fbpx
8.9 C
Casentino
venerdì, 3 Maggio 2024

I più letti

Soccorso dal cielo, dal Casentino alla Romagna

di Mauro Meschini – «La mamma, anche lei pronta a salire, ci aveva affidato i suoi bambini e sapevamo che li stavamo portando a bordo di un elicottero attaccati ad un cordino di 8mm. È stata una responsabilità ed un’emozione diversa, quei 40 metri che separavano la terrazza dall’elicottero mi hanno visto continuamente controllare che il bambino non si muovesse e che la bambina fosse nella posizione corretta. Quando siamo entrati nel mezzo ho sentito la soddisfazione non solo di averli salvati, che era l’obiettivo, ma di aver saputo adattare gli strumenti a disposizione alla situazione che dovevamo affrontare».

Questi momenti, vissuti appeso a 40 metri di altezza accanto a due bambini, sono certamente quelli che sono più nitidi e coinvolgenti nel racconto di Furio Fei che, dopo il servizio militare nei carabinieri, ha conosciuto nel gruppo volontario di Pratovecchio il mondo dei vigili del fuoco di cui si è subito appassionato. Poi il concorso nel 2001 e l’ingresso effettivo nel corpo dei Vigili del Fuoco, quindi l’ulteriore formazione che lo ha portato a diventare elisoccorritore prima ad Arezzo e adesso nel reparto volo di Bologna, che dal punto di vista degli elicotteri utilizzati e delle esperienze maturate è forse uno dei più avanzati a livello nazionale. Il 16 maggio, quando è iniziata l’emergenza in Romagna, era in servizio con i colleghi del suo equipaggio: due piloti, un tecnico di bordo e l’altro elisoccorritore.

Nei giorni precedenti c’erano stati segnali che potevano far pensare al disastro che poi si è verificato? «No, non ci sono state avvisaglie. I problemi si sono affacciati dalla notte precedente…».

La notte tra il 15 e il 16 maggio… «Si, noi eravamo in preallarme dall’alba. Fino a metà giornata le situazioni si riuscivano a gestire senza eccessiva criticità dopo è successo il disastro. Io ho avuto le mie esperienze, ho vissuto gli scenari dei terremoti a L’Aquila, l’Umbria, la stessa Emilia; le alluvioni come ad Aulla qui in Toscana. Però questa situazione aveva una criticità tutta sua, intanto una estensione così non si era mai vista. Andava dal sud del Comune di Bologna e arrivava al confine fra il riminese e il pesarese, con la pianura interessata dall’emergenza idrica mentre in Appennino si è verificata quello geologica perché è tutto franato, soprattutto nella zona del Senio, dove ci sono frazioni che probabilmente non torneranno ad essere abitate perché è scomparsa la strada, ma non c’è più quella staticità che possa permettere di ricostruire dei passaggi…».

In un’emergenza del genere voi a chi fate riferimento? «È stata attivata una sala operativa per il soccorso aereo, in cui erano presenti vigili del fuoco, Aeronautica, Esercito, Guardia di Finanza tutte le strutture che andavano a concorrere per garantire il soccorso aereo. Naturalmente per la tipicità della situazione il coordinamento era dei Vigili del Fuoco perché era un intervento di protezione civile. C’erano un gran numero di equipaggi a disposizione, noi da Bologna avevamo due elicotteri operativi, erano poi giunti supporti dai Vigili del Fuoco di Venezia e Pescara, poi c’erano i mezzi degli altri attori che partecipavano ai soccorsi. Era necessario vagliare le richieste, chi aveva necessità inderogabile e chi poteva attendere, questo lavoro di valutazione veniva fatto in sala operativa. L’equipaggio di volo deve pensare a fare soccorso, quindi abbiamo o delle coordinate GPS oppure anche l’indicazione della via, come se fosse una navigatore terrestre…».

Dove avete operato con i primi interventi? «A Cesena, dove c’era tutto un quartiere con le persone che avevano già l’acqua al primo piano delle abitazioni. Abbiamo soccorso una persona che era attaccata ad un cornicione prima che la corrente la portasse via. Poi siamo stati indirizzati a Castrocaro dove abbiamo salvati quattro persone che erano salite sul tetto di un mezzo circondato dall’acqua. Quindi ci hanno fatto spostare di poche centinaia di metri dove una persona era attaccata alla grata di una finestra. Presa questa persona per un discorso di limiti di peso e di limiti di carburante siamo dovuti rientrare a Forlì a fare rifornimento».

Quante persone possono essere trasportate su un elicottero? «A numero molte, ma ci sono molti aspetti da considerare e da tenere in considerazione. Quel giorno avevamo condizioni di volo complicate con un vento rafficato fino a 50 Km/h, che influiva sulla stabilità dell’aereomobile, una nuvolosità bassa con scarsa visibilità. In quelle condizioni volevamo avere un margine per gestire possibili ulteriori difficoltà, è fondamentale che le persone che vanno a soccorrere non abbiano a loro volta necessità di essere soccorse».

È necessario mantenere sempre un margine di sicurezza… «Almeno che il gioco non valga la candela perché quando si fa un soccorso si deve pensare, non è una cosa automatica, ci sono casi in cui si possono tenere livelli di sicurezza leggermente più bassi perché significa la vita o a morte di qualcuno, ma in quel momento tutti erano a bordo e potevamo tornare».

Poi quando eravate a Forlì è arrivata una richiesta di soccorso che si è rivelata complicata e particolare… «C’era questa criticità di una famiglia con due bambini piccoli all’interno di un’abitazione che, dopo l’esondazione del fiume, stava facendo da spartiacque e le forti correnti non rendevano possibile avvicinarsi con i gommoni. C’erano anche dei dubbi sulla reale resistenza statica dell’abitazione…».

