di Lara Vannini – Molti liquori, distillati ed elisir, che oggi ci accompagnano a fine pasto come bevande di solo piacere, un tempo erano considerati dei veri e propri rimedi medicamentosi, che grazie alle proprietà delle erbe officinali di cui erano costituiti, potevano alleviare numerose sintomatologie dai disturbi gastrici alla debolezza dell’organismo. Essendo equiparate a dei farmaci, spesso le bevande liquorose erano prodotte da eremi e monasteri che al loro interno avevano farmacie e spezierie gestite da religiosi. È noto come la tradizione erboristica degli antichi luoghi di culto è nata per studiare le proprietà delle erbe officinali e poterle utilizzare per curare i più comuni “malanni” o disturbi di stagione come bronchiti o raffreddori.
I prodotti degli eremi e dei monasteri erano, come diremmo oggi, a “km 0” perché i prodotti naturali e le erbe officinali venivano coltivati dagli stessi religiosi nei campi e nei boschi limitrofi e successivamente lavorati. Nei laboratori venivano macerate non solo le erbe ma anche piante, frutta, cereali e frutta secca. Un vero laboratorio di salute e bellezza che nella contemporaneità non solo ha mantenuto il proprio fascino ma si propone come coadiuvante alle medicine vere e proprie.
Le bevande liquorose Ancora oggi famosissimi sono i i liquori a base di anice e ginepro, ma anche di genziana, o la cocciniglia, il famoso colorante naturale presente nell’Alchermes. A proposito di quest’ultimo liquore, in passato veniva spesso venduto, oltre che per le preparazioni dolciarie, come ricostituente anche se la gradazione alcolica abbastanza elevata non lo faceva rientrare propriamente in un farmaco. Le origini dell’Alchermes risalgono al 1700 ad opera di un frate domenicano Cosimo Bucelli, dell’antica farmacia di Santa Maria Novella a Firenze. I principali ingredienti che costituivano i più famosi liquori erano: il mallo di noce con il quale veniva preparato il Nocino, il liquore della Strega fatto con Noce moscata, chiodi di garofano e Ginepro o le gemme di Abete. Tutti questi ingredienti dovevano essere miscelati con acqua, alcol e zucchero per diventare delle ottime bevande liquorose.
L’alcol era necessario per preservare a lungo termine gli effetti benefici delle piante che caratterizzavano le varie bevande. Ogni liquore per risultare gustoso al palato doveva essere preparato seguendo scrupolosamente ogni fase della sua preparazione a partire dalla raccolta degli ingredienti: le radici, i rizomi e i tuberi si raccoglievano generalmente ad inizio inverno quando la pianta andava a riposo, le foglie venivano raccolte con l’inizio della fioritura, le cortecce in autunno o primavera, mentre i fiori erano perfetti appena schiusi e i frutti e semi quando la frutta era andata a maturazione.
I distillati erano i liquori dolci che gli speziali offrivano ai religiosi nei giorni festivi oltre alla quota di vino che spettava giornalmente. Un’altro liquore famoso nella vallata casentinese è ad esempio la Lacrima d’Abeto di Camaldoli, risalente addirittura al XV secolo d.C., costituito da gemme di Abete e erbe alpine molto consigliato a fine pasto o con il dessert.
Il Noce L’albero di noce è una pianta nobilissima tanto è vero che sia i suoi frutti che il legno ancora oggi sono tra i più pregiati, una pianta quindi utilizzabile in ogni sua parte. Sappiamo che già dal 1500 la noce era un frutto molto utilizzato e consumato sia secco che candito con miele, cannella e chiodi di garofano. Le noci bollite potevano essere un ottimo contorno per le carni, e alcune parti della noce verde come il mallo, estratto dalla buccia, poteva essere un rimedio per ascessi e infezioni alla gola. Una curiosità che non tutti conoscono, è che la pianta del Noce presenta all’interno delle foglie, delle radici e della corteccia una sostanza tossica che diffondendosi nel terreno non permette ad altre piante di germogliarle vicino. Per questo spesso troviamo l’albero del Noce in posizione solitaria. Secondo le antiche spezierie, le noci avrebbero proprietà digestive, depurative, antinfiammatorie e ipoglicemizzanti. La noce, soprattutto nel passato, ha costituito una risorsa nutritiva importantissima basti pensare che in quei luoghi dove non era possibile l’uso dell’olio di oliva, veniva estratto un olio a base di noce.
Il Nocino Il Nocino come lo conosciamo oggi è un liquore che risale ai primi del ‘900. Oggi per prepararlo si usa l’alcool a 95 gradi, ma in passato è stata utilizzata anche l’acqua vite ovvero una distillazione dell’uva intera fermentata. Secondo la tradizione, le noci che servivano per la preparazione del Nocino, si raccoglievano la notte di San Giovanni, forse una tradizione che ha anche una componente superstiziosa e magica visto che l’albero del Noce si lega da sempre a storie di streghe e incantesimi.
È molto semplice capire se le noci sono pronte per la preparazione liquorosa perché devono essere ricoperte del mallo e il guscio legnoso ancora non deve essersi formato quindi prendendole in mano, devono risultare morbide e non del tutto formate. La leggenda vorrebbe anche che per la preparazione di un ottimo Nocino, la pianta del Noce fosse sufficientemente vecchia, e la sua esposizione fosse soleggiata tutto l’anno. Il frutto della noce che oggi è tornato prepotentemente sulle nostre tavole come ingrediente principale di insalate e snack fuori pasto, si chiama tecnicamente “drupa”.
La preparazione del Nocino è diffusa in tutta Italia e può differire lievemente di sapore, ma gli ingredienti fondamentali devono essere: il mallo di noce, l’alcol alimentare e lo zucchero. Spesso possono essere aggiunti degli agenti aromatizzanti come chiodi di garofano o cannella, ma l’importante è che l’aroma della noce resti predominante. Il composto così ottenuto dovrà restare in macerazione alcuni mesi e successivamente invecchiato di almeno un anno in un ambiente fresco e ventilato. Una curiosità che richiama al passato e alla notte di San Giovanni ci viene proposta dall’ “Ordine del Nocino Modenese”, una Associazione presente tutt’oggi a Modena che, alle proprie origini, era composta di sole donne per ricordare l’antica tradizione della raccolta delle noci effettuata da mani femminili.
Ancora oggi lo Statuto dell’Associazione, all’art. 4 recita così: “Possono diventare soci dell’Associazione solo donne”, gli uomini sono consulenti senza diritto di voto, una particolarità che crea ancora una volta un filo segreto e indissolubile tra passato e presente.