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martedì, 19 Marzo 2024

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Tu chiamale se vuoi, emozioni….

di Antonella Oddone – Le parole e la melodia di questa poetica e malinconica canzone di Lucio Battisti ci hanno accompagnato durante gli anni ormai lontani e non sempre spensierati dell’adolescenza. Ma quale è l’essenza delle emozioni? Che cosa è l’intelligenza emotiva? E che significa “educare alle emozioni”?

Le emozioni sono processi mentali inconsci che hanno come scopo fondamentale quello di prepararci ad agire con determinati comportamenti in risposta a particolari stimoli ambientali. Influenzano tutte le funzioni della nostra mente, pensieri azioni e ricordi, e danno letteralmente significato e colore agli eventi della nostra vita. Hanno origine nella parte più arcaica del nostro cervello, il sistema limbico, dove arrivano e vengono elaborati gli stimoli e le sensazioni che provengono dal mondo esterno e dal cervello stesso. Da lì gli impulsi vengono trasmessi alla corteccia prefrontale (sede del ragionamento e delle funzioni cognitive), al sistema neuroendocrino e al sistema nervoso autonomo. Così se ci troviamo di fronte ad un lupo l’emozione paura provoca una scarica di adrenalina con aumento della frequenza cardiaca e respiratoria che ci rende pronti alla fuga.

Sappiamo che l’intelligenza ha tante sfaccettature (logico-matematica, linguistica, spaziale, artistica, musicale e così via), ma l’intelligenza emotiva o relazionale è fondamentale per la nostra natura spiccatamente sociale, perché è la capacità di comprendere e di controllare prima di tutto le proprie emozioni e di entrare in sintonia con le emozioni e i sentimenti degli altri. Anzi, forse ci possiamo sbilanciare: l’intelligenza è la somma di capacità cognitive e caratteristiche della nostra personalità mediate principalmente dalla capacità di controllo delle emozioni. L’associazione tra abilità cognitive e autocontrollo permette infatti distinti livelli di attenzione, concentrazione e gestione dell’ansia. C’è ben poco di genetico in tutto questo: qualcosina i geni c’entrano, ovvio, ma abbiamo visto l’importanza dei primi 1.000 giorni di vita e di un legame di attaccamento forte e sicuro per infondere nel bambino sicurezza di sé ed empatia verso gli altri. È ormai assodato dunque che le abilità del lobo frontale sono influenzate dal vissuto emozionale dei primi anni di vita, per questo dobbiamo insegnare ai bambini a riconoscere e soprattutto controllare le proprie emozioni.

C’è un bel lavoro da fare, considerato che le emozioni principali sono sette e ben 5 sono negative (rabbia, tristezza, paura, disprezzo, disgusto) una è neutra (sorpresa) e solo una positiva (gioia)! Anche i nostri bambini piccolissimi provano emozioni, e se quelle positive come la gioia e la tenerezza sono gratificanti e non hanno bisogno di tante spiegazioni, quelle negative spaventano il bambino e possono farlo sentire in colpa. Per esempio la rabbia verso un genitore che ha interrotto un gioco o fatto una bella brontolata può essere devastante per il bambino perché provoca sentimenti distruttivi verso chi garantisce per lui sicurezza, protezione e amore.

Molte teorie educative sono focalizzate nell’evitare che i bambini si comportino male, ignorando i sentimenti che sono alla base di quel comportamento. Mai umiliare un bambino: si deve valutare se un’azione è corretta o scorretta ma senza identificarla con lui. D’altra parte essere sempre dalla parte del bambino non è sufficiente anzi può essere deleterio, perché il bambino ha bisogno di regole. Il segreto sta nell’allenamento emotivo, ovvero l’empatia con cui si condividono e si aiutano i ragazzi ad affrontare tutti i sentimenti, in particolare quelli negativi. I genitori “allenanti“ non si oppongono alle manifestazioni di rabbia, tristezza e paura ma nemmeno le ignorano, e accettano le emozioni negative come inevitabili nella vita, anzi un’opportunità per costruire con i figli legami sempre più stretti: si educa in primo luogo con l’esempio, poi con le regole e la comprensione, e infine con il dialogo e il ragionamento.

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