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venerdì, 19 Aprile 2024

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Acqua pubblica: la speranza tradita

di Mauro Meschini – A nostro modesto parere è stato uno degli ultimi momenti in cui si è potuto sperare che qualcosa cambiasse davvero, i dieci anni che sono venuti dopo hanno azzerato però molte delle opportunità ed energie che in quel momento sembravano aprirsi, lasciando spazio a un periodo che ha visto crollare la credibilità dei politici, concretizzarsi la volontà di stravolgere parti fondamentali della Costituzione, diventare ormai permanente l’attacco ai diritti dei lavoratori.

Ma nel giugno del 2011 non c’era spazio per pensare che sarebbe andata così, la vittoria dei SI non era inaspettata, ma probabilmente non si pensava che si sarebbe manifestata con proporzioni così evidenti. Inoltre c’era sempre l’incognita del raggiungimento del quorum del 50% più 1 dei votanti a far temere che, alla fine, nonostante il grande impegno, tutto potesse risultare inutile. Invece, con il 57% dei votanti, il referendum risultò assolutamente valido così come gli indiscutibili risultati.

Nel primo quesito il SI raggiunse il 95,7% mentre nel secondo il 96,1%, numeri chiari che avrebbero dovuto portare profondi cambiamenti nella gestione di una risorsa fondamentale come l’acqua, restituendola alla tutela che un bene comune così prezioso merita.
Ma ricordiamo brevemente cosa quei milioni di SI chiedevano, anche per avere più chiaro quanto distanti da quella volontà siano state le scelte fatte dalla politica.
Con il SI al primo referendum era stato abrogato l’articolo 23 bis della Legge n. 133/2008, che prospettava l’affidamento ai privati della gestione del servizio idrico, affermando così che l’acqua è di tutti e la sua gestione non può essere affidata a un privato.

La vittoria dei SI al secondo referendum aveva invece permesso l’abolizione del comma 1 dell’articolo 154 del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, riguardante l’adeguata remunerazione del capitale investito. Da questo derivava l’impossibilità di avere profitti dalla gestione dell’acqua che deve essere quindi amministrata in base a criteri di equità e giustizia sociale e non subordinata alle logiche del mercato.
Si trattava di decisioni importanti, assunte su un bene prezioso, ma che potevano essere prese come riferimento per tutta una serie di “beni comuni” rimettendo in discussione scelte pericolose già attuate prima di allora, che avevano visto osannare liberalizzazioni e privatizzazioni probabilmente fatte con leggerezza e senza riflettere sulle conseguenze che avrebbero prodotto.

A questo proposito, e venendo precipitosamente ai giorni nostri e al momento che stiamo vivendo, ci sembra efficacie quanto scritto nella prima parte di un articolo uscito su jacobinitalia.it da Tommaso Fattori che, oltre ad essere un ex consigliere regionale della Toscana, è stato fra i principali promotori dei Referendum del 2011, membro fondatore del Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua e dello European Water Movement.
«L’assoluta attualità del referendum tradito è rivelata dalla pandemia. La prima ovvia lezione che ci viene dalla crisi multiforme in cui siamo immersi è che i servizi pubblici sono essenziali per la vita e che il futuro della società non può essere lasciato nelle mani, visibili o invisibili, del mercato. Avremmo affrontato diversamente l’epidemia se negli anni passati centrodestra e centrosinistra non avessero definanziato il sistema sanitario e la scuola, se non avessero smantellato la ricerca pubblica e privatizzato la gestione dei servizi essenziali, dal trasporto pubblico locale alle Rsa, se non avessero distrutto i diritti del lavoro rendendolo normalmente precario e semischiavizzato, con milioni di persone ormai prive delle minime tutele. E se non avessero ucciso sul nascere ogni forma di democrazia partecipativa e lentamente manomesso i meccanismi della democrazia parlamentare, al punto che oggi un governo di larghissime intese procede per cabine di regia tecniche e con le solite valanghe di decreti legge. L’importanza di avere un sistema sanitario pubblico e servizi essenziali gestiti secondo la logica dell’interesse collettivo, non del profitto di pochi, è ormai evidente anche a chi ha sostenuto per anni la necessità dei tagli e delle privatizzazioni. […]».

