di Melissa Frulloni – Medici aggrediti, infermieri picchiati, sanitari insultati… Ormai la cronaca nazionale ci ha abituati a notizie di questo tipo. Sono sempre più frequenti e purtroppo iniziano a sembrarci familiari, quasi “normali”. Invece ci troviamo di fronte ad una fenomeno veramente tremendo che in molti ospedali d’Italia non mette medici ed infermieri nelle giuste condizioni per poter operare nel migliore dei modi e secondo il famoso giuramento a cui si devono rifare.
Nelle grandi città la paura la fa da padrona e pur di evitare offese, o peggio, schiaffi e pugni, si chiude un occhio, si lascia correre, non si denuncia e il paziente o i parenti vengono legittimati nel vergognoso comportamento di attaccare chi li aiuta. Oggi a stare in corsia si rischia e tanto! Lo scorso maggio la Cgil ha diffuso i dati dell’Inail che mostrano una situazione preoccupante: almeno 1200 aggressioni vengono denunciate ogni anno. I Pronto Soccorso restano i luoghi maggiormente colpiti dalle violenze e laddove non si usano le mani, ci sono le offese verbali. Il dato certo è quindi che parenti, visitatori e, a volte, pazienti stessi sono molto indisciplinati.
“Il rapporto tra operatori sanitari e utenti è cambiato molto nel tempo. I cittadini hanno esigenze diverse rispetto al passato, ma però hanno anche meno pazienza. In generale si respira un clima di poca tolleranza che porta a rivendicare i propri diritti non sempre nel modo giusto. Le aspettative possono giustamente essere più alte, ma questo non può legittimare certi comportamenti che sono intollerabili.” Ci ha spiegato Gino Parca, primario di medicina interna dell’Ospedale San Donato di Arezzo e Clinical Risk Manager (responsabile gestione rischio clinico) dell’area aretina.
Lo abbiamo raggiunto per capire se questo fenomeno è presente anche nel nostro territorio e soprattutto se ci sono strategie messe in atto dalla ASL per arginarlo, ridurlo e fermarlo.
Dottor Parca, in questo senso come si è mossa l’Azienda? «La Raccomandazione Ministeriale n.8 si è occupata di dare delle linee di indirizzo per far fronte agli atti di violenza verso gli operatori sanitari. Stando alla direttiva dobbiamo muoverci in diverse direzioni. Innanzitutto elaborare programmi di prevenzione che passino da una valutazione dei luoghi di lavoro, poi da valutazioni organizzative-strutturali e infine da quelle tecnologiche. Inoltre è importante sapere che ci sono delle sedi particolarmente a rischio come i reparti psichiatrici, quelli per le tossicodipendenze, o il Pronto Soccorso che è un porto di mare in cui approdano un po’ tutti. Per questi luoghi, quindi, è importante avere delle dotazioni tecnologiche come la videosorveglianza oppure strutturali, come barriere o allarmi, per poter chiedere aiuto nel momento del bisogno. A monte deve esserci, quindi, un censimento dell’esistente.
Siamo partiti come ASL8 e poi abbiamo proseguito come Area Vasta a muoverci in questa direzione. Ma da quando il Ministero ha dato delle linee guida più precise, circa tre, quattro anni fa, abbiamo iniziato ad occuparci in maniera più diffusa di tutti i presidi ospedalieri, anche di quello di Bibbiena, in cui ci sono molti operatori legati alla gestione del rischio clinico che è un po’ la macro area che poi riguarda anche la violenza sui sanitari.»
Quale è la situazione nell’Ospedale del Casentino? «Ogni ospedale ha le proprie caratteristiche. Quello di Bibbiena essendo piccolo è più facile da controllare, mentre quello di Arezzo che ha molti ingressi, presenta sicuramente una gestione più complessa. Abbiamo creato un gruppo di lavoro che nelle varie aree territoriali, quindi Arezzo e poi anche Bibbiena, ha elaborato un programma di prevenzione contro la violenza sugli operatori. I primi da coinvolgere in questo lavoro sono ovviamente loro.
