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lunedì, 2 Dicembre 2024

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Coscio d’agnello al forno e grespigni

La ricetta del mese ci è consigliata da Silvia, che nasce ad Arezzo ma ha origini siciliane e si ritrova in Casentino per amore. “Non sono una brava cuocam ma i miei figli e mio marito sono ancora vivi e godono di ottima salute”. – ci dice scherzando Silvia. La sua scelta di dedicarsi totalmente alla famiglia, lo sforzo di scoprire i piatti della tradizione casentinese con una predilezione per i primi semplici, ma a Natale e per Pasqua qualcosa di più importante, comunque legato agli usi e costumi e di sicuro più impegnativo, si può e si deve fare.

RICETTA Coscio d’agnello al forno e grespigni

Ingredienti 1 coscio di agnello di circa due Kg. Sale q.b. Pepe nero q.b. Peperoncino q.b. Rosmarino, timo, santoreggia e maggiorana q.b. Olio EVO 50 gr. Grespigni di campo gr 500 Aglio uno spicchio Sale e pepe q.b. Olio EVO q.b. Preparazione La preparazione non è complessa, preparate gli aromi triturandoli finemente e unendoli all’olio EVO lasciando riposare un’oretta. Dopo di che cospargete il coscio con il trito e l’olio magari facendo qualche foro con la punta del coltello per far penetrare gli aromi. Mettete in forno già riscaldato a 180° e lasciate cuocere per circa 2 ore, ovviamente controllando la cottura e girando il coscio a metà cottura. Mentre il cosciotto cuoce preparate i grespigni, lavateli accuratamente, lessateli immergendoli in acqua a bollore, dopo dieci minuti di cottura scolateli lasciandoli in uno scolapasta. Una volta scolati tagliateli finemente intanto nella padella avrete fatto insaporire l’olio con l’aglio il sale e il pepe, saltate brevemente e tenete al caldo per unirli al coscio di agnello. In un vassoio disponete a piacimento i grespigni e il coscio, magari disossato così da facilitarne il servizio e buon appetito. Per chi non conoscesse il grespigno si tratta di un’erba molto comune ai bordi delle strade, nei terreni lavorati, nei campi, nelle aie delle case di campagna e in generale nelle zone ruderali.

VINO CONSIGLIATO Lacrima Christi del Vesuvio 2020 Bianco Superiore Cantina del Vesuvio

La Pasqua non è magica come il Natale, ha un sapore più intimo, forse perché preceduta dalla Quaresima o forse perché il triduo che parte col venerdì santo si conclude con l’esplosiva resurrezione. Il piatto del mese è quanto di più tradizionale, ma c’è un motivo del perché dell’agnello. Si parte con l’Esodo del popolo ebraico dall’Egitto, l’agnello infatti è simbolo di sacrificio e il suo sangue sulle porte salva i primogeniti ebrei dalla furia dell’angelo che si scaglia sugli egizi. Più concretamente era il periodo in cui si doveva decidere quali agnelli tenere per rinnovare il gregge, gli altri, soprattutto i maschi, dovevano essere eliminati, quindi un periodo di grande abbondanza di questa carne. Il piatto pasquale per eccellenza non poteva non essere accompagnato da un vino altrettanto mistico.

Il Caprettone, uva bianca presente sul Vesuvio già dal V secolo a.c., qui portata dai greci, da origine al Lacrima Christi bianco, nulla a che vedere con la Pasqua, ma singolare come leggenda. Quando Dio sprofonda il ribelle Lucifero negli inferi egli riesce a strappare un pezzo di paradiso e a trascinarlo con sé sulle pendici del Vesuvio, porta inferi, e Gesù riconoscendo il lembo di paradiso pianse copiose lacrime da cui germogliarono le viti che danno proprio origine alle uve del Lacrima Christi.

Il Caprettone, così chiamato per la forma che assomiglia alla barba della capra o forse perché coltivato dagli allevatori di capre del luogo, viene vinificato in bianco e prodotto in pergole vesuviane per ripararlo dai raggi del sole e forse anche per dare sollievo nelle ore più calde proprio alle capre. Il vino si presenta di un giallo dorato intenso dai profumi complessi di tabacco, ginestra e tarassaco, miele d’acacia e agrumi canditi. In bocca la spalla sapida e acida si bilanciano perfettamente con le note morbide regalando un lungo sorso di piacere che si conclude con un ritorno di Cointreau. Ottimo l’abbinamento. La famiglia Russo produce vini dal lontano 1930, ma circa vent’anni fa Maurizio ha un’idea, portare la persona in cantina invece che i suoi vini in giro per il mondo. Oggi tutte le 60.00 bottiglie sono vendute direttamente in azienda e l’enoturismo è una realtà consolidata, un antesignano nell’offerta turistica che sta intercettando sempre più estimatori da tutti i continenti in un territorio unico al mondo dove storia tradizione e modernità convivono e donano davvero attimi di paradiso.

Da non sottovalutare il fatto che questo è un prodotto realizzato all’interno di un parco nazionale, quello del Vesuvio a significare che lo spirito di conservazione può felicemente sposarsi con la produzione di qualità che passa in questo caso seguendo i dettami della produzione biologica. Se quindi volete scoprire un lembo di paradiso non resta che andare a Trecase per godere a pieno di un territorio unico. Se poi volete condividere con gli amici un Lacrima Christi fatelo pure, ma ricordate, moderazione per la vostra e altrui salute. Nile sine magno, vita labore dedit mortalibus.

(Le rubriche “Cosa bolle in pentola” e “Mondovino” sono a cura di Anselmo Fantoni)

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