di vita che richiedono un forte attaccamento al luogo e una buona dose di determinazione. Il progetto che ha visto come protagonista il Casentino è stato realizzato grazie alla Cooperativa Connessioni di Poppi nell’ambito del Bando Borghi promosso dal PNRR. Il progetto che si è focalizzato sull’analisi fotografica dei comuni di Chiusi della Verna e Ortignano Raggiolo, si è poi concretizzato con due mostre fotografiche. La prima mostra si è svolta dal 28 ottobre al 5 novembre a Raggiolo alla presenza delle autorità e della popolazione, mentre la seconda mostra che interesserà il comune di Chiusi della Verna sarà allestita nel 2024 con data da definire».

Raccontaci come si è svolto il tuo lavoro. «Come ho già detto, anche in passato mi sono occupato di documentare grazie alla fotografia le aree interne del nostro Appennino, infatti nel 2021 ho tradotto le mie ricerche in un volume “Varco Appennino”, che racconta l’entroterra dell’Appennino meridionale italiano, attraverso immagini di paesaggi, persone e luoghi intimi di vita quotidiana. Ho pensato che grazie alla Cooperativa Connessioni di Poppi e il Bando Borghi fosse interessante proseguire questo mio viaggio per l’Italia, mettendo in risalto connessioni e differenze dei territori interni ancora oggi abitati.

È stato sorprendente ma anche estremamente benaugurante, scoprire che molte persone che ho conosciuto e sono state protagoniste dei miei scatti, hanno deciso di propria iniziativa di non lasciare i loro luoghi di origine o di scegliere delle aree interne dove stabilire la propria attività lavorativa. Anche coppie giovani hanno risposto a questo “richiamo” spesso intraprendendo un’attività che si sposasse con le risorse dei luoghi. Indubbiamente ciò che potrebbe scoraggiare a vivere stabilmente i luoghi montani come il Casentino è la mancanza di comodità e la ricerca di un lavoro stabile, ma chi fa questa scelta cerca prima di tutto una vita dai ritmi diversi che in città dove il contatto con i luoghi si fa viscerale e la voglia di proseguire un’eredità lasciata da altri diventa preponderante».

Nel concreto come si è sviluppato il progetto? «Il lavoro si è svolto nei mesi estivi dell’estate scorsa. Ho cercato di informarmi e conoscere persone dei comuni di Ortignano Raggiolo e Chiusi della Verna che vivessero in queste aree e avessero delle attività legate al territorio. Potevo scegliere come soggetti per i miei scatti realtà che mi colpivano, o chiedevo ai miei referenti luoghi o persone che potessero interpretare il mio progetto. Ad esempio mi ha colpito molto una coppia di giovani ragazzi che nel comune di Chiusi della Verna hanno deciso di aprire un birrificio e hanno messo al primo posto la tutela delle proprie origini. Molti protagonisti dei miei scatti hanno connessioni con il territorio, la natura, e gli antichi mestieri di una volta come i caseifici o gli allevamenti ma ho fotografato anche un ragazzo che ripara e vende biciclette elettriche per fare sport in montagna, un bell’esempio di nuove attività legate alla fruizione sostenibile del territorio. Nella mia indagine fotografica è possibile trovare molti ritratti, alcuni momenti aggregativi come feste e sagre, scene di vita quotidiana perché in fondo è questo che caratterizza più di tutti un territorio: le persone e come quest’ultime riescono a trasformare le materie prime e i prodotti del luogo per sostenersi».

Parlaci di come interpreti lo scatto fotografico. «Come è possibile dedurre da questi miei lavori sulle aree interne, non sono molto amante dello scatto singolo che lascia tutti a bocca aperta. Amo il racconto, usare il mezzo fotografico per intraprendere una narrazione che possa far riflettere lo spettatore ma non solo, immergerlo a piccoli passi in nuove realtà, attraverso quello che è l’attività più antica dell’uomo: il lavoro. Nel passato come nella contemporaneità noi siamo legati a doppio filo con la natura e anche se oggi l’industrializzazione, o le nuove tecnologie, ci hanno fatto scoprire lavori fino a poco tempo fa inesistenti, non è venuta meno la necessità di dialogare con la natura, i suoi ritmi, le sue necessità, pena i disastri ambientali e una vita sempre meno di qualità e con grandi lacune su ciò che ci sta intorno.

Se vogliamo le miei immagini sono molto semplici dal punto di vista compositivo proprio perché mi interessa trasmettere con chiarezza il messaggio che sta dentro ad una fotografia. In effetti se ci pensiamo c’è una grossa analogia con la fotografia in bianco e nero del passato, quando l’immagine era un mezzo importantissimo di comunicazione. Non è un caso che io abbia fotografato in maniera realistica volti e luoghi perché sono loro i veri protagonisti del mio racconto. Forse per qualcuno potrei essere anche a tratti controcorrente con l’idea di fotografia che esiste oggi, ma il mio principale scopo è stato quello di raccontare in maniera quanto più vera le realtà di alcuni comuni interni della nostra penisola dando risalto a chi decide di restare e accettare il rischio di scelte a volte molto coraggiose e non scontate».

Come si svilupperà il progetto? «Come già è stato detto la prima mostra si è svolta dal 28 Ottobre al 5 Novembre ad Ortignano Raggiolo e la prossima vedrà protagonista il comune di Chiusi della Verna con data da definire. Le mostre sono allestite “open air” in maniera tale che chiunque possa accedervi senza problemi. Lo scopo è proprio quello di mettere in luce aspetti e realtà della vallata casentinese per raccontare chi ad oggi abita e lavora in questo territorio. In passato ho partecipato a dei progetti fotografici per la Regione Lazio che raccontassero le aree terremotate come ad esempio Amatrice. Rappresentare significa esistere e diventare memoria storica per le nuove generazioni».

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