Si, questo lungo periodo di emergenza, probabilmente destinato ancora a durare se pur in forme diverse, avrebbe dovuto promuovere una radicale messa in discussione di decisioni che hanno reso più fragile la tutela sociale e negato di fatto la partecipazione dei cittadini. Nei primi mesi della chiusura totale c’erano stati timidi segnali che avevano fatto pensare ad una presa di coscienza collettiva che avrebbe potuto rimettere al centro temi importanti e fondamentali, ma è durata poco, già il “liberi tutti” della scorsa estate ci ha regalato un altro lungo periodo di lutti e sacrifici, adesso sembra che le priorità siano la cancellazione del coprifuoco, il via libera ai licenziamenti e la possibilità di togliersi le mascherine, non certo quanto sarebbe necessario per ridisegnare totalmente un modello di società che si è dimostrato incapace di tutelarci e di indicare una via di uscita finalmente sostenibile e rispettosa delle persone e del mondo in cui viviamo.

I segnali che vediamo, purtroppo, continuano ad essere negativi, nella nostra regione, per esempio, dove da anni si è voluto accentrare e allontanare dai cittadini la gestione di sanità, acqua, rifiuti, trasporto pubblico locale, adesso si sta lavorando alla costituzione di una Società per Azioni regionale multiutility quotata in borsa, a cui sarebbe proprio delegata la gestione dei servizi acqua, rifiuti ed energia. È completamente l’opposto di quello di cui ci sarebbe bisogno e il contrario di quanto, per ciò che riguarda la gestione della risorsa idrica, sancito dal risultato del referendum di dieci anni fa.
Sembra davvero che nei piani alti non ci sia nessuna volontà di fare autocritica e di imparare dagli errori commessi. Ma non per questo i cittadini dovrebbero rinunciare a chiedere di vedere riconosciuti i loro diritti, anche solo per non lasciare ancora una volta solo alla giustizia il compito di provocare cambiamenti. Lasciamo che le indagini e gli eventuali processi, come quelli riguardanti Coingas e la gara regionale per la gestione del Trasporto Pubblico Locale, arrivino alle loro conclusioni, ma continuiamo autonomamente e con impegno a costruire le condizioni che favoriscano profonde trasformazioni mettendo in discussione davvero gli errori che si stanno compiendo.

Anche questo giornale, come dimostrano alcune copertine di quel periodo pubblicate in queste pagine, non esitò a sostenere in modo convinto e deciso il SI ai referendum per la gestione dell’acqua e in questi anni ha continuato a rilanciare dati e dichiarazioni che confermano come il mancato riconoscimento del voto dei cittadini abbia provocato, nel tempo, un aumento costante e esponenziale dei costi, spesso senza la realizzazione di tutti i servizi e le strutture necessarie a garantire la completa gestione del ciclo delle acque.
Il Comitato Acqua Pubblica di Arezzo, ma anche singoli cittadini, hanno spesso evidenziato attraverso il confronto delle loro bollette come i costi, anche a fronte di consumi minori, siano comunque aumentati, una crescita che non trova spesso giustificazione risultando conseguenza solo della ricerca di profitto.

Già nel novembre 2011 avevamo pubblicato, su indicazione di un nostro lettore, una tabella dalla quale si evidenziava un aumento dei costi per il servizio idrico pari al 400%, abbiamo oggi la possibilità di aggiornare quei dati e di valutare anche il periodo che porta ai giorni nostri. Il risultato mostra come la crescita sia stata ancora più marcata, infatti dal confronto tra il costo al metro cubo del 1990 e quello del 2020 si ha un aumento di circa 12 volte, da 0,32 Euro a 3,9 Euro.

Può essere giustificata questa situazione? Soprattutto, si può accettare che la mancata applicazione della volontà popolare continui a pesare sulla collettività?
Le risposte a queste domande sono forse scontate, ma nel 2021 siamo costretti a riproporle per quel referendum tradito e per aver permesso, in questi dieci anni, a giullari e improvvisati statisti di prendere decisioni importanti e fondamentali per tutti.

Il Covid-19 e i tanti segnali che insistentemente il nostro pianeta ci invia dovrebbero farci scegliere di percorrere altri sentieri per sperare in un futuro davvero diverso.

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