Che rischiava quindi di essere portata via… «Possibile perché la forza dell’acqua era davvero impressionante. Questa famiglia era già al piano superiore e quando siamo arrivati abbiamo visto che la situazione non era semplice, il vento creava difficoltà a tenere l’elicottero, la visibilità andava e veniva… il pilota è riuscito a trovare una condizione stabile e abbiamo visto che era possibile scendere su una piccola terrazza, anche se c’era un cavo elettrico nei pressi che poteva creare qualche preoccupazione. Si è calato per primo il mio collega e appena arrivato si è sganciato dal verricello e ci ha detto per radio che la situazione era un po’ diversa da come era stata presentata, i bambini erano due ma il maschietto era in culla e aveva circa sei mesi mentre la sorellina aveva circa tre anni…».

Era davvero un problema portarli in salvo… «Dovevamo farlo ma non abbiamo attrezzature che si adattano a dei neonati o bambini piccoli. Abbiamo fatto mente locale su quali potevano essere le nostre alternative valutando che sarebbe stato possibile utilizzare una tavola spinale su cui si distendono le persone traumatizzate per garantire l’allineamento tra testa, collo e tronco. Una volta portata giù la tavola ci abbiamo messo la culla e l’abbiamo legata in maniera da renderla un unico corpo. Alla bambina abbiamo messo una copertina per tenerla un po’ più comoda, un cuscinetto sotto e abbiamo usato le stesse cinghie per far diventare anche lei corpo unico con la barella che poi è stata inserita in una sacca che è stata chiusa per avvolgere tutta la tavola. La barella è stata accompagnata da un elisoccorritore mentre l’altro sosteneva un cordino necessario per non farla ruotare. In quella situazione il risultato del salvataggio non dipende dal singolo ma dai ruoli che ricoprono tutti i singoli membri dell’equipaggio. Quando abbiamo sistemato i bambini inizialmente la situazione era veramente particolare, quello in culla piangeva, la bambina era un po’ agitata.

Poi davvero sembra che da lassù qualcuno ci abbia guardato. Gli abbiamo portati fuori ci siamo agganciati insieme al cavo dell’’elicottero che era sopra di noi, eravamo nel momento più critico, ma i due bambini sono diventati degli angioletti non piangevano più e hanno ritrovato la serenità. Noi ci addestriamo in continuazione per fare queste operazioni, la barella si usa nei luoghi più impervi e tante volte, ma in questo caso si capiva che era una situazione diversa. Subito dopo anche la mamma è salita e siamo subito andati a portarli in un posto sicuro, sapendo che altre quattro persone erano rimaste ad attenderci nella casa. I bambini e la mamma sono stati subito visitati dai medici mentre noi recuperavamo e portavamo da loro anche le altre persone. Ci è arrivata la notizia che stavano benissimo e noi abbiamo continuato i nostri interventi perché c’erano altre persone da salvare».

Nei primi giorni gli interventi sono continuati soprattutto nelle zone di pianura poi dopo si è anche rafforzato l’intervento in montagna… «Si, nei primi giorni il maggior numero di risorse sono state usate per l’alluvione, ma già si interveniva in montagna. Poi una volta superata la fase critica dell’alluvione ci siamo spostati in montagna dove ci sono realtà rurali con persone molto legate al territorio e ai propri animali».

I problemi venivano dalla presenza di case lesionate o per il fatto che c’erano persone isolate? «I movimenti franosi hanno preso delle zone ampie che in alcune parti interessavano la viabilità in altre parti mettevano a rischio la staticità delle case. Se c’è un rischio si sollecita a prendere il minimo indispensabile e si devono evacuare le persone. Ci sono situazioni in cui puoi fare scegliere in altri la persona si deve affidare a ciò che i soccorritori le propongono».

Questa situazione di lavoro continuo per quanti giorni è andata avanti? «Praticamente fino ai primi di giugno, abbiamo avuto un doppio equipaggio in volo e colleghi provenienti da Roma sono venuti ad aiutarci perché a quei ritmi stare in volo dalla mattina alla sera diventava difficile, abbiamo fatto dei turni dalle 6 alle 14 o dalle 14 alle 22. In volo gli standard devono rimanere alti e quindi è stato necessario garantire momenti di riposo per recuperare le forze e la concentrazione».

È stata una situazione che ha interessato tante persone e un’area di territorio immensa, purtroppo ci sono state delle vittime, ma il bilancio poteva essere ancora più pesante? «Quello che posso dire e che le vittime si sono avute soprattutto nell’immediatezza dell’esondazione, quindi gli interventi delle prime ore possono aver contribuito a salvare qualcuno che si trovava in condizioni di reale pericolo. È stato importante quindi avere tanti mezzi subito a disposizione, ma non siamo riusciti ad arrivare a tutti….».

Sembra che ci siano state situazioni in cui è accaduto il peggio perché chi era coinvolto non poteva neppure immaginare che si sarebbe trovato in poco tempo in un così grave pericolo… «L’innalzamento dell’acqua è difficile da prevedere, molte volte quando si vedono pochi centimetri d’acqua il pensiero va solo alla macchina in garage da salvare. Purtroppo a volte per mettere al sicuro le cose si perdono delle persone…».

Non si riesce a valutare quali siano le priorità. Questo dovrebbe essere compito di una formazione e informazione preventiva per educare tutti a comportamenti adeguati… «Io mi auguro e spero che due materie, la protezione civile e la capacità di usare un defibrillatore e saper fare un massaggio cardiaco, siano inserite nelle scuole. Questo permetterebbe di avere persone non dico pronte a fare, ma almeno in grado di capire cosa non fare, sarebbe già un passaggio importante».

Ultimi articoli