di Gabriele Versari – La sanità Toscana è oggi al centro del dibattito nazionale in relazione alle ultime novità sulla legge inerente il fine vita, materia quanto mai controversa, non solo matrice di conflitti politici ma anche etici e morali che talvolta risultano fortemente accesi. Il tema che oggi si intende approfondire è invece legato alle vicende interne alla Regione, le quali impattano direttamente le nostre vite in termini di servizi al cittadino, soprattutto quando ci si riferisce a distretti sanitari estremamente dislocati come è il caso del nostro Casentino.
Dopo lo scorso 4 giugno, giornata in un cui si è svolta a Firenze la conferenza a promozione del referendum sulla sanità pubblica Toscana, Giuseppe Ricci, ex direttore della ex ASL di Arezzo, è tornato a parlare a Casentino2000 per ribadire nuovamente l’importanza della riforma in relazione allo scorporamento delle attuli tre grandi ASL in dodici differenti enti, ognuno corrispondente alle dodici diverse aree omognee in cui suddividere il territorio. Ricci si batte dal 2015 al fine di ottenere tale riorganizzazione amministrativa, cioè da quando si è passati, per volontà dell’allora consiglio regionale, alla coesistenza di 3 aziende sanitarie per tutta la regione, le cui sedi sono rispettivamente Pisa (ASL Toscana nord-ovest), Firenze (ASL Toscana Centro) e Siena (ASL Toscana sud-est, area che include anche il nostro Casentino e il suo ospedale). Ricci ricerca il maggior supporto possibile per mettere a conoscenza i toscani (e i casentinesi) dell’esistenza di questa iniziativa con l’obiettivo di raggiungere le 30 mila firme necessarie per l’approvazione del quesito referendario: “Questo referendum non ha bisogno di quorum essendo di tipo consultivo. Dunque, è sufficiente raggiungere il numero di firme richieste al fine di presentare il quesito.” Afferma Ricci.
Il 4 giugno è stato indetto un incontro legato al tema del referendum di cui stiamo discutendo. Qual è stato lo scopo di tale riunione? «Abbiamo distribuito dei moduli forniti dalla Regione a tutte le province toscane. Erano presenti cittadini, associazioni e rappresentanti di partito, di fatto tutti coloro che ancora credono in qualche misura alla sanità pubblica, oggi fortemente in crisi com’è evidente sotto gli occhi di tutti. Al momento tutte le province Toscane hanno il modulo per la raccolta firme, ognuna di esse è fornita di una sede atta a svolgere tale compito. Credo che l’ostacolo maggiore sia rappresentato proprio dal raggiungimento delle 35 mila firme, necessarie per presentare il quesito referendario. Ad oggi vediamo poca promozione dell’iniziativa. Per tale motivo ho accettato volentieri l’intervista, in modo da sponsorizzare il referendum e invitare anche i cittadini casentinesi a firmare. Purtroppo, le risorse economiche necessarie per avere maggiore copertura mediatica mancano, dunque non sappiamo se si riuscirà a raggiungere l’obiettivo preposto. Occorre che le associazioni facciano la loro parte. In Casentino, i comuni di Pratovecchio Stia e Castel San Niccolò hanno già i propri moduli per firmare, perciò invito i casentinesi a recarsi lì se interessati a dare il proprio contributo».
Se lei dovesse convincere un cittadino toscano medio a firmare la proposta quali parole userebbe? «Gli direi semplicemente di guardarsi intorno e osservare se la sanità pubblica funzioni o meno. Dopo quanto tempo si ottiene una visita? E una diagnosi? Passano mesi, nei casi migliori».
Dunque, in che modo la riforma andrebbe a ridurre i tempi delle liste d’attesa? «Tanto più sei limitrofo al centro direzionale di un determinato servizio, tanto più puoi pretendere che tale servizio ti sia fornito. Lo stesso principio vale anche per la sanità. In secondo luogo, i dirigenti di tali strutture risponderebbero del proprio operato direttamente ai sindaci della provincia, i quali sarebbero chiamati al compito svolto oggi dal consiglio regionale, cioè quello di supervisionare gli stessi dirigenti delle ASL attualmente vigenti. Ad oggi i sindaci non intervengono più poiché non hanno alcun potere sui distretti sanitari e sulle loro strutture centrali. Quando ero dirigente ad Arezzo i sindaci della provincia mi chiedevano un rendiconto su quanto veniva speso e come era investito il denaro, con tanto di dimostrazioni del caso. Se in conti non tornavano, i sindaci potavano benissimo chiedere le mie dimissioni, eventualità impossibile con il sistema odierno. Nelle ASL provinciali sono i sindaci a determinare gli indirizzi e a dettare i piani di spesa.
Per tali motivi, è giusto richiamare all’attenzione anche i primi cittadini dei comuni toscani, compresi quelli del Casentino. Lo stesso Vagnoli di Bibbiena ha accolto la nostra iniziativa e ha spinto affinché la proposta fosse portata avanti. Altri sindaci anche al di fuori del Casentino sostengono il referendum, ma oltre a dischiararsi favorevoli occorrerebbe un maggiore impegno politico, da parte degli amministratori comunali, nel raggiungere le tante auspicate 35 mila firme. Oggi i dati relativi ai servizi sanitari sono raccolti tramite algoritmi. Non importa se le visite vengano effettuate in quello o quell’altro ospedale, obbligando un numero ingente di cittadini a spostarsi di decine di chilometri anche per un semplice controllo. L’importante è che si effettuino un determinato numero di prestazioni sanitarie ogni anno.
