di Riccardo Buffetti – Domenica 3 novembre si è svolta la celebre maratona di New York, arrivata alla 49° edizione, che ha visto come partecipanti anche un gruppo di ragazzi provenienti dal Casentino. Ne fa da capitano Federico Caleri (nella foto), conoscenza del panorama casentinese sportivo e politico data la propria candidatura come sindaco di Pratovecchio Stia alle scorse elezioni.
Federico, come nasce l’idea di iscrivervi alla maratona di New York? «Il nostro gruppo è attivo dal 2009, siamo stati fra i primi in Casentino a portare l’attività della corsa, seppur amatoriale. Da allora abbiamo corso oltre quindici maratone in tutta Europa, questa è stata decisamente la più lontana. A New York siamo andati in sette, di cui cinque corridori».
Andiamo ad analizzare la tua esperienza americana: come si affrontano i momenti prima di un giorno così importante? «Quando ti iscrivi, almeno un anno prima, vivi con la speranza che per quel giorno non ci siano intoppi. Cerchi di infilare fra tutti gli impegni giornalieri dei momenti per allenarti, anche se personalmente i più intensi sono stati i due mesi precedenti dove mi sono allenato determinato a concludere la maratona. A pochi giorni dalla partenza la tensione inizia a sentirsi, per entrare nel clima mi sono concesso libero il giorno prima della partenza e da quel momento in avanti si inizia a vivere varie fasi: arrivare all’aeroporto, prendere l’aereo, la sveglia, il traghetto, la griglia di partenza. Nella giornata della maratona nonostante le molteplici emozioni riesci a goderti ogni momento, come quando siamo arrivati al villaggio olimpico, immenso, dove ad aspettarci c’erano viveri, la stampa, tanta gente e i nostri stand divisi per tempi. Siamo arrivati in quel luogo con dei vestiti che, al momento della partenza, sono stati regalati ai senza tetto di New York, bella iniziativa da parte degli organizzatori».
Poi arriva il momento della corsa… «Entri nel tuo spazio e pian piano arrivi verso Verrazano Bridge dove vedi dodici corsie piene di persone pronte alla partenza: eravamo in 58.000! Oltre ai corridori c’erano la banda musicale, la polizia, gli elicotteri che ti girano sopra la testa, le foto il sole… quello è il momento in cui senti che partirai. Prima di iniziare la corsa mi sono abbassato e ho baciato l’asfalto, non mi sembrava vero di partire! Ho iniziato la corsa con due parti del nostro gruppo, mi sentivo in piena forma e per questo ho deciso di affiancarmi ad una ragazza americana che aveva un ritmo diverso, nonostante la mia indecisione iniziale, abbiamo continuato insieme per tutta Brooklyn fino a che, però, non sono più riuscito a starle a passo e ho rallentato. La fatica è stata sicuramente maggiore rispetto a quella che mi aspettavo, quindi ho cercato per prima cosa di abbassare i ritmi e lo sforzo cardiaco per raggiungere il mio obbiettivo: terminare la maratona.
Da sottolineare il calore che il pubblico ti trasmette, la generosità dei bambini quando mentre corri ti porgono una mela, dimostrano di capire il sacrificio e il duro lavoro che uno sportivo mette durante tutta una vita per arriva in quel giorno. Quando sono arrivato a Central Park ero sfinito ma sono comunque riuscito ad arrivare al termine della corsa! Accanto a me è arrivato un ragazzo con due protesi, e questo mi ha fatto capire veramente quanto a volte possa essere insignificante il tempo di corsa: mi sono quasi arrabbiato per averci messo quattro ore, ma in quell’istante ho capito che poco importava, la soddisfazione era aver terminato una delle maratone più belle al mondo, con il sorriso.
La medaglia che ci hanno regalato alla fine è stata emozionante perché che con la fatica sei riuscito a guadagnarti New York. Il resto dei giorni li abbiamo passati all’insegna delle camminate e delle attrazioni della città (oltre ai primi due dopo la maratona, eravamo stremati). Difficilmente una maratona ti permette di apprezzare il paesaggio, anche se conclusa in modo brillante. Credo sia stata, alla fine, la corsa più dura della mia vita, in primis perché è durata tanto, poi perché ci sono arrivato dopo un piccolo infortunio. Ogni maratona dipende dal momento della vita in cui l’affronti, questo per me aveva un significato particolare poiché corsa dopo molti mesi in cui non ho potuto allenarmi al meglio».
Quali sono le emozioni che questa maratona suscita in te? «Negli infiniti istanti di questa sovraumana fatica mi è capitato di mettermi a parlare da solo, mi rivolgevo al mio corpo chiedendogli come riusciva a sopportare, non mi rispondeva, stavo assorto, paziente. Mentre correvo ho capito che non ero il suo proprietario, lo avevo ereditato da innumerevoli antenati che lo avevano spaventato nelle usure di grandi fatiche, pericoli, capivo dalla sua pazienza che aveva margini di resistenze da me inesplorate. Nascendo, credo, si eredità oltre alla propria vita anche l’immenso tempo precedente della specie umana. Sta nelle ossa, nei sensi, noi abitiamo questo animale antico che si chiama uomo e lo arrediamo con quello che ci capita, vivendo, giorno dopo giorno.
Una maratona non cambia la vita o la modifica, una maratona mi fa vivere un’altra via indipendente dal mio corpo e di questo me ne accorgo allo spremo, quando ammutolisco i pensieri e rimango ad ascoltarlo. All’inizio avverto l’andatura del cuore, seguo il sangue che viaggia per le biforcazioni fino alle estremità dei capillari, proseguo la discesa negli organi, infine nelle ossa e rimango rannicchiato, minuscolo dentro un’immensa fabbrica che esegue un suo spartito di lavorazione. Il mio corpo batte musica, pure dentro il dolore, nello sfinimento. In questo momento lui è indifferente a me che sono l’ultimo inquilino che lo sta abitando dentro, a seguire in un’estasi pagana un’interminabile linea lungo le strade di questa città sconosciuta. Poi di colpo, un clamore improvviso, ali di persone che mi incitano, il sole oltre il viale, l’ultima curva, le bandiere colorate che si muovono nel vento, e penso: un’altra maratone è passata. Ora, non importa più il tempo che impegnerò per girare la pista, fino al traguardo o in quanti mi stanno superando o il mio netto personale, contano solo questi pensieri che mi hanno accompagnato in questa maratona e nelle esperienze della mia esistenza e mi hanno assegnato le misure che mi spettano come uomo dentro la vastità del tempo e dello spazio e che ora, al posto dello sgomento mi trasmettono pace.
Piegato sulle ginocchia mi volto indietro, un altro inquilino che arriva al traguardo dentro un altro corpo, dentro la stessa vita, bacia il cielo, si avvicina verso di me e ci stringiamo forte. Nella gioia esausta dei suoi occhi il flebile barlume di una certezza di ferro: una nuova maratona da correre».
Cosa ti attende adesso nel futuro? “Futuro? Tra i mille impegni troveremo spazio per un’altra corsa. Riuscire a mettere nel lavoro, nella politica anche lo sport per me è un completare la vita, inserendoci anche il dinamismo per me la maratona è quella parte di guerra che ti toglie dalla routine di tutti i giorni. Con il gruppo invece abbiamo in programma il prossimo anno un “Iron Man” mentre stiamo disquisendo sulla prossima maratona che potrebbe essere nel 2021».
(tratto da CASENTINO2000 | n. 313 | Dicembre 2019)