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sabato, 5 Ottobre 2024

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Quando in Casentino si nasceva in casa

di Lara Vannini – «Quando nasce un bambino significa che Dio ha ancora fiducia nell’umanità». Questa bellissima citazione, del poeta e filosofo indiano Rabinddranath Tagore, scritta più di un secolo fa, ci ricorda come il mistero della vita sia qualcosa di trasversale che ha da sempre affascinato popoli e culture in ogni parte del mondo e che ha qualcosa di mistico e sovrannaturale, ancora oggi quotidianamente oggetto di indagine.

La donna e la generazione di una nuova vita, due destini che si intrecciano in maniera indissolubile e che, nonostante i giganteschi progressi della scienza, non possono fare a meno l’uno dell’altra. Scelte ideologiche, filosofie, voglia di semplicità e ritorno a contesti si dice “più naturali e umanizzati”, fanno si che ancora oggi una minoranza di giovani madri scelga di poter partorire in casa anche se, a differenza del passato, questa decisione non priva di rischi, si avvalga di tutele ospedaliere per far fronte ad ogni necessità.

Le nostre Nonne non sceglievano, partorivano in casa perché quella era la prassi e letteralmente si “affidavano a Dio”, ad una esperta levatrice e a tutte le donne di casa che, all’occorrenza, avrebbero potuto prestare una mano in un momento così delicato dell’esistenza.

È quasi impossibile non riconoscere alla donna contadina del passato un ruolo centrale nel menage familiare, nella crescita dei figli e nel supporto lavorativo che dava al marito anche in ambiti diversi da quello domestico: nei campi, nella cura degli animali, nelle lavorazioni artigianali da rivendere ai mercati. Un lavoro infaticabile quello della donna contadina, non retribuito, spesso non valorizzato, di grande sacrificio che includeva neanche così raramente, di mettere al mondo dei figli. Si può definire un’esistenza logorante sotto ogni punto di vista eppure così carica di emotività tanto da far si che la famiglia diventasse il centro focale di tutta l’esistenza, una famiglia da accudire, ma anche da amare e in cui riversare ogni singolo pensiero. Così descritta la donna sembra quasi assumere sembianze da eroina, ma niente di tutte le sue incombenze erano una esagerazione e a volte partorendo, dava la propria vita per regalarla al nascituro.

Come si preparava al parto una donna incinta del secolo scorso? La donna faceva una vita del tutto normale fino agli ultimi giorni in prossimità del lieto evento. I vestiti, via via che trascorrevano i mesi, diventavano sempre più stretti, ma non esistevano molte alternative e l’intuito unito al senso pratico erano le migliori strategie che una giovane sposina in attesa poteva mettere in pratica. L’esperienza delle madri e delle nonne era l’unica ricchezza sulla quale si poteva contare.

La donna in attesa non seguiva nessuna dieta particolare anzi, veniva consigliato di mangiare per due in maniera da soddisfare le esigenze del nascituro. Grande attenzione venivano poste alle “voglie” della partoriente perché era credenza che, se fossero rimaste inespresse, avrebbero potuto macchiare indelebilmente la pelle del bambino. Se la voglia sulla pelle fosse stata rossa, si diceva che la donna aveva avuto desiderio di vino o di fragole, se fosse stata marrone, poteva rappresentare un desiderio di caffè o di cioccolata.

La levatrice non aveva particolari titoli di studio, era spesso una donna anziana che aveva fatto nascere molti bambini. Il suo appellativo derivava proprio da “levare” ovvero estrarre i bambini dal grembo materno. I rischi del parto erano elevatissimi, alta era la mortalità sia del bambino che della madre e altrettanto elevato era il rischio di infezioni ed emorragie. Oggi il parto in casa viene percepito come qualcosa di estremamente romantico, ma in passato senza preparazione, strumenti adeguati, ambienti idonei spesso privi di luce o di acqua corrente, tutto diventava una corsa contro il tempo.

Dopo il parto, se ce ne fosse stata la possibilità, la donna restava a letto almeno una settimana perché date tutte le complicazioni che potevano presentarsi, la gravidanza era a tutti gli effetti equiparata ad una malattia. Quindi la neomamma veniva nutrita con il lesso e il brodo di pollo e, specialmente se era inverno, le veniva suggerito di stare al caldo con il bambino e riguardarsi. Tutto questo ovviamente non era semplice né scontato perché generalmente esistevano in casa figli di varie età e le incombenze erano molte. Solo in casi di estrema debilitazione, la donna poteva dedicarsi al riposo assoluto.

Il bambino appena nato, veniva lavato e fasciato perché c’era la credenza che altrimenti gli arti non si sarebbero sviluppati bene. Anche i pannolini erano delle fasce di stoffa che ogni volta dovevano essere sterilizzate in acqua bollente e riutilizzate. L’effige del bambino fasciato presso l’Istituto Degli Innocenti di Firenze, dove venivano accolti i bambini abbandonati, resta il simbolo più eclatante di questa antica pratica. Tutte le incombenze che riguardavano il parto le dobbiamo sempre immaginare in case prive di riscaldamento, con acqua calda riscaldata sul fuoco, dove solo le lampade ad acetilene o il lume a petrolio rischiaravano gli ambienti al sopraggiungere della notte.

Se una mamma non aveva il latte, doveva andare in cerca di una balia, una donna che aveva partorito da poco e che aveva abbastanza latte per il proprio neonato e per quello di qualcun’altro. Era una cosa importantissima perché il bambino privato del latte, non sarebbe sopravvissuto. Grazie a questa pratica si generavano i cosiddetti “fratelli di latte”, cioè bambini che erano accomunati dal latte preso dalla stessa donna.

Era inevitabile che si intrecciassero rapporti solidi tra i fratelli di latte perché la balia con il fatto di allattare stava con i bambini gran parte della giornata. Il bambino appena nato veniva festeggiato facendo subito il Battesimo perché si diceva che, se disgraziatamente fosse morto, non sarebbe andato in Paradiso ma al limbo. Il fonte battesimale poteva essere distante dall’ abitazione anche molti chilometri, ma non esistevano alternative.

Le donne dopo aver partorito per rientrare nella comunità religiosa dovevano ritornare “in santo” ovvero dovevano avere una speciale benedizione da parte del Parroco per tornare integre nel corpo e nello spirito.

Riti, tradizioni ed usanze di un tempo passato ci ricordano ogni volta come la vita contadina sia stata un mondo affascinante con i propri limiti dettati dalla scarsa conoscenza, ma anche di sapere antico che ancora oggi ha molto da insegnare.

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