di Melissa Frulloni – Innovazione, automazione, robotica… Sono termini che ci vengono ripetuti sempre più spesso nei telegiornali, in tv e anche nei programmi di varietà. Negli ultimi tempi, però questi termini si stanno facendo strada anche tra i banchi di scuola e vengono comunemente usati anche dai più giovani. In particolare il termine che ha assunto una certa rilevanza tra le mura scolastiche è il coding che non possiamo ancora definire una materia di insegnamento.
Per capire di cosa si tratta abbiamo chiesto aiuto a Simone Bertelli (nella foto sotto), Ingegnere Civile di Bibbiena, esperto nella Progettazione Sismica di Strutture che si è formato proprio presso l’ITIS Enrico Fermi, dove ha studiato informatica. Oggi è professore di laboratorio di fisica all’ITIS Galileo Galilei di Arezzo e ha lavorato a Foiano della Chiana come professore di matematica, presso l’istituto Ominicomprensivo Marcelli.
Sull’innovazione tra i banchi di scuola ha le idee chiare: “La scuola sta subendo una riforma digitale importante alla quale partecipano sia professori che studenti. Si sta pian piano capendo che ciò che serve ai ragazzi non è solo saper utilizzare il pc o essere introdotti all’informatica di base, non bastano la LIM in classe o i laboratori nelle scuole, quello che conta davvero è fornire agli studenti le basi per potere risolvere i più svariati problemi e, soprattutto una capacità di ragionamento che poi potranno riutilizzare e impiegare in qualsiasi lavoro andranno a fare da grandi. Sto parlando del pensiero computazionale, un ragionamento appunto che il coding è in grado di fornire.”
Quello che insegna Simone ai suoi ragazzi è proprio il coding che come dicevamo non è (ancora!) una vera e propria materia d’insegnamento, ma piuttosto, come lui stesso ci ha spiegato, un modo di ragionare e soprattutto di applicare il pensiero computazionale che, altro non è che la capacità di risolvere un problema pianificando una strategia. È un processo logico-creativo che consente di scomporre un problema complesso in diverse parti, più gestibili se affrontate una per volta. Trovando una soluzione a ciascuna di esse è possibile risolvere il problema generale.
Simone insegna per la prima volta coding ai ragazzi dell’istituto Marcelli, dalle elementari alle medie, notando un grande interesse e davvero tanta applicazione da parte degli alunni. Sul coding stanno uscendo i primi libri di testo e alcuni capitoli dedicati si trovano anche nei libri in dotazione a ragioneria o negli istituti tecnici, andando verso una continua pubblicizzazione e promozione di questo pensiero. Come ci spiega Simone: “Una volta “programmare” era un’operazione molto complessa. Occorreva conoscere interminabili righe di codice per potere “scrivere” il comando che si voleva imporre ad una macchina. Ancora oggi c’è chi scrive questi codici, ma lo fa per poterci far utilizzare, in modo semplice e intuitivo, il computer o lo smartphone. Le app che usiamo ogni giorno o i programmi con i quali lavoriamo hanno un linguaggio per noi comprensibile, ma dietro alla loro semplicità sta qualcuno che ha codificato per noi quel linguaggio. Il coding funziona essenzialmente in questo modo. Un linguaggio molto complesso è stato compattato all’interno di programmi che funzionano ad icone. Ogni icona corrisponde ad un comando, ad un’azione che possiamo decidere di far fare ad una qualsiasi macchina che sia questa un piccolo robot o un braccio meccanico utilizzato nella catena di montaggio di una fabbrica. Le icone si incastrano tipo un puzzle e quando lo schema è completato possiamo vedere come si è evoluta la nostra macchina o, nel caso di un robot, come questo si è mosso nello spazio.”
Grazie al coding è possibile rendere consapevoli i “nativi digitali”, ossia i ragazzi e i bambini nati e cresciuti nel mondo tecnologico e digitale, degli strumenti che hanno in mano ogni giorno. “I “nativi digitali” devono sapere che cosa c’è dentro ad un computer e devono capire come funziona il loro smartphone, non possono saper utilizzare benissimo tutti questi strumenti in modo inconsapevole. Li maneggiano sin da piccoli, ma senza la giusta coscienza e soprattutto senza essere minimamente informati.” Ci ha spiegato Simone che insiste sul fatto che spiegare agli studenti il pensiero computazionale non significa voler trasformare tutti in programmatori, ma piuttosto rendere i giovani consapevoli di tutto quello che hanno tra le mani, dei preziosi strumenti che maneggiano ogni giorno, scoprendo finalmente “di che cosa sono fatti” e come funzionano.
Nella scuola, tutto questo in cosa si traduce concretamente? «Quello che dobbiamo fare a scuola non è insegnare tramite la proiezione di una slide e far fare ai ragazzi per un’ora o due che siano il laboratorio di informatica. Quello che serve per attuare una vera e propria didattica digitale è proprio l’insegnamento del coding che permette agli studenti di ragionare, di essere creativi e perché no di avvicinarsi anche alle materie più scientifiche e logiche, oggi davvero richieste ed importanti nel mondo del lavoro. Utilizzare il coding nelle scuole significa anche dare le basi per poter poi un giorno utilizzare programmi, ad esempio, come excel, oggi indispensabile in tantissimi impieghi. Anche lì il pensiero computazionale è fondamentale e solo risolvendo piccoli problemi si può riuscire a capire quello più grande. L’informatica, il coding, devono diventare materie trasversali nella scuola, inserite in ogni insegnamento e ogni materia deve essere spiegata tramite queste per ottenere una vera e propria formazione digitale o, come dico io, “alfabetizzazione digitale” dei nostri ragazzi.»
Simone ci dice che tutti i bambini che si sono avvicinati al coding sono stati molto coinvolti ed entusiasti. Infatti, riuscire a far muovere un braccio ad un robottino è un’esperienza importante che permette agli studenti di vedere immediatamente applicate le loro conoscenze e le loro capacità. Il lavoro fatto da Simone nell’istituto Marcelli di Foiano è stato notato anche dalla trasmissione RAI Leonardo che si è recata proprio nella scuola per intervistare professori e studenti che hanno partecipato al progetto. Tramite il condig gli alunni di Foiano hanno potuto programmare i movimenti di Nao, così si chiama il robot umanoide, al quale hanno “insegnato” a muoversi e parlare.
Il coding nella scuola sembra essere una vera e propria rivoluzione che finalmente permetterà agli alunni di imparare facendo e divertendosi, superando la staticità e talvolta l’immobilismo della lezione frontale. Ci auguriamo che il progetto di Foiano possa essere trapiantato presto anche in Casentino e che anche i piccoli casentinesi riescano a godere di questo nuovo e importante metodo di insegnamento. L’ITIS di Bibbiena, ad esempio, si è già attivato per realizzare il progetto “Hour of Code”, ossia l’”Ora del Codice”. Che qualcosa si stia già muovendo?
(tratto da CASENTINO2000 | n. 278 | Gennaio 2017)