Il caso del Casentino è emblematico: considerando la bassissima qualità della viabilità, gli spostamenti continui obbligati dall’attuale sistema ospedaliero e la lentezza dei procedimenti stessi portano ad una dilatazione dei tempi d’attesa e a un disagio tali da non essere sostenibili. Tale dinamica spiega anche il frequente utilizzo degli elicotteri in ambito sanitario, mezzi che di solito si dirigono verso il centro ospedaliero principale per cercare di stringere i tempi, ma di fatto ci si riesce solo in parte. Solitamente, gli elicotteri trasportano i malati critici ai principali ospedali della regione, riducendo la capacità di operare su questo tipo di pazienti da parte degli ospedali più piccoli e di conseguenza riducendone l’efficienza. È una conseguenza diretta della centralizzazione delle prestazioni figlia dell’attuale sistema».
Perché allora, nel 2015, si è deciso di passare da un sistema provinciale di organizzazione delle aziende sanitarie a quello attuale tripartito? «Nel 2014 la Toscana aveva il bilancio sanitario in forte disavanzo, la Regione stava addirittura per essere commissionata. Il presidente dell’epoca Enrico Rossi non poteva permettersi un danno di immagine simile prima di presentarsi alle elezioni dell’anno successivo, dunque agì di conseguenza. Il consiglio promulgò una legge che prevedeva 1800 esuberi e un conseguente sostanzioso risparmio in termini di spesa sanitaria, in modo da evitare il commissariamento. È chiaro che tale misura ebbe un impianto eminentemente utilitaristico e non tenne di conto delle esigenze in termini di personale che tutt’oggi come allora contraddistinguono il nostro sistema sanitario. Dal 2015 ad oggi, volenti o nolenti, la legge non è cambiata. Se in quel momento ha assunto la funzione di “tampone” visto il bilancio in rosso, nel corso degli anni la spesa è aumentata a causa di una onerosa sovrattassa IRPEF. Con il referendum si ha la possibilità di ridurla in larga misura eliminando tale imposta, migliorando al contempo il servizio».
Non è paradossale, presidente Ricci, che aumentando il numero delle aziende sanitarie da tre a dodici non si vada incontro a maggiori spese per il personale? «Nessuno impone di assumere nuovi direttori sanitari quando è possibile selezionarli tra quelli che già lavorano nelle strutture oggi vigenti. L’unica differenza sarebbe quella legata al ruolo specifico e agli incarichi, ma in termini di numero di dipendenti non si verificherebbe nessun cambiamento. Il punto fondamentale del nostro discorso è: di cosa ha bisogno una realtà locale. Ad esempio: il Casentino, in base al numero di abitanti e alla normativa di cosa ha bisogno? Di un reparto di medicina? Di uno di chirurgia? Di un pronto soccorso? Di attività diagnostica specialistica? Nessuno oggi si fa queste domande, dunque, il Casentino è deficitario di una rendicontazione sanitaria.
Se il referendum venisse approvato, finalmente, si inizierebbe a pianificare tali esigenze programmatiche. Oggi, tutta la ricchezza è concentrata nelle sedi principali delle ASL. Distribuire l’ammontare a livello provinciale significherebbe supportare, non solo a livello sanitario ma anche economico, le comunità più isolate come lo stesso Casentino. Se si riuscisse ad avere un maggiore numero di medici che operano nel territorio si tratterebbe di una ricchezza anche culturale per una comunità.
Per concludere, vorrei esprimere la mia rabbia nel sapere di dover rinunciare a dei bisogni primari in qualità di cittadino. Il Casentino, come ogni altro luogo della Toscana, ha diritto di accedere alle risorse che gli spettano in base ai bisogni dei propri cittadini. Per quale motivo oggi, all’interno dell’Ospedale del Casentino, sono presenti la metà dei posti letto rispetto a un tempo e la metà dei chirurghi, a discapito di una legge che avrebbe dovuto aumentare la capacità ospedaliera? È comprensibile stanziare reparti specializzati nei centri più grandi, ma non è giusto omettere anche quelli di base contribuendo a costringere i cittadini a scegliere gli studi medici privati per ridurre i tempi di attesa. Occorrono programmazione, qualità ed efficienza. Con il sistema attuale siamo obbligati a rinunciare ad una sanità che funzioni davvero. Bisogna cambiare!»
REFERENDUM CONSULTIVO SANITA’ TOSCANA SI firma qui
Elenchiamo i COMUNI del CASENTINO dove è possibile firmare per il REFERENDUM:
– BIBBIENA presso URP Comune
– CASTEL SAN NICCOLO’ presso URP Comune
– STIA-PRATOVECCHIO presso URP Comune
– POPPI presso URP Comune
– CAPOLONA presso Comune
– SUBBIANO presso Comune