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sabato, 27 Aprile 2024

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Fibromialgia, la malattia del dolore. La testimonianza di un volontario del 118 in Casentino

di Mauro Meschini – «Sono anni che faccio il volontario e mi sono trovato coinvolto in tanti interventi di emergenza urgenza. Ma recentemente ho affrontato una situazione particolare su cui, per fortuna, avevo una conoscenza e avevo raccolto informazioni in precedenza. In caso contrario mi sarei trovato in una situazione di estrema difficoltà, incapace di comprendere fino in fondo cosa stava succedendo alla persona che dovevamo soccorrere. Avevamo il paziente che, da quello che ci avevano segnalato, aveva sensazioni di freddo, in realtà gli girava la testa, aveva nausea, dolori diffusi… non aveva padronanza di sè stesso. Ricordando quello che mi avevano spiegato ho fatto di tutto per evitare di toccare con forza o stringere questa persona perché sapevo che le avrei potuto provocare forti e ulteriori dolori…».

Non è stata un’esperienza semplice per Alberto Ciampelli che, nelle vesti di volontario del 118, si è trovato a dover affrontare questa emergenza. Non lo è stata nel momento specifico dell’intervento e neppure successivamente, nel momento in cui, a mente fredda, si è trovato a riflettere su quanto vissuto da lui e dal paziente che aveva di fronte, una persona che cercava di raccontare e spiegare quello che sentiva e provava a lui che, osservandolo, non riusciva a vedere segni evidenti di quei sintomi.

Ma è proprio questa la maledizione della «Fibromialgia», definita anche «malattia del dolore», una patologia subdola, pesante, invalidante, costante, che però non lascia segni evidenti, tanto che, chi ne soffre, spesso rischia di non essere creduto o adeguatamente sostenuto e seguito.

«Sei un malato immaginario», questo può aver dovuto ascoltare un malato che cercava, anche al proprio medico, di descrivere il suo stato, la sua condizione permanente, il suo essere in balia di una situazione che diventa una zavorra, un macigno sul proprio corpo.

Il racconto di Alberto Ciampelli ci ha spinto a cercare di saperne di più e subito siamo rimasti colpiti dai numeri che abbiamo raccolto. Sono circa 3 milioni in Italia le persone affette da questa malattia, presenti anche in Casentino e in provincia di Arezzo. Generalmente insorge dopo i 30 anni e prima dei 60, ma negli ultimi tempi si evidenziano casi che interessano anche giovani neomaggiorenni. Colpisce soprattutto le donne, con una casistica di circa 20 a 1 rispetto agli uomini. E forse può essere anche questo uno dei motivi che hanno contribuito a renderla una patologia di «serie B»… Solo da questa sintesi sembra si possa dedurre che non si sta parlando di qualcosa di trascurabile o specifico di alcuni, ma di una patologia che ha radici profonde nella società interessando tante persone e tante famiglie.

Ma con quali parole un malato di Fibromialgia ci potrebbe raccontare la sua condizione? Per prima cosa ricorderebbe i dolori che non lo abbandonano mai, dolori che gli rendono difficile anche il riposo, possibile spesso solo grazie a farmaci sedativi che permettono, in qualche modo, di dormire almeno per qualche ora. Potrebbe poi descrivere quella sensazione di confusione che invade la mente, un fastidio onnipresente che rende tutto più difficile e complicato, obbligando a concentrarsi in ogni momento su tutto quello che si sta facendo o dicendo per rimanere artefici del proprio agire. Racconterebbe della stanchezza che caratterizza ogni attimo della sua vita, anche per la fatica di cercare di rendere gli altri consapevoli del proprio stato. E cercherebbe di far capire cosa significa sentire, da un giorno all’altro, la propria capacità di agire e muoversi cambiare, modificarsi e creare nuovi ostacoli.