Dobbiamo fargli capire che vige una politica di tolleranza 0; nessuno può accettare la benché minima aggressione, né verbale, tantomeno fisica. Non dobbiamo reagire, ovviamente! Ma dobbiamo sapere cora fare, come affrontare le situazioni conflittuali. Per questo diventa fondamentale la formazione e la sensibilizzazione dei sanitari; aumentare le loro conoscenze e competenze su questo aspetto ha un’importanza davvero centrale. Alcune Aziende fanno anche dei corsi di difesa personale; in alcuni casi possono veramente servire, perché a volte, il nostro è un lavoro di trincea, ma qui abbiamo deciso di agire in un altro modo.»
Il Dottor Parca ci spiega che la cosa più importante da fare è quella di segnalare. Ogni operatore è tenuto a farlo, sempre, a non dire “è successo, ma non risuccederà”: “La segnalazione è un momento fondamentale che permette di far emergere la criticità prima che esploda l’evento dell’aggressione, quello che noi chiamiamo “sentinella”, rispetto al quale dobbiamo arrivare prima. Nel nostro intranet abbiamo creato una sezione in cui gli operatori possono segnalare situazioni che reputano rischiose. Abbiamo registrato molte segnalazioni di aggressioni verbali che, però, a volte, sono l’anticamera di quelle fisiche.” Ci ha spiegato Gino Parca.
Sull’argomento abbiamo raggiunto anche Giovanni Grasso, Coordinatore OPI Toscana (Ordini delle Professioni Infermieristiche), rappresentante di una categoria molto vicina ai pazienti, forse più dei medici.
Anche per lui la segnalazione è importantissima, così come la formazione, il sapere cosa fare davanti ad una situazione critica: “La ASL Toscana Sud Est ha attivato sul sito aziendale una scheda per la segnalazione di aggressioni subite che viene poi trasmessa alla dirigenza per attivare tutta la procedura di supporto psicologico e lavorativo per il collega vittima. In aggiunta, l’Azienda ha anche attivato un gruppo aziendale multi-professionale contro questo brutto fenomeno. Parlando, invece, nello specifico, del Casentino, è stato programmato, per il mese di novembre, un corso di formazione che riguarderà il tema della violenza, nel quale verranno insegnate delle tecniche per inattivare l’aggressore.” Ci ha spiegato Grasso.
Che cosa è la campagna #Rispettachitiaiuta? «La campagna social #Rispettachitiaiuta è nata proprio con la finalità di accendere i riflettori su questa questione, per sensibilizzare i cittadini sul tema della violenza contro gli operatori della salute. Questa campagna è stata l’occasione per promuovere la diffusione di un video/spot contro la violenza, in cui viene rappresentato il momento in cui a perdere siamo tutti quanti, paziente e operatore sanitario, e vuole essere un modo per arrivare a tutti…
Lo scorso 16 ottobre sono stato relatore per la Federazione Nazionale degli infermieri, a Roma al “Primosymposium Workplace Violence in the Health Sector Survey Questionnaire, del World Health Organization – ONU Rapporto Italia”, dove abbiamo discusso di questa tematica e dove ho presentato proprio la campagna social #Rispettachitiaiuta al Ministro Speranza, al Presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini e al Presidente della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati, Marialucia Lorefice.»
Purtroppo, anche in Casentino si sono verificati episodi di violenza sui sanitari: “L’ultimo episodio al quale ci riferiamo è avvenuto nei primi giorni di settembre all’interno del Pronto Soccorso e, senza entrare nello specifico dell’accaduto, ha visto comunque il verificarsi prima di un’aggressione verbale nei confronti dell’infermiera che stava effettuando il triage e poi dell’irruzione all’interno del Pronto Soccorso con grave violazione della privacy dei pazienti in quel momento sottoposti ad intervento sanitario. É stato necessario l’intervento dei carabinieri per riportare alla normalità la situazione.
