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sabato, 20 Aprile 2024

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Essere etrusco. Miti e misteri

È notizia di poche settimane fa il ritrovamento eccezionale di un ricchissimo santuario etrusco avvenuto a San Casciano dei Bagni e che ha trovato ampio risalto nella cronaca nazionale e internazione oltre che una vastissima eco sui social.

È quindi proprio una piacevole coincidenza che per questo numero di CASENTINO2000 il solito spazio che ci è riservato come Museo fosse già stato destinato ad ospitare un’intervista all’accademica svedese Barbro Santillo Frizell, professore emerito di Storia e Antichità Classiche all’Università di Uppsala e per oltre dodici anni direttrice a Roma dell’Istituto Svedese di Studi Classici, che proprio dal Museo Archeologico del Casentino ha voluto iniziare lo scorso 23 ottobre il tour di presentazione nel Bel Paese dell’edizione italiana del suo ultimo volume “Essere etrusco. Miti e misteri ieri e oggi”.

Grazie a Luca Zadra, il nostro vero e proprio “uomo a Göteborg” (ma casentinese di adozione) e al suo contatto avuto in epoca di pre-pandemia col presidente del GAC Massimo Ducci, è stato dunque possibile avere l’occasione di questo incontro. “Ma chi chiede dimostrazioni pratiche di razze scomparse? Quel che si vuole è il contatto. Gli Etruschi non sono una teoria o una tesi. Se sono qualcosa, sono un’esperienza…”.

Dopo i convenevoli di rito, con questa frase di D.H. Lawrence, in effetti alquanto provocatoria nei confronti di cosa oggi si intenda sia come archeologia che come museo, si apre la nostra chiacchierata con Barbro Santillo Frizell.

Un’affermazione, quella di Lawrence, che rischia di mettere in crisi luoghi come questo, ossia i Musei. Trovo però molto calzante e affascinante l’idea dell’esperienza. E proprio di viaggio esperienziale e di formazione si trattava il Grand Tour, il Grand Tour con cui apri il primo capitolo del tuo volume… Ma partiamo dall’inizio: il perché di questo libro. «Lo scopo è ovviamente divulgativo. Dopo anni di studi ed insegnamento sul territorio dove gli archeologi svedesi hanno effettuato scavi dal 1956 in poi, ho sentito che la memoria collettiva degli abitanti di questi paesi nel Viterbese connessi con le ricerche sui loro precursori si stava diluendo. Il compito dell’archeologo non è solo scavare ma anche comunicare. Con questo scritto volevo riconsegnare in forma divulgativa una parte del patrimonio scientifico da noi prelevato.»

Hai voluto alle tue spalle durante la presentazione la proiezione di questa immagine, che hai usato anche per la copertina del libro. Si tratta di una riproduzione ad acquerello, se non sbaglio: da dove proviene e qual è il significato che trasmette riguardo alla civiltà etrusca? «L’acquarello fa parte dalla collezione dell’Istituto Svedese e proviene da un progetto di riprodurre gli affreschi delle tombe dipinte di Tarquinia precedente all’avvento della fotografia. Ho scelto questo dipinto perché è molto bello ma anche per il suo contenuto che è significativo per la cultura etrusca: qui la donna è rappresentata con pari dignità all’uomo, un’immagine unica nel mondo mediterraneo in questo periodo.»

Potremmo dire quindi che gli Etruschi hanno recepito una forma di cultura dall’Oriente e dalla Grecia, ma che comunque l’hanno rielaborata con una propria sensibilità, sensibilità che magari è la cifra stessa di questo popolo? Il ruolo della donna per esempio, aspetto che in piccolo è possibile riscontrare anche in alcuni testimonianze nel nostro Museo… «È proprio così. Gli Etruschi acquisiscono, rielaborano e adattano aspetti culturali esterni alla propria sensibilità. Uno dei grandi “misteri” della civiltà etrusca, ossia quello della sua origine, può infatti essere così spiegato: un popolo certamente italico che però ha saputo recepire “innovazioni” culturali dai vari interlocutori più avanzati -dai Greci ai Cartaginesi- con i quali entrò in contatto. Torniamo al tema della donna ad esempio: una sena come quella dell’acquarello di cui abbiamo parlato, in cui uomo e donna si fronteggiano faccia a faccia durante un banchetto, sarebbe stata impensabile nel mondo greco. Qui infatti solo gli uomini partecipavano questo tipo di attività e, semmai, le uniche donne presenti avrebbero potuto essere delle cortigiane, delle eteree.»

Un altro aspetto su cui punti molto l’attenzione sul libro è quello dell’ambiente, che certamente è stato uno dei fattori più importanti nello sviluppo della civiltà etrusca. Venendo un attimo al Casentino: l’ambiente è stato importante anche per la presenza etrusca qui da noi, secondo te? «Le ricchezze delle risorse naturali nel Casentino sono state fondamentali per lo sviluppo territoriale degli etruschi in questa parte dell’Italia. Insieme con Luca Zadra ho potuto perlustrare questo territorio meno conosciuto. I boschi con legnami e foraggio per gli animali, l’abbondanza dell’acqua dell’Arno ed i suoi affluenti, i tanti ruscelli e torrenti. L’allevamento del bestiame ha aperto vasti campi per pascoli già nella preistoria, che gli etruschi usavano per la transumanza e che apriva strade di comunicazione sia verso l’Adriatico che verso la Maremma toscana.ı»

Un’ultima riflessione: l’archeologia nasce dall’interesse di appassionati nel corso del XVIII e XIX secolo, che mossi da passione e amore per l’antico andarono a riscoprire le testimonianze del passato. Qui in Casentino la ricerca archeologica è dovuta, per la grandissima parte, all’opera che proprio un’associazione di appassionati, il Gruppo Archeologico Casentinese, ha svolto e svolge da quasi 50 anni in collaborazione con gli enti preposti. È un paragone certamente azzardato, ma alla fine sempre di passione si parla… «Assolutamente. Il lavoro svolto del Gruppo Archeologico Casentinese, che ho conosciuto tramite Massimo Ducci e le sue accurate pubblicazioni, è stato ed è importantissimo. Essi appartengono agli autodidatti e appassionati che formano il nucleo del mio racconto. Il museo di Bibbiena è stato infatti intitolato proprio a un appassionato, Piero Albertoni. Senza questi personaggi la nostra conoscenza sugli etruschi probabilmente sarebbe stata diversa.»

Ringraziamo di cuore la prof.ssa Santillo Frizell per la sua presenza e la sua disponibilità, con un pensiero che ritorna alle prime righe di questo articolo. E ci domandiamo, non senza rammarico, che eco avrebbero avuto gli ultimi scavi al Lago degli Idoli, con le centinaia di statuette recuperate, se fossero avvenuti nell’epoca dei social…

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