Ma altre parole sarebbero utilizzate anche per testimoniare il desiderio di «non fare vincere la malattia», come lo sforzo incredibile che viene messo in atto per riuscire a continuare a lavorare e/o a fare le consuete attività quotidiane. In questa direzione va anche lo stimolo dei medici perché l’impegno deve essere centrato sul mantenere attiva la propria normalità, quella che la malattia vuole piegare. Potrebbero essere queste le parole usate per raccontare la Fibromialgia, e per fortuna attraverso tanti canali oggi vengono usate, contribuendo a rompere quella cappa di ignoranza, superficialità e disattenzione spesso dimostrate verso questa patologia. Ma ancora ciò che viene detto, scritto, testimoniato non sembra essere sufficiente, così chi è affetto da questa malattia non trova ancora un adeguato riconoscimento nel nostro Paese. Anche la recente entrata in vigore dei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), il 1° gennaio 2024, pur introducendo novità non ha previsto tutele per i malati di Fibromialgia, patologia che non è inserita neppure nella lista delle malattie che possono permettere il riconoscimento di invalidità da parte dell’INPS.

Però ben diverso è quanto ha deciso l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) già nel 1992, quando ha riconosciuto la sindrome fibromialgica come una patologia dolorosa, cronica e invalidante. Anche altri Paesi hanno assunto decisioni che prevedono tutele e attenzioni maggiori ed è auspicabile che presto anche l’Italia segua con decisione, attenzione e impegno questi esempi. Per adesso, come purtroppo anche per altre tematiche succede, nel nostro Paese si è creato una eterogenea realtà caratterizzata da diverse norme, scelte e decisioni prese nelle regioni, un fatto questo che rende ancora più confuso il panorama che abbiamo di fronte e, nel complesso, più difficile affermare un diritto che venga riconosciuto a tutti.

Quello che caratterizza il dibattito scientifico su questa malattia è la mancata individuazione di un «marcatore diagnostico» cioè un elemento clinico obiettivo in grado di individuare in maniera univoca la presenza della patologia. A questo proposito, anche durante il racconto di Alberto Ciampelli, che abbiamo sinteticamente riportato all’inizio, ci è stato detto che «durante l’intervento sul paziente la misurazione dei diversi parametri metteva in evidenza una situazione ottimale, che non avrebbe neppure richiesto un ricovero».

Ci troviamo così di fronte ad una malattia che non può essere diagnosticata e che non ha una cura. Quello su cui può, e deve fare affidamento chi ne è colpito, è la determinazione nell’affrontarla e la speranza che presto soluzioni più efficaci siano individuate. Per adesso si può fare affidamento su farmaci sperimentali, che possono però avere più o meno efficacia sui singoli pazienti, per cui è necessario costruire ogni volta una cura individualizzata per ognuno. Si è scoperto anche che attività fisica, ginnastica dolce e camminare possono essere azioni che portano benefici. Così come fare attenzione e curare la dieta, evitando per esempio gli zuccheri. A questo proposito positivo può essere anche seguire una dieta chetogenica, cioè una strategia nutrizionale basata sulla riduzione dei carboidrati alimentari, che «obbliga» l’organismo a produrre autonomamente il glucosio necessario alla sopravvivenza e ad aumentare il consumo energetico dei grassi contenuti nel tessuto adiposo.

Davvero una strada in salita quella di chi si trova ad affrontare questa malattia, una strada che, per fortuna, vede anche la presenza di importanti punti di riferimento rappresentati da associazioni nate proprio per iniziativa dei malati, che hanno voluto creare luoghi dove incontrarsi e affrontare insieme le tante difficoltà quotidiane.

Vogliamo ricordare l’AISF ODV (Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica) e la sua sede di Arezzo, che si trova presso la Misericordia in via Garibaldi 143. Oppure il “Comitato Fibromialgici Uniti – Italia”, (“CFU – Italia” ODV) e la sua presidente Barbara Suzzi che, il 17 novembre 2023, è stata nominata «Ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica italiana» dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.   È stata lei stessa ha spiegare, nella puntata del programma RAI «Nuovi Eroi» che l’ha vista protagonista, il senso di questo gesto: «Il Presidente della Repubblica che dà un’onorificenza di questo genere a una persona, ma quindi a un’associazione che vuole che siamo riconosciuti in Italia, a me sembra un bel messaggio, neanche tanto subliminale, alla politica…».

Sembra anche a noi un bellissimo e chiaro messaggio, un gesto concreto e altamente significativo del nostro Presidente, un atto di attenzione e concreta vicinanza verso una realtà vissuta da milioni di persone che meritano di avere le risposte da troppo tempo attese.

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