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giovedì, 18 Aprile 2024

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Allarme procione

di Francesco Meola – Visto il suo aspetto, a primo impatto potrebbe risultare anche simpatico, ma la presenza sempre più crescente del procione ha iniziato a rappresentare una minaccia non trascurabile per i nostri ecosistemi. Noto anche come orsetto lavatore, egli è un mammifero onnivoro di mezza taglia nativo del Nord America ma della cui specie, nel corso degli ultimi anni, vi sono stati avvistamenti anche in varie regioni d’Italia.
Inizialmente si trattava perlopiù di animali solitari che, fuggiti dalla cattività, erano stati ricatturati o trovati morti. Tuttavia, in almeno due casi, si sono formate vere e proprie popolazioni di questi animali, per quanto ridotte: la prima volta è accaduto all’inizio del 2000 in Lombardia mentre, più di recente, episodi sono stati registrati sull’Appennino tra la Toscana, le Marche e la Romagna.

La popolazione di procioni lombarda fu scoperta tra il 2004 e il 2008 lungo il corso del fiume Adda. All’epoca, secondo i ricercatori che analizzarono gli avvistamenti, è probabile che questi procioni provenissero dalla Svizzera in quanto presenti in quell’area fin dagli anni ‘70 per l’espansione delle popolazioni introdotte in Germania e in Francia. Oggi, comunque, gli esemplari presenti intorno all’Adda dovrebbero essere stati quasi del tutto rimossi considerato che, tra il 2016 e il 2019, il Parco Adda Nord e la Regione Lombardia hanno catturato e soppresso 69 procioni adulti, attivando anche un monitoraggio capillare attraverso il quale intervenire rapidamente laddove se ne fossero palesati degli altri.
Alcuni esemplari, come detto pocanzi, sono stati individuati però anche sugli Appennini e in particolar modo all’interno e nelle vicinanze del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.

Le prime segnalazioni risalgono al 2013, in occasione di ritrovamenti di procioni deceduti e grazie a segnalazioni tramite fototrappole, avvenuti nei territori del comune di Poppi. Nel corso degli anni, poi, vi sono stati riscontri anche in aree lontane dal luogo di presumibile origine della popolazione e infatti, stando ai dati attuali, il procione risulterebbe presente anche nei comuni di Pratovecchio Stia, Bibbiena e Chiusi della Verna. L’areale di espansione è localizzato nelle aree medio-basse della vallata e arriva in prossimità del Parco Nazionale, coincidenti con zone di collina e bassa collina dove l’acqua è più abbondante e, al momento, rappresenta uno degli elementi più probabili per il proliferare di quest’animale.
Il procione rientra tra le Specie Aliene Invasive (IAS), trattandosi di una razza traslocata dall’uomo in ambienti al di fuori del loro habitat naturale, in cui si stabiliscono e si diffondono, influenzando negativamente le dinamiche degli ecosistemi locali. Il problema principale dell’invasione di una specie aliena è dunque rappresentato dall’impatto sulla biodiversità, che può portare all’estinzione totale delle varietà indigene a causa della competizione per le risorse alimentari o per gli habitat e alla diffusione di patologie, talvolta trasmissibili anche all’uomo.

Non sono infatti da sottovalutare gli impatti nei confronti delle specie selvatiche autoctone, per predazione diretta a carico d’invertebrati, anfibi, pesci, piccoli mammiferi e uccelli tant’è vero che, nel caso del Casentino, l’Ente Parco per salvaguardare la biodiversità e ottemperare agli obblighi di legge, si è dotato di un piano finalizzato all’eradicazione della specie procione dai propri territori.

Un progetto che in parte sembra aver dato i suoi frutti, considerato che soltanto lo scorso anno ha portato alla cattura e al trasferimento di otto individui ma la cui opera dovrà continuare incessante, visto che dai monitoraggi è emersa una rapida espansione della specie e un impatto sempre più crescente sulle specie autoctone a rischio di conservazione, come nel caso del gambero di fiume e della trota mediterranea.

Ma come si è potuti giungere ad una situazione del genere? C’è da dire che la proliferazione del procione è stata molto probabilmente agevolata anche dall’assenza di leggi adeguate, visto che sino al 2006 questa specie poteva essere liberamente importata e venduta in Italia, sia come animale da compagnia che come animale da pelliccia. Con l’entrata in vigore, nello stesso anno, del Decreto del Ministero dell’Ambiente che ha inserito il procione nella lista dei cosiddetti animali pericolosi, molti di questi sono stati incautamente abbandonati, riproducendosi e stabilendosi in modo permanente in svariate aree della nazione.

Attualmente, invece, in Italia è possibile allevare un procione solo se si ha una specifica autorizzazione, come quella di cui dispongono le istituzioni scientifiche e di ricerca pubbliche e private e i centri rifugio attrezzati a ospitare animali selvatici. Tuttavia non mancano gli episodi di esemplari tenuti come animali domestici e poi sequestrati dalle autorità, come nel caso emblematico del procione Lucio, che viveva come animale di compagnia a Milano, prima di essere portato in un apposito centro.

Per quanto concerne l’area del Casentino, è il direttore del Parco Nazionale, Alessandro Bottacci, a farci un quadro della situazione: «Purtroppo negli ultimi 4-5 anni sono stati diversi gli esemplari introdotti qui in zona i quali, favoriti anche dall’habitat circostante, hanno trovato il modo per riprodursi in tutta tranquillità: il nostro, infatti, è un territorio ricco di corsi d’acqua e la loro abitudine a dormire rifuggiandosi sugli alberi, ha fatto sì che difficilmente finissero preda di altre specie animali».

Ecco spiegato il perchè questa razza sia riuscita ad allargarsi piuttosto agevolmente, non dando molte alternative alle autorità locali se non quella di procedere al loro confinamento: «Al momento le iniziative principali per arginare il fenomeno sono legate alla cattura per la quale si procede mediante l’aiuto di apposite gabbie, per poi liberarli in un centro di accoglienza per animali esotici nei pressi di Perugia. Per certi versi dispiace anche doverli limitare in strutture del genere, ma è la legge che lo impone. Purtroppo vanno presi in considerazione anche i danni per le altre specie animali oltre che per l’uomo stesso – osserva il direttore, che aggiunge: – In ogni caso le conseguenze più evidenti si riscontrano sulle specie ittiche e in particolar modo sui crostacei come il gambero di fiume e le trote. Anche per questo l’Ente Parco ha attivato un progetto di rinaturalizzazione della fauna ittica, in modo da dare nuova linfa ai corsi d’acqua favorendo anche la ricomparsa di pesci quasi del tutto estinti quali il ghiozzo e il barbo tiberino».

Ma le specie minacciate dalla presenza del procione sono diverse ed è per questo sia il Parco, che la Regione Toscana, stanno cercando di farsi carico del problema nel migliore dei modi: «Attualmente, soltanto nel confine di nostra pertinenza, si contano 50 esemplari ma è facile pensare che in tutta l’area casentinese ce ne siano almeno altrettanti – spiega Bottacci, che approfitta dell’occasione per lanciare anche un appello: – Mi rivolgo a tutti coloro che dovessero avvistare questo tipo di animale a mettersi in contatto con le autorità preposte per segnalarli. L’aiuto delle persone, in questo caso, può risultare determinante, considerato che è materialmente impossibile controllare un’area così vasta e ricca di specchi di acqua come le nostra. Tra l’altro il procione non è un animale che tende a vivere in grossi gruppi, per cui è molto probabile che vi siano anche pochi esemplari per zona. Se tendesse a vivere in branchi più ampi anche l’individuazione risulterebbe più facile».

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