Non collegherei l’episodio alla funzionalità o all’organizzazione della struttura, ma alla tensione e alle paure che generano i problemi di salute, purtroppo il più delle volte anche gravi, di chi si presenta in una struttura sanitaria. È necessario, però, che i cittadini comprendano che medici e infermieri lavorano per loro e per il loro bene, mettendoli in condizione di dare il meglio di sé per poterli davvero aiutare.” Ci ha spiegato Grasso.
Il Dottor Parca ci ha confermato che è stato firmato, ad Arezzo, un protocollo di intesa con la prefettura che sigla un accordo con le forze dell’ordine. L’Ospedale San Donato, infatti, rispetto a quello del Casentino, è una realtà molto più grande. Inoltre, anche ad Arezzo, come a Grosseto e in altri ospedali provinciali dell’Area Vasta sono presenti, all’interno delle strutture, i vigilantes, per garantire la sicurezza di tutti, operatori e pazienti.
“Questo è un tema caldo, molto importante, a cui dobbiamo rivolgere tutta la nostra attenzione. La ASL ci punta molto, soprattutto sul discorso della prevenzione. Siamo partiti diversi anni fa, non sull’onda dei recenti fatti, ma perché ci interessava come Azienda. Inoltre, per quanto riguarda il Casentino, sono previsti degli interventi nel nuovo PS che ora è in fase di ristrutturazione. È previsto l’inserimento della videosorveglianza, di barriere e allarmi, e di quant’altro legato al tema. Crediamo però che alla base ci sia la necessità di ricostruire l’alleanza tra medici e cittadini che, nel tempo, si è sicuramente deteriorata.” Ha concluso Parca.
Anche Giovanni Grasso ci parla di “tolleranza 0” verso gli episodi di violenza nelle strutture sanitarie: “Sarebbe necessario un inasprimento delle pene per chi compie questi atti. L’informazione sarebbe essenziale per far capire ai cittadini di stare perpetrando un reato perseguibile. Inoltre, per quanto riguarda la categoria degli infermieri, basta citare il decalogo che la Federazione Nazionale ha predisposto e che prevede, tra le altre cose, di snellire le attese stressanti in Pronto Soccorso, con meccanismi di smistamento alternativi; di aumentare la formazione del personale nel riconoscere, identificare e controllare i comportamenti ostili e aggressivi; di predisporre un team addestrato a gestire situazioni critiche e in continuo contatto con le forze dell’ordine; di stabilire procedure per rendere sicura l’assistenza domiciliare evitando, per quanto possibile, che i professionisti sanitari effettuino interventi domiciliari da soli, facendo in modo che con loro sia presente almeno un collega o un operatore della sicurezza.”
Sicuramente molti di noi cittadini, sono utenti indisciplinati; poca pazienza, nervi a fior di pelle, e la vita stressante e frenetica che ogni giorno facciamo non ci aiuta a sopportare con facilità code, attese, soprattutto se non stiamo bene, se siamo malati. Il rapporto medico-paziente è sicuramente cambiato negli anni e in questo internet e i social non hanno aiutato.
Chissà forse l’accesso libero e indiscriminato per tutti a nozioni di medicina, ci ha fatto montare la testa, facendoci credere di poter fare diagnosi o leggere referti, sulla base di quello che troviamo online. Andiamo dal medico già sapendo (o credendo di sapere) da quale male siamo afflitti; a volte la sua parola non ha più autorevolezza, così come gli ospedali (purtroppo anche a causa dei tagli alla sanità pubblica), che non percepiamo più come quel luogo talvolta anche austero, dove vigono regole ferree, ma in cui possiamo trovare soluzione ai nostri problemi di salute.
Le regole comunque ci sono ancora; sta a noi cittadini rispettarle e agli operatori sanitari farle rispettare… Forse cominciare da qui potrebbe essere utile.
(tratto da CASENTINO2000 | n. 312 | Novembre 2019)